Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista a Marco Agostino (classe 1989), Primo Ballerino del Teatro alla Scala…
Buongiorno Marco! Vorrei chiederti subito quando e da quale sorta di “motore interiore” ha avuto origine il tuo viaggio nella danza – tant’è che sei il Primo Ballerino del Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala, di Milano. “Ciao Giulia! La mia passione per il ballo è iniziata verso gli undici anni d’età. Appena sentivo una canzone, un brano, un ritmo incominciavo a muovermi ovunque fossi – ciò specialmente a casa, dove costringevo i miei genitori a guardarmi e ovviamente ad applaudirmi… Così, esasperati, un giorno mi portarono in una scuola di danza di Torino: Il Gabbiano. Lì frequentai il corso che andava in voga in quel periodo, ovvero funky. Poi, una volta quattordicenne, le mie insegnanti mi spinsero a provare la danza accademica – per migliorare postura e coordinazione. All’inizio non mi piacque molto dacché vi erano molte regole e poca libertà, ma una sera vidi un DVD in cui danzavano i ballerini dell’Opéra national de Paris… li trovai fantastici, era il balletto “Paquita”. La sera dopo mio padre me ne comprò uno con un medley di Nureyev ed Erik Bruhn e rimasi incantato dai loro salti e dai loro giri… capii dove tutte quelle regole, se fossi riuscito a migliorare, mi avrebbero portato e mi capacitai in quel momento del fatto che davvero volevo diventare un ballerino”.
Da piccolo a cosa immaginavi di dedicarti “da grande” e che bambino sei stato? “Da piccolo ero curioso, molto timido e pieno di passioni. Mi innamoravo di una cosa e volevo fare solo quella, tant’è che credevo che proprio quell’x cosa avrebbe costituito il mio futuro. Inizialmente pensai che sarei diventato un architetto, poi un giocatore di basket, dopo ancora un disegnatore… il tutto fino agli undici anni d’età, quando infine incontrai la danza che è l’unica passione che è rimasta sempre tale da allora”.
Quale colore e quale canzone assoceresti ai periodi più significativi della tua vita sinora? “Ci sono stati diversi momenti nella mia vita che hanno funto da punto di svolta e che mi hanno segnato molto, in un modo o nell’altro. Il periodo dell’infanzia lo definirei con il colore giallo, pieno di sole e di nuove scoperte e vi associo quale canzone “I Feel Good” di James Brown. Il periodo dell’Accademia lo abbino al rosso, pieno di battaglie, sfide, insegnamenti, lezioni, sforzi e divertimento e come brano dico “Around the World” dei Red Hot Chili Peppers (tali ritmi, oggi, non potrei più permettermeli). Il primo periodo in Compagnia, fino a un paio di anni fa, lo lego al colore blu per via della profondità con cui ho dovuto scavare dentro di me – al fine di riuscire ad affrontare ruoli artistici impegnativi e crescere come artista. Quale canzone scelgo “Play Hard” di Ne-Yo & Akon. Quest’ultimo periodo, ossia quello attuale, è verde come la voglia e il piacere di vivere nuove grandi emozioni artistiche per ciò che concerne appunto la mia carriera e il brano attinente è “Just Dance” di Jamiroquai”.
Cosa rappresenta per te la Bellezza, l’Arte e quale ritieni esserne il potere nonché principale pregio e valore? Secondo la tua sensibilità inoltre, nel caso in cui tu ritenga che siano aspetti discernibili, ti senti più affine alle opere che hanno a che fare con l’intimistico “auto centrico”/autobiografico o maggiormente con il sociale-politico? “L’arte, per me, ha il valore di aggiungere emozione alla vita e di far riflettere… di donare qualcosa all’eternità, per gli altri, e proprio di questo l’essere umano ha profondamente bisogno. Personalmente, mi sento più affine a interpretare ruoli inerenti a personaggi egocentrici… ma mi piace comunque molto l’arte, specialmente quella contemporanea, che – trattando di temi attuali e sociali – spinge a riflettere su chi siamo e su dove stiamo andando”.
Quale ruolo ti sembra che giochi oggi e quale ti piacerebbe avesse l’immagine visiva nella quotidianità – dunque non soltanto nella Danza, nella Musica (ad esempio nei videoclip), nella Moda e nello Spettacolo – nel veicolare significati emozionali, d’impegno verso un qual certo “quid”, psicologici a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia? “Oggi purtroppo, a mio avviso, l’immagine è diventata un po’ troppo ingombrante. Proprio parlando di video musicali, attualmente un artista non viene pagato per la musica che fa… bensì per quante visualizzazioni raggiungono i suoi video e, a pensarci bene, ciò è paradossale. La qualità del proprio lavoro dunque, in alcune situazioni, passa in secondo piano rispetto all’immagine che si riesce a creare a proposito di una determinata cosa e questa è sicuramente una distorsione della possibilità di condividere emozioni appunto attraverso le immagini – per cui, secondo me, bisognerebbe stare attenti a quale tipo di messaggio si vuole trasmettere”.
Quando ascolti/leggi/osservi un artista cosa ti impressiona positivamente e cosa ti entusiasma in massimo grado? Alla luce di ciò, c’è qualcosa a cui ti ispiri e qualcuno con il quale vorresti collaborare? “Quando mi interesso di un artista, ciò che mi colpisce è l’individualità e l’originalità… e se mi regala uno spunto di riflessione, un “quid” che riesca a passare da lui a me. Io vengo ispirato moltissimo dalle grandi storie, soprattutto dalle grandi biografie, specialmente attraverso i film (non solo di danzatori, ma di qualunque genere). Penso che ogni vita abbia qualcosa da insegnare e, in particolar modo, la vita di persone che sono riuscite a lasciare un’eredità agli altri esseri umani grazie al loro coraggio e alla fede nelle proprie idee”.
Quale supponi sia la peculiarità per cui sei apprezzato da molte persone e cosa pensi che non possa mai, in alcun caso, mancare a un ballerino? “Credo che la mia professionalità e la mia etica del lavoro siano il mio marchio di fabbrica… grazie alle quali, nella mia carriera di danzatore, sono riuscito a raggiungere traguardi importanti. In un ballerino non può mancare l’intelligenza, pertanto la capacità di vedere i propri difetti e anche i propri pregi: bisogna riuscire, infatti, a valorizzare entrambi gli aspetti… Per l’appunto l’intelligenza nel comprendere il proprio corpo è fondamentale ed è necessaria altresì la fiducia in sé”.
I ricordi, la sperimentazione e l’osare, l’organizzare e il pianificare, l’istinto e la razionalità quanto sono fondamentali nel tuo vivere, per la tua professione, per il tuo estro? “Tutti gli elementi che hai citato, per me e nella mia vita, sono fondamentali. Io sono una persona piuttosto emotiva per cui – nella mia quotidianità – prevalgono i ricordi, l’istinto e il voler osare/sperimentare. Sto cercando, tuttavia, di imparare ad avere una pianificazione più efficiente rispetto a quella del passato”.
Arte e business (come) si possono coniugare senza snaturare se stessi e perdere di autenticità? “Rimanendo fedeli ai propri valori. Si può fare business dando alle persone ciò che vogliono quando lo vogliono ma così si rischia di perdere sé stessi e il motivo per cui si è iniziato a fare arte oltre che al senso stesso di arte. Se invece si coltivano le proprie autenticità e i propri valori questi traspariranno attraverso la propria arte con semplicità e dignità. In pratica non cambiare sé stessi ad ogni costo solo per fare business”.
Se ti dico “successo”, cosa ti viene in mente? Qual è, poi, il “quid” con cui identifichi il merito e di cos’è sinonimo l’ambizione? “Successo, per me, significa capire i propri valori interiori e non quelli che gli altri ci impongono… e vivere coerentemente a essi. Il merito, a mio parere, si misura rispetto al punto di partenza. Se vado da A a B, partendo da A, il mio merito corrisponderà alla distanza tra A e B. Indubbiamente l’ambizione è uno dei motori della crescita professionale ma, a livello di relazioni umane, può essere controproducente perché può far sì che ci si faccia terra bruciata intorno. Penso che essa sia fondamentale, però che debba rimanere allineata e congruente alla propria motivazione”.
La propria individualità in che relazione sta – almeno per quello che ti concerne – con la socialità e con l’aggregazione, con la vita sociale? E la diversità d’approccio all’esistere e nel come vivere rispetto alla maggioranza a cosa ti sembra che porti? “Di sicuro, se si desidera essere un danzatore o più in generale una persona che lavora con il proprio corpo, ci sono dei sacrifici che bisogna essere disposti a fare perché esso è il proprio “posto di lavoro”, il proprio tempio e la propria macchina. Detto questo, non è detto che ci sia bisogno di rinunciare a sani rapporti umani… anzi, i veri amici ti amano e ti rispettano per quello che sei e per come vivi – per cui, pur conducendo vite diverse, si riesce benissimo a intrattenere relazioni sociali divertenti. L’importante è non giudicare e non sentirsi giudicati. Ho idea, inoltre, che fare qualche sacrificio per raggiungere obbiettivi sia una grande scuola di vita e sia un modo profondo per conoscersi”.
A proposito di social, con quale finalità li utilizzi [clicca qui https://instagram.com/marco__agostino?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo Instagram di Marco Agostino] e come ti pare abbiano impattato nel presente? “Io uso i social network principalmente per promuovere la mia arte, il “lavoro” che faccio… e per far conoscere, almeno in parte, Marco pure come persona (e non soltanto quale professionista). Da un po’ di tempo collaboro con Oxfam Italia Onlus in quanto desidero e dunque cerco di aiutare a migliorare, anche solo di un minimo, la vita di persone che si trovano in alcune serie difficoltà. I social network, in generale, hanno un impatto fortissimo oggi e ciò non soltanto sui giovani. È importante avere qualcosa che realmente si vuole comunicare e non unicamente ostinarsi a postare a prescindere da una qual certa precisa volontà, a prescindere altresì dall’avere contenuti, ovvero pubblicare roboticamente a tutti i costi”.
Ci indichi alcuni libri, alcuni balletti e alcune opere fotografiche, cinematografiche, pittoriche, scultoree che ti hanno particolarmente emozionato e fatto riflettere? “Come libri dico “Le notti bianche” di F. Dostoevskij, “Wabi sabi. La via giapponese a una vita perfettamente imperfetta” di Tomas Navarro e “La sua danza” di Colum McCann. Quale film scelgo “L’ultimo samurai” del regista Edward Zwick, quale scultura “Amore e Psiche” di Antonio Canova e quale foto “Tomoko Uemura in Her Bath” di W. Eugene Smith”.
Infine, prima di salutarci, vuoi rivelarci quali sono i tuoi prossimi progetti e magari anche qualche chicca in anteprima? “In una serata molto interessante, a gennaio, danzerò in “Bella Figura” di J. Kylian e in “Anima Animus” di David Dawson… per me sarà la prima volta in entrambi i pezzi e la prima volta in assoluto che danzerò Dawson – spero, quindi, che ci vedremo per tale occasione”.