Ne “Il berretto a sonagli” di Pirandello, lo scrittore siciliano fa riferimento alla “corda pazza” (“perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!”). Qualcosa che vive per lo più in uno stato di latenza, inutilizzata fin quando alla vita possono ben adattarsi le altre due corde (quella seria e quella civile, che servono a vivere in società), ma che è rivoluzione se pizzicata.
Pizzicare la corda, oggi, equivale ad un richiamo che risveglia le coscienze e permette di partecipare ed intraprendere una via che è sfida. Una sfida che in realtà è doppia, forse tripla, o moltiplicabile ulteriormente: tante sfide quante sono le difficoltà, o forse è meglio dire i punti di crisi, che hanno “fratturato”, negli anni, a politica.
E’ una sfida che s’innesca nel periodo di morte dei partiti, fenomeno da cui abbiamo appreso che la “chimica”, le formule matematiche della politica, non servono a nulla, se non ad affondare.
Quello che è auspicabile, in una regione come la nostra, stigmatizzata quale mero contenitore di voti, è proprio un nuovo modo di fare politica, scevro dalla logica dei numeri o dal qualunquismo esasperato.
Voler cambiare la Sicilia, dopo anni di surrealismo politico, vuol dire innanzitutto rifiutare con decisione qualsiasi predeterminazione nelle candidature: l’aria viziata di luoghi chiusi ed i “bisbigli” delle segreterie di partito finalmente sostituiti da chi ha il coraggio di mostrare il proprio volto insieme alle proprie scelte.
Quel che serve alla Sicilia è attivarsi per essa.
La Sicilia intesa non come semplice isola, ma come crocevia del Mediterraneo, come filtro dei saperi di un area ricca di bellezza e di cultura. Impegnarsi per la Sicilia, vuol dire liberarsi dell’enfasi di patriottismo assorbito e sfruttato da una politica che ha come strumento di affabulazione la tanto decantata autonomia statutaria. E’ un falso regionalismo che non giova al cambiamento, ma che al contrario lo ostacola: far dello statuto il Vangelo, contribuisce, in realtà, ad alimentare lo spirito di impunità che lo caratterizza e che ha parimenti caratterizzato la classe politica siciliana. Se davvero si vuole riscoprire il senso dell’autonomia, è necessario passare attraverso la riscoperta del termine “autodeterminazione”, e dello sviluppo del senso critico.
Voltare pagina significa restituire dignità alle parole; alla parola “lavoro”, ad esempio. Voltare pagina vuol dire proporre ai partiti uno scatto di verità, non attendere una loro autoriforma. Voltare pagina significa la convenienza privata troppo presente nella politica a tutti i livelli. Voltare pagina significa legittimare l’uso della parola umiltà, quale strumento di catarsi della politica stessa.
Nella Sicilia di questi giorni afosi, di paesaggi riarsi e vita che scorre assuefatta al torrido come sembrano assuefatte le coscienze, sono i siciliani che debbono scoprire di possedere questa pirandelliana “corda pazza”, per cambiare.