
Ieri prima a Brolo, poi a Patti, quindi di corsa in libreria a Palermo. Questa l’intensa giornata di questa scrittrice, siciliana nell’animo, cittadina del mondo nelle sue aperture della mente. Nell’incontro di Brolo, che la cronaca annovera anche la prima uscita ufficiale, oltre confini territoriali, di due nuovi sindaci, Francesco Paolo Cortolillo. di Sant’Angelo di Brolo e Gaetano Artale di Ficarra, qui, con la collega Irene Ricciardello a rendere il saluto della collettività extrascolastica all’autrice di “Caffè Amaro”. Lei, al solito, arguta, pungente, diretta, in grado di bacchettare ironicamente chi “leggeva” le domande scritte, chi girava intorno alla domanda argomentandola senza arrivare al dunque, ha catalizzato l’attenzione di tutti sul suo dire, parlando – mai del suo libro che è già un successo editoriale – sopratutto ai ragazzi, invitandoli alla lettura, a porgere attenzioni alla “rete” e ai suoi linguaggi, senza mai perdere l’occasione di ritornare a sfogliare un vocabolario e soprattutto di non perdere l’appuntamento con la lettura.
L’incontro a Brolo era stato programmato dal locale Istituto comprensivo, dal gruppo culturale Libriamoci e dalla libreria Capitolo 18 di Patti.
Sul romanzo presentato all’appena concluso Festival del Libro di Torino lei dice
“che è stato il suo parto più lungo e faticoso. Che continuamente le si aprivano nuovi scenari, episodi storici da approfondire, oggetti da riconoscere e restituire. Così, dell’idea iniziale di raccontare la storia della sfortunata nonna Maria, segnata e oppressa da un matrimonio infelice, è rimasto solo il nome della protagonista. E un particolare tramandato in famiglia di un’abitudine della nonna: prendere il caffè senza nemmeno un grammo di zucchero”.
+Ma non ne ha parlato direttamente.
Solo stimolata dalle domande provenienti dalla sala.
Una grande.
Ma “Caffè Amaro” è l’ultimo, bellissimo romanzo, scritto da Simonetta Agnello Hornby (Feltrinelli), e anche a Brolo, nella mattinata di ieri, tante copie vendute, siglate, autografate, dedicate dall’autrice a chi le stringeva la mano, sorridendo, porgendole il libro.
Comunque, come abbiamo visto, se ne è parlato poco. Almeno da parte sua.
Infatti nell’incontro di ieri a Brolo, l’autrice de La mennulara (il romanzo rivelazione d’esordio) o de La monaca (indimenticabile affresco risorgimentale) – siciliana ma trapiantata a Londra – ha parlato ben poco, lei era qui per parlare e ascoltare i ragazzi.
Del libro hanno parlato per lei Michelangelo Gaglio, professore del liceo classico di Patti ora in pensione e Azzurra Ridolfo, presidente del consiglio d’istituti del “Comprensivo” di Brolo e nel contempo tra i responsabili del gruppo culturale “Libriamoci” tra i co-organizzatori dell’evento letterario.
A salutare l’autrice è stata Maria Ricciardello, dirigente scolastica locale e i sindaci del territorio interessato dall’IC, quelli di Brolo, Sant’Angelo di Brolo e Ficarra.
La sala – quella dedicata a Rita Atria, concessa dal Comune di Brolo – straordinariamente piena, è stata una bella cornice all’evento.
Tanta gente, tra ragazzi e adulti.
Attenti.
Una bella occasione che in tanti non si sono voluti perdere.
Un presentazione partecipata – a tratti sicuramente si – vivace… di quelle che a Brolo mancano da tempo.
Ma andando al libro.
Era tempo che la Agnello non disegnava un così felice personaggio femminile.

Quello della protagonista del suo ultimo Romanzo.
Lo disegna, utilizzando le parole, facendolo crescere di pagina in pagina e di anno in anno, in un periodo storico lungo e cruciale: quella parte del Novecento compresa fra la prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra.
Ritrae una Sicilia afflitta da miseria, mafia e una classe dominante inetta e corrotta, dove pochi – fra questi il padre di Maria – la protagonista – avvocato socialista – osavano marciare in direzione ostinata e contraria.
Così ritorna la sua denuncia di un “femminile” contratto.

Un femminile dei sud del mondo.
Di cosa significava nascere donne in quella Sicilia, la “sua”, anche nelle famiglie più acculturate e benestanti, avere un solo scopo nella vita: trovare un marito, accudirlo, dotarlo di prole e vivere nell’obbedienza.
Questo sembra anche il destino di Maria quando, bellissima e appena quindicenne, viene adocchiata da Pietro, nobilotto charmant, che se ne innamora a prima vista e la chiede, la pretende in moglie, anche senza dote.
Esattamente quello che accadde alla nonna dell’autrice.
Ma le similitudini finiscono qui.
Perché la Maria inventata da Hornby non ha nulla della sua sventurata nonna. Maria conosce l’amore, soprattutto quello carnale, attraverso questa unione con un uomo ricco, colto, affascinante e molto più grande di lei.
Ma col tempo impara a conoscerne anche i limiti, le gravi mancanze, le dipendenze.
Mentre cresce in lei la consapevolezza di amare, da sempre, un altro: Giosuè, quello che ha sempre considerato un fratello acquisito.
La trama del romanzo, apparentemente melodrammatica, non deve trarre in inganno. Ciò che fa di Caffè amaro un gran romanzo, è altro: l’accurata ricostruzione storica, l’ambientazione famigliare e sociale, la cura e credibilità dei personaggi. Hornby evade dalla Sicilia, dove ancora una volta non può esimersi di ambientare le sue storie, per portarci in Africa, nelle colonie dove gli Italiani brava gente dicevano di portare civiltà e prosperità e perpetrarono invece crimini orrendi.
Affronta il fascismo e le leggi razziali (Giosuè è ebreo e oggi la tematica sull’olocausto, sugli ebrei è attualissima dopo l’ultima legge varata dal parlamento).

E la guerra con il suo carico di violenza, paura, dolore.
Infine, come dice lei, non dimentica mai di essere avvocato (condizione che la spinge a curare maniacalmente tutti i particolari) e dissemina il racconto di piccole perle “legali”, come quando fa redigere alla quindicenne Maria, sia pure solo verbalmente, un accordo prematrimoniale che le assicura un certo numero di diritti, fra i quali quello di avere a disposizione in ogni casa, per un numero concordato di ore, un pianoforte che le consenta di continuare a coltivare la sua passione per la musica. È una gran donna, quella che esce dalle pagine di Caffè amaro.
Quasi come l’altra che l’ha inventata e raccontata.
Tornando a Simonetta Agnello Hornby
Esordiente nel 2002 con La Mennulara, con molta energia e senso della disciplina questa siculo-londinese, per molti anni avvocato dei minori, a Brolo ha mostrato la sua disponibilità all’ascolto, al mettersi in discussione, a parlare.
Lei , si può dire senza temer smentita, è la scrittrice del momento, scrive bei libri.
Occhi cangianti, sorriso intrigante, ha un volto bello, fiero e insieme antico, una donna fuori dal comune che non per forza deve subito risultare simpatica, ma che certamente merita rispetto, attenzione non solo per come dice le cose che pensa, ma proprio per i concetti che esprime prime che le parole diventino frasi, argomentazioni, periodi dei suoi libri.
E per concludere:

«Quando penso in siciliano, non voglio fare lo sforzo di trasformare la parola siciliana in quella italiana».
L’ha detto in una recente intervista ed il risultato è che la sua diventa una narrazione viva e “aromatica”, tra ricette, aneddoti e ricordi di quand’era una bambina cresciuta in una famiglia dell’aristocrazia terriera degli anni Cinquanta.
Così la salvietta la chiama «mappina» e poi ancora il «cato d’acqua», «la burnia», «la rispustiera», «lu sbummicari», «lu murmuriari» e così via.

Un bel consiglio… Un libro quest’ultimo da lei scritto, ma anche gli altri, da mettere in borsa e da leggere sotto l’ombrellone.
E comunque leggere… leggere… leggere.
Davvero un bel consiglio.
foto tratte dal CanaleSicilia e Archivio Scomunicando

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