LUCIANO ARMELI IAPICHINO – A Brolo, parlando del caso di Attilio Manca, io c’ero
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LUCIANO ARMELI IAPICHINO – A Brolo, parlando del caso di Attilio Manca, io c’ero

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L’intervento del docente\scrittore Luciano Armeli Iapichino, già autore de “Le vene violante” il libro che parla proprio dell’urologo barcellonese, suicidato dalla mafia, durante i lavori di presentazione di un’altro libro su Manca e sulla sua vicenda, quello di Lorenzo Balbo, svoltasi a lo scorso venerdì a Brolo. ED intanto continua la raccolta delle firme in calce alla petizione, rivolta alla Procura di Roma, affinchè non si archivi il caso giudiziario e si continuano le indagini alla ricerca della verità.

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Presentato alla sala multimediale Rita Atria il libro “La mafia ordina. Suicidate Attilio Manca” di Lorenzo Baldo. Denunce, esposizioni di verità processuali negate, testimonianze e gli applausi per una madre coraggio, Angela Manca, uniti alla richiesta di sottoscrivere l’appello alla Procura di Roma: “non archiviate l’inchiesta sull’omicidio di Attilio Manca!” che ha già superato quota 30.000

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Di seguito, come fatto precedentemente con l’intervento della professoressa Nunziatina Lacchese, pubblichiamo quanto detto dallo scrittore Luciano Armeli Iapichino durante l’incontro tenutosi venerdì scorso alla sala multimediale “Rita Atria” di Brolo.

 

 

 

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La manifestazione socio-culturale è stata promossa dall’amministrazione comunale di Brolo, e con l’autore Lorenzo Baldo e i due relatori già citati c’era Angela Manca, madre di Attilio, e il sindaco di Brolo. Ha condotto Massimo Scaffidi

 

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L’intervento di Armeli

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OGGI IO NON VORREI PARLARE

DELLA SENTENZA di condanna per Monica Mileti a 5 anni e 4 mesi, pronunciata dal tribunale di Viterbo in queste ore, rea di aver ceduto all’urologo siciliano, ATTILIO MANCA, asceso a “assuntore occasionale di eroina”, una dose letale.

NE’ DELLA SUA FAMIGLIA estromessa come parte civile sin dalle prime battute,

O DELL’AVVICENDAMENTO di “testi”, anomali, – se è lecito definirli così, e quindi di un morto che, brutalizzato in vita, è stato “lapidato” e “massacrato” a colpi di calunnie, deformazioni, storpiature e forzature a senso unico, nella piena consapevolezza (di tanti, di molti) che la legge non è uguale per tutti, confezionate contro chi difendersi, parlare e controbattere non può.

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Né testimoni a sua difesa sono stranamente ammessi a deporre.

Solo, morto e sfigurato contro i Giuda, questo è Attilio Manca.

NE’ VORREI FARE RIFERIMENTO AL REFERTO AUTOPTICO sul cadavere di Attilio Manca REDATTO DALLA DOTT.SSA  Dalila Ranalletta, un’illuminante pagina di letteratura medica lacunosa e monca; la cui professionalità è stata “elogiata”, ovviamente in senso ironico, dal P.M. Letizia Ruggeri in fasi dibattimentale anche a Bergamo durante il processo per la morte di Yara Gambirasio;

NE’ di verbali di polizia “attestanti” la presenza del medico all’ospedale Belcolle di Viterbo nello stesso periodo in cui Bernardo Provenzano era sottoposto in Marsiglia a un intervento alla prostata, e poi smentiti.

NE’, QUESTE MIE PAROLE, faranno riferimento all’evidente martirio di un cadavere maltrattato sbattuto in faccia ad un’intera nazione,  O di presunti esami tricologici e di pentiti, cinque sino adesso, che indicano tutt’altra verità, con tanto di mandanti e moventi.

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NE’ si dirà, più di tanto, che a Roma, la Procura nazionale antimafia, per lo stesso morto ha aperto, qualche mese fa, un fascicolo contro ignoti per omicidio.
Probabilmente un’anomalia, questa, del sistema-nazione: un morto, due procure, due procedimenti antitetici.

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No, non stancheremo con la SOLITA TIRITERA DEI MECCANISMI PROCEDURALI, delle stranezze quasi evidenti, delle alienate conclusioni della Commissione Parlamentare Antimafia sul merito o della follia di una madre e di qualche intellettuale al seguito.

E non si parlerà, neanche, di COSCIENZA, ovvero della valutazione morale di QUANTI HANNO PRESO PARTE A QUESTA FARSA in quanto, accusatore, calunniatore, assassino o, se mai dovessero esserci, ombre istituzionali.
Né di paura! La codardia non è, e non dovrebbe essere, degli uomini di legge!

E non si parlerà di vergogna, un termine, di certo, incompatibile alle “nobili” istituzioni e a quelle aule in cui in alto e in tutta evidenza campeggia la scritta La legge è uguale per tutti, con omesso, ovviamente, il punto interrogativo finale.
Né delle sentenze lette con l’incipit In nome del popolo italiano.
Perché di quale popolo, o parte di esso, si tratti, davvero non lo immaginiamo. O forse sì!

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Vorrei focalizzare, oggi, la mia attenzione su un altro processo. Quello alla civiltà.

Un processo in cui imputate sarebbero le Alte Istituzioni di una nazione, ree di aver consentito, con complici silenzi e spalle girate al morto, alla famiglia, al popolo, ciò che definibile non è.

Istituzioni mascariate che hanno lasciato proseguire un’ignominia giudiziaria tra le più volgari del secondo dopoguerra.

Una vera e propria mattanza del diritto che nessuna ragion di stato, nessuna, di machiavellica memoria, avrebbe potuto o dovuto assecondare. Nessuna!

Una ragion di stato, affermata con prepotenza a vari livelli – e francamente con scarsa astuzia e in cui, a volte, si è avuta l’impressione che l’imbarazzo serpeggiasse oltre le maschere – e in cui le Istituzioni, quelle vere e nobili, sono state sottratte senza scrupolo alcuno “alla giurisdizione della coscienza”.

Il caso dell’urologo siciliano, Attilio Manca, non si dissolverà nel tempo con una sentenza. Tutt’altro!
È proprio la sentenza, almeno questa, a inserirlo a pieno titolo nella Storia della Giustizia d’Italia, al capitolo, Assassinio delle Istituzioni, diventando il vessillo di quel popolo che non vuole pagare con la vita né con il fango l’arroganza del potere deviato.

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Attilio Manca, forse non è stato, non è e non sarà l’unico.

E viene in mente un processo. Un altro. Contro Verre, duemila anni fa. Una vicenda giudiziaria tra la Sicilia e il Lazio e una città come epilogo, Marsiglia. Che coincidenza. Depistaggi, forzature, omissioni, e poi, comunque, il trionfo della verità.

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E lì l’accusa era portata avanti da un certo Marco Tullio Cicerone.

Di certo, non pavido e homo scrupoloso. Ma questa è un’altra storia e con personaggi diversi, nell’ossatura, nella schiena e nella coscienza.
E laddove l’accusa ha fatto l’interesse del popolo. Quello siciliano. E dei morti.

Di fantasia, in tanti, adesso, dovrebbero parlare dinanzi agli occhi spenti di quel corpo: una persona, una dignità, un medico e un figlio.

Se ne abbiano il coraggio … e anche questa è un’altra storia.

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Le anomalie sono tante. Troppe. Oltre ogni ragionevole certezza.

“Parcere subiectis et debellare superbos”, “risparmiare i sottomessi e abbattere i superbi” era la regola pronunciata da Cicerone in una di quelle orazioni.

L’impressione, al contrario, in quest’attacco preoccupante alla civiltà e alla giustizia è che da tredici anni ci sia stata, nelle aule dell’imparzialità, come per le staffette, un passaggio di testimone scomodo, rappresentato da una croce che in un modo o nell’altro si doveva piantare nel fango di una verità altra.

Oggi finalmente – per qualcuno – il traguardo è arrivato.
Nessuna croce, nessun fardello pesante ereditato da trascinare ancora a spalla.

Da oggi, come hobby, qualcuno potrebbe dedicarsi alla ricerca di altro: sul dizionario, il significato dei termini coscienza, vergogna, imbarazzo, complicità, iscariota. E annusare, senza inibizioni e paure, da uomini e non da struzzi, il reale termometro di una nazione sul caso Manca.

La sentenza! Sì.

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Quella ribaltata di Cicerone: a essere risparmiati sono stati i superbi.

E i killer.

Vorrei solo aggiungere: adesso sfigurateci tutti!

Scusateci, correggo: adesso drogateci tutti!

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Che questa vicenda, non diventi il punto di non ritorno della nostra democrazia o lo spartiacque temporale, giurisprudenziale e palese tra Istituzioni deviate e cittadini abbandonati nella zavorra della giustizia. E, soprattutto, che non diventi la forza di tanti Caini che assurgerebbero, di contro, all’etera dimensione dell’intoccabilità.

E poi ci sono quelli che, con i paraocchi, credono come muli alle sentenze:

“Sul caso Manca, mi pare, ci sia una sentenza per droga ….”

Senza magari analizzare il dettaglio, l’excursus, o meglio, la farsa processuale.

Eppure è anche vero che ci sono uomini delle Istituzioni, Deputati Regionali, magari che parlano di legalità nelle scuole e poi all’ARS votano contro la proposta di togliere il vitalizio ai deputati condannati per mafia in via definitiva.

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Parlano di lotta alla mafia, che ha bruciato la vita, il futuro, il patrimonio di risorse umane di questo nostro territorio (e andate a vedere i dati ISTAT sulla desertificazione che sta avanzando in questa terra), e poi, eletti con il nostro consenso, ingrassano la mafia anche con i vitalizi.

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O magari si va a Cinisi, per qualche ora, a onorare Peppino Impastato, o ad ascoltare quello che ha da dire Angela Manca, donna straordinaria che mette le istituzioni dinanzi al loro essere inerme, umiliandole,  per poi nuotare nella zavorra di un sistema che fa acqua da tutte le parti senza battere ciglio per un’intera esistenza.

Concludo: quanto ad Attilio Manca: quando il colpevole è assolto ad essere condannato è il giudice.

Siamo lontani dai parametri di civiltà delle moderne democrazia. Siamo un Paese mostruoso.

E il caso di Attilio Manca lo conferma.

 

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E tornando alla petizione Non archiviate l’inchiesta sull’omicidio di Attilio Manca! questa si può firmare qui

https://www.change.org/p/non-archiviate-l-inchiesta-sull-omicidio-di-attilio-manca

Appello della famiglia Manca al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia

Non archiviate l’inchiesta sulla morte di Attilio Manca!
E’ questo l’appello al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia da parte della famiglia del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), trovato morto a Viterbo il 12 febbraio 2004.
Attilio Manca è stato ritrovato con due segni di iniezioni nel braccio sinistro, la sua morte è avvenuta per una overdose di eroina, alcool e tranquillanti.
Ma Attilio era un mancino puro, incapace di utilizzare la mano destra – così come confermato dai suoi colleghi dell’ospedale Belcolle di Viterbo – e soprattutto non era un tossicodipendente con istinti suicidi.
Di questo mistero se ne è occupata la trasmissione di Rai3 “Chi l’ha visto?” e successivamente anche “Servizio Pubblico”.
Secondo la tesi dei legali della famiglia Manca, Fabio Repici e Antonio Ingroia, Attilio Manca avrebbe visitato il capo di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano (prima o dopo il suo intervento alla prostata realizzato in Francia nell’autunno del 2003), dopodiché sarebbe stato eliminato in quanto testimone scomodo della rete di protezione extra-mafiosa eretta attorno al boss mafioso.
Per la Procura di Viterbo, però, Attilio Manca sarebbe invece morto per essersi iniettato volontariamente due dosi fatali di eroina nel braccio sbagliato. Lo scorso 29 marzo il Tribunale di Viterbo ha emesso la sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi nei confronti di Monica Mileti accusata di avere ceduto la droga al giovane urologo siciliano. Per gli uffici giudiziari di Viterbo il caso Manca è quindi chiuso.
Non è invece chiuso per la Procura distrettuale antimafia di Roma, dove da più di un anno è aperto un fascicolo contro ignoti sotto la dicitura “omicidio volontario”. Ed è nei confronti della Procura capitolina che la famiglia Manca si appella per fare in modo che il caso relativo alla morte del proprio congiunto non sia archiviato.
Il fascicolo aperto a Roma racchiude tra l’altro le testimonianze di quattro collaboratori di giustizia che, a vario titolo, circoscrivono la morte di Attilio Manca all’interno di un disegno criminoso dove si muovono: mafia, Servizi segreti “deviati” e massoneria.
Giuseppe Campo, un ex picciotto della provincia di Messina ha raccontato recentemente agli investigatori ed ai legali della famiglia Manca di essere stato incaricato lui stesso da un boss del messinese (a dicembre del 2003), di uccidere Attilio Manca con una pistola, ma che dopo un paio di mesi da quel primo incontro, gli era stato confidato che il giovane urologo siciliano era già stato ucciso a Viterbo.
Le dichiarazioni di Campo si aggiungono a quelle di Giuseppe Setola, Stefano Lo Verso e Carmelo D’Amico. Quest’ultimo nel 2015 ha rivelato agli inquirenti di essere stato messo a conoscenza del progetto omicidiario nei confronti di Attilio Manca a cui avrebbero preso parte esponenti di Cosa Nostra, apparati dei Servizi di sicurezza “deviati” in contatto con esponenti della massoneria.
L’inchiesta romana è basata sull’esposto dei legali della famiglia Manca in cui, al di là delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, vengono evidenziati determinati dati oggettivi che portano ad escludere definitivamente la tesi del suicidio a base di droga. Veri e propri buchi neri che sovrastano la morte di questo brillante medico siciliano:

-Il mancinismo puro di Attilio Manca e l’inesistenza di una sua eventuale tossicodipendenza;

-L’assenza delle impronte digitali di Attilio Manca sulle due siringhe ritrovate nel suo appartamento;

-Le eloquenti immagini del cadavere di Attilio Manca poco conforme ad una morte per overdose;

-La mancanza di prove della cessione di eroina da parte di Monica Mileti;

-La nota della Squadra mobile Viterbo che attesta un dato non veritiero e cioé che Attilio Manca era in servizio all’ospedale Belcolle di Viterbo nei giorni in cui Provenzano si trovava a Marsiglia.
Non è così: dai registri del nosocomio risulta che nei giorni di fine ottobre 2003 in cui Provenzano veniva operato in Francia, Attilio Manca non era in servizio (l’ex capo della squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava, è stato successivamente condannato in via definitiva a 3 anni per un falso verbale alla scuola Diaz durante il G8 di Genova);

-L’intercettazione ambientale del 2007 tra Vincenza Bisognano, sorella del boss Carmelo (poi pentito), ed altre persone in cui si parla di Attilio Manca che sarebbe stato ucciso perché aveva riconosciuto Bernardo Provenzano, la stessa Bisognano aveva aggiunto che in molti sapevano che il boss, durante la sua latitanza, si era nascosto anche nel territorio di Barcellona Pozzo di Gotto;

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-Il vuoto investigativo in merito a determinati personaggi di Barcellona Pozzo di Gotto che prima ancora che uscissero le notizie dell’operazione in Francia di Bernardo Provenzano, avevano già ipotizzato alla famiglia Manca che la morte del loro congiunto sarebbe stata collegata ad una visita medica che Attilio Manca avrebbe effettuato al capo di Cosa Nostra;

-La scomparsa dai tabulati telefonici di alcune telefonate di Attilio Manca ai suoi genitori negli ultimi giorni del mese di ottobre del 2003 (nel periodo in cui Provenzano veniva operato in Francia) così come l’11 febbraio 2004, il giorno prima che Attilio Manca venisse ritrovato morto;

-Il vuoto investigativo sulla giornata di Attilio Manca dell’11 febbraio 2004, quel giorno il giovane urologo aveva interrotto misteriosamente i rapporti con tutti, non aveva disdetto due importanti appuntamenti e non aveva più risposto al telefono.

Alla luce di questi dati oggettivi che meritano i dovuti approfondimenti e soprattutto per il diritto alla giustizia e alla verità che spetta ad ogni persona che subisce un’ingiustizia, ci uniamo alla famiglia Manca per chiedere al Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia di non archiviare l’indagine sull’omicidio di Attilio Manca e di continuare a cercare la verità.
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Primi firmatari:

Don Luigi Ciotti – presidente di “Libera”
Salvatore Borsellino – fondatore del movimento “Agende Rosse”
Redazione “ANTIMAFIADuemila”
Sabina Guzzanti – attrice e regista
Leoluca Orlando – sindaco di Palermo
Renato Accorinti – sindaco di Messina
Luigi de Magistris – sindaco di Napoli
Marco Travaglio – direttore del “Fatto Quotidiano”
Simone Maurelli – urologo presso l’ospedale “Belcolle” di Viterbo, ex collega di Attilio Manca
Domenico Luigi Paternico – dirigente medico Chirurgia Generale presso Azienda Ospedaliera di Melegnano (Mi), ex collega di Attilio Manca
Antonio Caporaso – medico chirurgo specialista in ortopedia presso Clinica Santa Rita Benevento, ex collega di Attilio Manca
Franco Di Giacinto – ex collega di Attilio Manca, attualmente in pensione
Letizia Battaglia – fotografa
Fiorella Mannoia – cantante
Sandro Ruotolo – giornalista

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Giulio Cavalli – attore e regista
Anna Vinci – scrittrice, biografa di Tina Anselmi
Annalisa Insardà – attrice e autrice
Paolo Flores D’Arcais – direttore di “MicroMega”
Maurizio Marchetti – attore
Riccardo Orioles – giornalista
Antonio Grosso – attore
Ferdinando Imposimato – ex magistrato
Giuseppe Lo Bianco – giornalista
Marcello Minasi – ex magistrato
Luigi Di Maio – deputato, vicepresidente Camera dei deputati
Claudio Fava – deputato, vicepresidente Commissione parlamentare antimafia
Luigi Gaetti – senatore, vicepresidente Commissione parlamentare antimafia
Giulia Sarti – deputata, componente Commissione parlamentare antimafia
Francesco D’Uva – deputato, componente Commissione parlamentare antimafia
Paolo Bolognesi – deputato, componente Commissione parlamentare sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presidente associazione familiari vittime strage di Bologna
Mario Michele Giarrusso – senatore, componente Commissione parlamentare antimafia
Maurizio Santangelo – senatore, vicepresidente della commissione Difesa del Senato
Davide Mattiello – deputato, componente Commissione parlamentare antimafia
Rosanna Scopelliti – deputata, componente Commissione parlamentare antimafia
Giuseppe Civati – deputato, componente X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo)
Giuseppe Lumia – senatore, componente Commissione parlamentare antimafia
Alessandro Di Battista – deputato, componente del Comitato permanente sulla riforma delle strutture istituzionali della politica estera dell’Italia
Barbara Lezzi – senatrice, componente 5ª Commissione permanente (Bilancio)
Neri Marcorè – attore
Daniela Tornatore – giornalista
Maurizio Bologna – attore
Gaetano Porcasi – pittore
Marco Ligabue – cantante
Paolo Borrometi – giornalista
Alfio Caruso – scrittore
Loris Mazzetti – giornalista
Shobha – fotografa
Salvatore Ficarra e Valentino Picone – comici
Graziella Proto – direttrice “Casablanca”
Nando dalla Chiesa – scrittore e sociologo
Gianni Biondillo – scrittore
Don Giacomo Panizza – fondatore “Progetto Sud”
Concita De Gregorio – giornalista e scrittrice
Luciano Armeli Iapichino – scrittore
Klaus Davi – massmediologo
Petra Reski – giornalista e scrittrice
Piera Aiello – testimone di giustizia
Ignazio Cutrò – testimone di giustizia
Stefania Limiti – giornalista e scrittrice

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Pietro Orsatti – giornalista e scrittore
Maurizio Torrealta – giornalista e scrittore
Vincenzo Agostino e Augusta Schiera – genitori del poliziotto ucciso dalla mafia Nino Agostino
Flora Agostino – sorella di Nino Agostino, referente regionale della Memoria-Libera
Gianni Minà – giornalista e scrittore
Asmae Dachan – giornalista
Andrea Braconi – giornalista
Giusi Traina – sorella del poliziotto Claudio Traina ucciso nella strage di via D’Amelio
Luciano Traina – fratello del poliziotto Claudio Traina ucciso nella strage di via D’Amelio
Silvia Resta – giornalista
Brizio Montinaro – fratello del poliziotto Antonio Montinaro ucciso nella strage di Capaci
Arnaldo Capezzuto – giornalista
Riccardo Castagneri – giornalista
Jacopo Fo – attore, scrittore e regista
Daniele Silvestri – cantante
David Gentili – presidente della Commissione antimafia del Comune di Milano
Giuseppe Giordano – ex ispettore di Polizia;
Jole Garuti – direttrice del Centro studi Saveria Antiochia Osservatorio antimafia

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Lorenzo Frigerio – Coordinatore Fondazione “Libera Informazione”
Joan Queralt Domenech – scrittore
Gianluca Tavarelli – regista
Lara Cardella – scrittrice
Andrea Cereser – sindaco di San Donà di Piave (Ve)
Walter Molino – giornalista e scrittore
Associazione “Addiopizzo” – movimento antimafia
Franco Nicastro – giornalista
Enzo Guidotto – Presidente dell’osservatorio veneto sulle mafie
Jenny Campagna – nipote di Graziella Campagna, vittima di mafia
Piero Campagna, fratello di Graziella Campagna, vittima di mafia
Lina La Mattina – poetessa
Costanza Cipollaro – storica dell’arte, Università di Vienna
Don Marcello Cozzi – Vicepresidente nazionale Libera
Pupi Avati – regista
Mara Filippi Morrione – portavoce dell’Associazione Amici di Roberto Morrione, vedova di Roberto Morrione, ex direttore di Rainews24, fondatore di “Liberainformazione”
Tindaro Bellinvia – giornalista, vicepresidente del laboratorio di ricerca socio-politica Migralab A. Sayad
Cleto Iafrate – direttore Laboratorio delle Idee Ficiesse
Cettina Merlino Parmaliana – farmacista, vedova di Adolfo Parmaliana, ricercatore e docente universitario
Mauro Faso – conduttore radiofonico per “L’altroparlante” (“Radio In” – Palermo)
Franco La Torre – storico, figlio di Pio La Torre, dirigente politico comunista ucciso dalla mafia
Domenica Isgrò – ex insegnante di Attilio Manca al Liceo classico “L. Valli” di Barcellona Pozzo di Gotto (Me)
Giulietto Chiesa – giornalista e scrittore, direttore di PandoraTv
Juan Alberto Rambaldo – giudice civile Santa Fe (Argentina)
Jorge Figueredo Corrales – pubblico ministero Villa Hayes (Paraguay)
Georges Almendras – giornalista (Uruguay)
Sofia Capizzi – presidente associazione antiracket “Liberi tutti” Barcellona Pozzo di Gotto (Me)
Andreina De Tomassi – giornalista, responsabile studi e ricerche Associazione culturale “Casa degli artisti”
Claudio Riolo – politologo, docente di Scienza politica all’Università di Palermo
Stefano De Barba – ex presidente “Associazione nazionale Amici di Attilio Manca”
Dyrsen Medina – figlia di Pablo Medina, giornalista del quotidiano ABC Color, assassinato dai narcos in Paraguay

……

da leggere

“SUICIDATE ATTILIO MANCA” – Le riflessioni della professoressa Nunziatina Lacchese

http://scomunicando.hopto.org/notizie/attilio-manca-anche-brolo-lappello-alla-procura-roma-non-archiviate-linchiesta-sullomicidio-attilio-manca/

17 Maggio 2017

Autore:

redazione


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