All’incontro sono intervenuti oltre a Lucia Di Fazio e Maryse Miragliotta (relatrici), anche Donatella Ingrillì (lettura poesie) e Maurizio Ferralotto (intermezzi musicali chitarra: Leo Brower estudios sencillos n.5, n.6,n.8, n.4,n.1- Francisco Tarrega: recuerdos de la alhambra).
L’intervento critico di Lucia Di Fazio ha evidenziato che la raccolta di poesie di Lucia Ferrara “Danza del mare nell’aria deserta d’autunno” ricorda certe giornate di fine estate in cui una leggera brezza increspa la superficie delle acque o il vento solleva delle onde e che la sensazione che il lettore prova è quella di ondeggiare su quel mare di respirare quell’aria, lasciandosi cullare dal suolo delle parole.
Ma per capire gli stati d’animo che Lucia Ferrara veicola mediante i suoi versi – ha sottolineato la relatrice- occorre scendere in profondità andare oltre le parole il loro significato corrente.
Uno dei temi ricorrenti nella poesia di Lucia Ferrara è quello della solitudine, l’autrice ha bisogno di scrivere e questo bisogno, sempre più pressante, l’aiuta a “ colmare solitudini di vuoti grotteschi”.
Un altro tema è l’amore esperienza che travolge e che rasserena, che ferisce e che risana, che è quiete e tempesta, paradiso e inferno. Come si legge nei seguenti versi: “ Un giorno strano tra gli equilibri della mia anima/ entrasti/ accendesti la luce/ come una stanza silente e piena d’ombre/ guardandomi/ mi sollevasti tra i venti del mare/ e poi sulla sabbia un turbinio d’ombre cadde.”
La poesia di Lucia Ferrara si ispira ai paesaggi della Sicilia, di una Sicilia che lei rappresenta in filigrana, che raffigura come una terra dell’anima, o meglio come specchio dell’anima. Si percepiscono nei suoi paesaggi, “ il tramescolio del mare” , “ le chiazze di indaco”, “ ombre della sera”, “ i cieli carichi di pioggia”.
C’è un mare con le sue vele, che racconta, con la maschera della calma– come lei stessa scrive- la sua storia, la sua forza, la profonda potenza che lo anima, che lo rende bello e terribile, amico e signore fraterno e potente.
Oggi, sono in molti coloro che scrivono poesie , ma i versi di Lucia Ferrara – ha concluso la relatrice- sono diversi dagli altri perché stanno su un piano più elevato, si connotano per un codice poetico scelto, prezioso, raffinato e oramai opportunamente governato da una lunga esperienza e dall’innata vocazione all’arte della poesia.
Maryse Miragliotta ha così commentato il lavoro:
Ogni explicatio è una complicatio: la poesia, come la filosofia, è essenzialmente inclusione, comprensione, allo stesso modo in cui l’unità numerica è la complicazione di tutti i numeri che altro non sono che l’unità esplicata in immagine, figura, concetto.
Ora, rendere comprensibile una poesia, rivelarne le trame nascoste, accoglierne quelle manifeste non può significare adeguarsi a una visione e al suo orizzonte di senso, ma obbliga il lettore a inoltrarsi lungo un sentiero spesso impervio, tortuoso, talvolta interrotto fino a raggiungere la vetta del testo, sfidando la naturale tendenza a spianare il cammino fino a familiarizzare con la complessità, il paradosso, la contraddizione e, soprattutto, il non detto connaturati tanto al corpo del testo che all’essere-uomo, alla finitudine sospesa tra pienezza e mancanza.
Infatti, ogni comprensione è differita, giacché non si esaurisce in un commento, in un atto, in un’emozione, perché i rinvii, i rimandi ulteriori si moltiplicano inesauribilmente.
Approssimarsi alla poesia di Lucia Ferrara, accoglierne la forza pudica implica l’arte di coniugare la pazienza al desiderio che, seppure appagato, permane tale e affrancarsi sia dall’ostinata pretesa di riportare tutto alla ragione sia dal pericolo di incespicare nel balbettio della parola abusata.
La lettura delle poesie dell’autrice ci invita a inchinarci, scioglierci davanti all’esperienza sempre originaria dello stupore, della meraviglia che è vacillante e silente inquietudine.