Un breve video messo a disposizione dal Centro Studi Forepsy, spiega 2 strategie fondamentali che gli insegnanti possono applicare in classe per aiutare al meglio gli alunni che vivono questa difficoltà. Il link è scaricabile dal sito dell’Istituto Comprensivo di Brolo,che in maniera opportuna l’ha pubblicato nella sua homepage.
Ecco il link per vedere il video
http://www.forepsy.it/index.php/mutismo-selettivo-cosa-possono-fare-gli-insegnanti.html
Mutismo Selettivo. Cosa possono fare gli insegnanti?
I bambini con Mutismo Selettivo, sono in grado di parlare benissimo con i propri familiari o in contesti in cui si sentono al sicuro (per questo la continuità didattica è necessaria ndr), mentre possono risultare letteralmente muti con gli estranei o in contesti percepiti come poco familiari.
La scuola spesso è uno di questi contesti.
In questo breve video, Anna La Prova spiega 2 strategie fondamentali che gli insegnanti possono applicare in classe per poterli aiutare.
E’ un problema grave lo avevamo già trattato… ecco alcuni articoli precedentemente pubblicati.
SCUOLA & SOCIETÀ – L’EMOZIONE NON HA VOCE
A casa il bambino parla, corre, è vivace e pieno di vita.
A scuola o di fronte agli estranei invece smette di parlare, diventa timidissimo e riservato.
Questo atteggiamento era stato diagnosticato e rientrava nel mutismo selettivo, una condizione legata all’ansia che rende impossibile esprimersi e comunicare con facilità in contesti fuori casa.
E la scuola, spesso prima fra tutti, si trova di fronte ad un bambino che “grida in silenzio”. Ecco che cosa sapere e fare per aiutare il bambino in difficoltà. Il ruolo della scuola, tra le tante cose, che può fare è quello di assicurare la continuità didattica.
“E’ una bambina di 4 anni anni che si diverte a parlare con le sue bambole … ma che non riesce a dire una parola quando è fuori casa”.
“E’ un adorabile bambino di 6 anni, pieno di vita, che corre e gioca rumorosamente nel suo giardino … ma che si blocca e diventa inespressivo appena entra in classe”
“E’ una ragazzina di 11 anni che canta e scrive magnifiche canzoni a casa sua … ma che non riesce a dire una sola parola né ai suoi professori, né ai suoi compagni di classe”
(tratto da La sfida di Riccardo, Una storia per spiegare il mutismo selettivo ai bambini – Valérie Marschall)
Ma prima di rileggere una storia, che non è una favola, – quella dell’articolo precedente – della quale non conosciamo il finale, ma che è piena di simboli e archetipi,vogliamo scrivere di cos’è il mutismo selettivo e dei bimbi che vivono questa e dentro questa particolare condizione, delle loro famiglie, del ruolo della scuola.
– fonte: ww.forepsy.it/it –
Sono bambini intelligenti, sensibili, capaci di giocare, ridere, scherzare a casa o anche fuori, se sono in un contesto conosciuto e rassicurante.
Possono stare ore a raccontare di qualcosa che piace loro o che li ha colpiti se voi siete la loro mamma, il loro papà o una persona di cui si fidano.
Allo stesso modo possono diventare completamente muti in un contesto che percepiscono come poco familiare e emotivamente poco rassicurante.
Stiamo parlando del mutismo selettivo, un disturbo d’ansia che si presenta in età infantile ed è caratterizzato dalla difficoltà piuttosto rigida e persistente a parlare in contesti non familiari o percepiti come richiestivi, come ad esempio la scuola.
La scuola è in genere il contesto in cui il mutismo si manifesta per eccellenza, ma spesso i bambini con MS, risultano muti anche in altri contesti come fuori casa, come al parco, o a casa di persone che non conoscono bene, o che sono comunque fuori dalla cerchia familiare, mentre parlano tranquillamente a casa con i propri genitori e familiari, o con persone di cui si fidano.
Il problema è che molto spesso, in una prima fase, i bambini vengono percepiti come semplicemente timidi, questo fa sì che non vengano presi per loro i provvedimenti necessari e il tempo passa inesorabile, con il risultato che il disturbo si “irrigidisce” nella sua forma.
E’ importante che gli insegnanti siano informati, perché in genere il problema si manifesta tipicamente a scuola, e l’insegnante è tra le prime persone che può accorgersi della presenza del disturbo e segnalarlo quanto prima alla famiglia, che in genere ne viene a conoscenza in un secondo momento.
Che cosa è importante sapere?
Il bambino timido può parlare poco o con difficoltà in alcuni contesti, ma in genere questo comportamento non è “rigido”, nel senso che può manifestarsi a volte si , a volte no. Il bambino con MS in genere non parla MAI in certi contesti, come ad es. a scuola, oppure non parla se non con poche persone selezionate.
Un bambino timido può parlare poco o con difficoltà in alcuni contesti, ma in genere questo comportamento non è “rigido”, nel senso che può manifestarsi a volte si , a volte no. Il bambino con MS in genere non parla MAI in certi contesti, come ad es. a scuola, oppure non parla se non con poche persone selezionate.
bambino timido può parlare se gli si rivolge una domanda direttamente, o se viene rinforzato quando lo fa. Il bambino con MS tende a chiudersi ancora di più se viene interrogato in modo diretto o se gli si chiede esplicitamente di rispondere a parole o se vienelodato per aver parlato.
A differenza dei bambini timidi, i bambini con MS in genere selezionano in modo “rigido” e costante le persone e i contesti in cui parlano e quelli in cui non parlano.
Il bambino con MS non parla non per sua volontà, ma per una difficoltà a gestire emozioni spiacevoli come ansia, frustrazione, tristezza, rabbia. 5. Il bambino avrebbe voglia di parlare, ma è letteralmente bloccato dalla paura di qualcosa che neanche lui sa spiegare e/o delle sue stesse emozioni.
Spingere il bambino a parlare non lo aiuta a superare la sua difficoltà anzi: lo fa sentire ulteriormente sotto pressione con il risultato che si chiuda ancora di più nel suo mutismo.
Il MS NON E’ UN COMPORTAMENTO OPPOSITIVO. Il bambino non sta sfidando nessuno, la sua è una reale difficoltà a parlare in quel contesto o con quella determinata persona.
Cosa fare a scuola
Proporre modalità alternative di comunicazione. Proporre delle modalità comunicative alternative A TUTTA LA CLASSE, per evitare che il bambino si senta diverso.I bambini con MS non amano sentirsi al centro dell’attenzione, per cui proporre al bambino una strategia alternativa alla comunicazione verbale, mettendolo al centro dell’attenzione non lo aiuterebbe, ad es.:“Marco tu durante l’appello puoi anche solo alzare la mano”, lo aiuta poco, mentre invece dare una regola generale del tipo “Chi vuole rispondere può dire ‘ Presente’ oppure alzare la mano” è una strategia molto più “inclusiva”
Accoglierlo per quello che è. Cercare di “dimenticarsi” del fatto che lui non parla. Il compito dell’insegnante non è quello di farlo parlare, rinunciaci, o sentirà la tua aspettativa su di sé. Lui/lei sa già parlare e a casa parla anche tanto! Il compito dell’insegnante è di farlo sentire accolto NONOSTANTE non parli, di dargli la possibilità di apprendere e di dimostrare di aver appreso NONOSTANTE NON POSSA FARLO ORALMENTE
Rinuncia all’idea di farlo parlare. Non forzare mai il bambino a parlare! Ricordarsi che i bambini con MS sono molto molto molto sensibili alle aspettative, questo è il loro problema centrale. Sanno cogliere molto bene la “tensione emotiva” dell’altro, anche positiva, che si aspetta qualcosa daPer cui se tu sei centrato sul fatto che lui non parla e tenti in qualche modo di farlo parlare, anche se non direttamente, lui se ne accorgerà e si chiuderà ancora di più. Rinuncia al desiderio di farlo parlare!
Ripetiti che lui va bene così. E’ difficile, lo so, ma importante ripetere a se stessi più e più volte “Non è mio compito farlo parlare, non è un problema il fatto che non parli, o cmq non sono io a doverlo risolvere qui. Lui va bene anche se non parla, lui ha il diritto di essere come è”. Se riuscirai a fare realmente tua questa convinzione, non hai idea di quanto bene starai facendo al piccolo senza parole
E ora rileggiamo una favola
TRA STORIE & REALTÀ – IL “SILENZIO” DEGLI INNOCENTI
Ambientata in una paese lontano,tra regine e menestrelli, torri medievali e scuole, dove c’erano scudieri e dotti, discepoli e infine i novizi che si legavano al loro Maestro e poi gente che amava prendersi a cuore i problemi degli altri, che ne difendevano i diritti. Figure descritte nei testi antichi, cantati dagli araldi e che poi, in epoca moderna, avremmo chiamato sindacalisti.
Loro cercavano verità e giustizia, esi univano ai caliere vestendo i armature lucenti e bianche, stavano, nella nostra storia, dalla parte delle famiglie, nodo debole della società arcaica del tempo, lottavano lo strapotere della Regina e si prendevano a cuore le pene di un Bimbo e di un Maestro.
In quel ducato la formazione dei novizi era una cosa seria.
Al tempo, doveva iniziare l’inverno, arrivò un docente, veniva da una contea vicina, si era trasferito con le sua armatura ed il suo cavallo, da giovane era stato amico di un monaco dal nome Adso da Melk. Amava la celtica e la runa
Era un cavaliere di sostegno specializzato in scienze motorie lui aveva studiato con il maestro Guglielmo da Baskerville.
La Regina gli affidò un ragazzino sveglio, intelligente,amabile, che non rivolgeva la parola a nessuno…insieme però, lui Cavaliere errante in cerca di dimora fissa, era convinto, avrebbero fatto tante cose.
L’allievo non comunicava con nessuno, selezionava chi era eletto ai suoi occhi per poter parlare.
Timidissimi cenni del capo per esprimere assenso o negazione.
Era un linguaggio umano, tenero, che stringeva patti di fiducia con chi vincendo diffidenze e paure si conquistava la sua fiducia.
Il cavaliere, conscio del suo destino e delle sue responsabilità, non lo mollava un attimo; Lui adottava una metodologia moderna lontana da quella cara e imperante di Bernardo Gui.
Lo coinvolgeva e utilizzava strane macchine, fornite dalla sua amica la Fata Tecnologia, che magicamente chiamava Tablet, veniva dalla Scozia era stato inventato dal tal Mc Intosh e le lezioni diventavo giochi.
Il ragazzo era pronto, giorno dopo giorno, a vincere le sue piccole sfide, il suo maestro lo incoraggiava verso l’autonomia personale e la crescita dell’autostima
Il giovinetto ora sorrideva, aveva fiducia…e quando giunse il solstizio d’estate e si chiusero i campi scuola lui aveva imparato a comunicare con il Cavaliere. Anche nelle lunghe pause estive, usando le tecnologie date dalla Fata comunicavano, oggi ci sarebbero stati i whatsapp, ma loro amavano usare i piccioni viaggiatori. Il cavaliere seguendo il suo cuore parla anche con fa famiglia del suo affidato, si emoziona, racconta le sue storie, ma sa che il destino lo aspetta… e nel senso di tristezza che invase il contado lui, che aveva meriti e lealtà risulta perdente posto nel torneo più importante, quello della vita.
Non è una scelta come dirà poi il cellario Remigio da Varagine, e non è anche Destino, ma solo l’arroganza di chi ad Avignone ha consolidato il suo potere.
Il Cavaliere spera di ritornare in quel contado per assegnazione divina… lui non vanta amicizie con l’Imperatore.
Gira la ruota e così è!
Conta di portare avanti il lavoro iniziato, perchè lui con gli allievi con quello che ha trovato nella scuola del contado, si affeziona come fossero figli propri.
Amara sorpresa
La Regina nell’assegnare gli allievi, non guarda alle storie, ai rapporti, ai segnali di empatia, destina il Cavaliere ad un altro novizio, sposta anche altri cavalieri con i loro cavalli di sostegno, togliendo loro i novizi che avevano avuto assegnati e con i quali avevano già, nell’anno precedente, costruito percorsi, disegnato mappe, segnato i punti di crescita, affinati idee e linguaggi, sognato viaggi e scoperto i segreti per entrare nel finis Africae
C’è caos nel contado, e nel grande istituto che comprende il sapere spesso si sente a tutto volume “Dies irae”, mentre Jorge – amico d’infanzia del Cavaliere, – non si fa scrupoli a dire che se era al suo posto avrebbe già scatenato la guerra e provocato un grande incendio in quanto continuava a dire che quello era l’elemento purificatore.
Tutti dicevano al Cavaliere di rallegrarsi, forse era una promozione. Si il Cavaliere era stato promosso, avrebbe avuto meno responsabilità, più successi, avrebbe avuto mansioni più lievi e lavorato in biblioteca con l’abate Malachia, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche a storie di vino e donne. Giocando nel labirinto della biblioteca e leggendo ‘ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele.
Ma il Cavaliere non vuole questo. Vuole il suo allievo che per il terzo anno avrebbe cambiato ancora il Maestro.
Tre Maestri in tre anni.
Il novizio avrebbe dovuto ricostruire un nuovo rapporto con un nuovo docente. Il Cavaliere non comprende il perchè e si reca dalla Regina, chiede udienza, se servisse andrebbe anche a Santiago, sul cammino dei Templari, a piedi, poi anche ad Avignone, mai a Roma.Lui non ama il fare politica, ma vuole la certezza della Fede.
Il Cavaliere è sfiduciato, teme di aver commesso qualche passo falso nel rapporto di fiducia con il suo allievo.
Chiede venia alla famiglia di questo, recandosi alla loro magione, superando i confini del contado. Lui non conosce la strada, supera i Ponti.. va a Naso non avendo la bussola. A condurlo sono i consigli di Ubertino da Casale, mentre al ritorno trova la compagnia di Severino l’erborista.
Trovato il casale del novizio, qui i familiari lo accolgono come un fratello, lo confortano e non comprendendo i motivi delle scelte che penalizzano il loro figlio, che intanto ha perso il sorriso. Rassicurano il Cavaliere che nulla aveva fatto di errato e che avevano gradito il suo comportamento.
Nel caso contrario avrebbero esternato il loro disappunto all’Imperatore e chiesto udienza alla Regina. Ma questo non era stato necessario. Il cavaliere non aveva nessuna macchia che insozzava la sua armatura. Linda come la sua Anima. La Regina non tollerò queste invasioni di campo… e mise ai ferri il Cavaliere, rinchiudendolo nella prigione del Castello. Lui non doveva permettersi perchè il suo atto rappresentava una sorta di intimidazione nei confronti di quella povera famiglia. Era cosa sua. Il Cavaliere diventa un eretico, rischia il rogo .. si è creduto un Dio e che potesse fare meglio di altri. Il Cavaliere invoca la continuità didattica.
Resta traccia di ciò nella pergamena che dà all’ amanuense .. poi Renzi trovandone copia la inserì nel progetto della Buona Scuola del Terzo Millennio. Il Cavaliere chiede che il novizio possa proseguire nel suo percorso di recupero dell’autostima e coltivare anche la fiducia negli altri attraverso un punto di riferimento fermo.
Il Cavaliere rimane ai ferri, nella prigione in una stretta cella dove si assiste alle risse quotidiane tra persone volgari, Aymaro da Alessandria e Venanzio che ormai fuori di mente medita sulla santità e sullo sterco del demonio. Lo vengono a trovare i topi, le pulci albergano sul cuscino gli fanno compagnia, e Fata Tecnologia lo aiuta a trasmettere, ormai è stremato, un messaggio attraverso la mail al caposquadra del sindacato dei cavalieri.
Niente da fare. La Regina dichiara la sua irremovibilità “Venga con chi vuole, porti chi vuole lei, questa è la mia decisione e tale rimarrà!” Il Cavaliere accetterebbe anche la sfida di estrarre la spada dalla roccia, pur di ridare lil sorriso al novizio, ormai rinchiuso nel suo silenzio.
Fallendo i draghi lo mangerebbero vivo.
Nel nuovo contado la centralità dei novizi si scontra con i privilegi dei docenti?
Se lo chiede il tamburino che batte il tempo al boia pronto a giustiziare il Cavaliere, che si rivolge al suo sindacato errante.
Ma nulla si può gli rispondono questi, solo i genitori del novizio posso intervenire a chieder revoca e intromissioni altrimenti nulla può fare. L’ultima notte è la più terribile, piena di dubbi.
Il Cavaliere vede RosaMaria in sogno, Umbertino darsi alla fuga ma non si fa convincere, di pentirsi, quando il Maestro Bencio, circonciso alla nascita, lo induce a osservare le leggi, dichiar fedeltà alla Regina, pentirsi e chieder scusa.
La scelta è presa. E salendo sul patibolo, davanti al boia sghignazzante e avendo per suo ultimo pubblico una schiera di bifolchi e altri Maestri proni davanti allo strapotere della Regina il Cavaliere, che aveva visto gli applausi di dame e popolani quando vincente giostri e tornei, riflette: ma se i genitori nella loro semplicità o distrazione o altro non si rendono conto delle opportunità perse per i figli, la scuola, un dirigente culturalmente e pedagogicamente preparato non dovrebbe tutelare i minori affidati, rimuovendo eventuali ostacoli per la loro istruzioni e creando le condizioni più favorevoli per la loro formazione?
Poi l’ultimo sguardo al sole calante, determinando oscurità e oscurantismo sul nuovo mondo… mentre il novizio, piange.. ma non parla.
Meno male che è solo una fiaba….
Ed ancora da leggere
GIOVANI & PSICOLOGIA – HIKIKOMORI: LA “MALATTIA DEI GIOVANI”
In Giappone ha destato già da alcuni anni notevoli preoccupazioni e rilevato una discreta attenzione da parte dei media, in Italia si tende per il momento ad inquadrarlo all’interno dei discorsi sulle “nuove dipendenze”, insieme al Gambling e alle ludopatie in genere: stiamo parlando dell’ hikikomori, la “malattia dei giovani”, ovvero di quei ragazzi che pare aprano la porta soltanto per andare in bagno e passano il resto del loro tempo in chat. Il computer e la TV divengono così l’unico mezzo per entrare in contatto con il resto del mondo. Il termine significa infatti isolamento, ritiro, ma in questo caso non riguarda anziani ultrasessantenni, che se stanno in disparte non danno fastidio a nessuno, anzi, stando a quanto si legge sui giornali, ne hanno il sacrosanto diritto, se non il dovere (e qui bisognerebbe aprire un intero capitolo a parte); questo ritiro sociale, questa forma diautoreclusione, riguarda infatti i giovani, quelli che dovrebbero uscire dal guscio protettivo della famiglia di origine e andare a lavorare (per pagare le pensioni degli anziani… ecco il perché di tanta preoccupazione si potrebbe affermare ironicamente), creando a loro volta una famiglia, mantenendo così vivo il circolo della vita.
Tra le cause individuate, come al solito ci sono le famiglie e la società, il bersaglio facile, il nemico noto, il Jolly (un po’ come il Joker per Batman: quando a Gotham succede qualche casino di sicuro c’è di mezzo il Joker) della stragrande maggioranza delle teorie eziologiche della psicologia contemporanea: ed ecco che compaiono articoli con descrizioni più o meno dettagliate che parlano di madri che non sostengono l’autonomia del figlio e del solito padre assente (seguendo la logica del “tale padre-tale figlio” – da qualcuno avrà pure preso spunto ‘sto ragazzo che si isola, no?), per poi passare alle madri oppressive e ai padri iperimpegnati, fino all’inversione dei ruoli (madre assente/padre oppressivo =stesso risultato, secondo la legge matematica dell’ordine degli addendi, meglio nota come proprietà commutativa).
I giapponesi poi hanno adottato lo stile dell’illustre connazionale, tale ‘Ndokojo Kojo, dando la colpa a qualunque cosa: alle madri oppressive e a quelle assenti, ai padri troppo impegnati, al bullismo scolastico, all’economia in recessione, alle pressioni accademiche e ai video game… e chi più ne ha più ne metta.
C’è poi tutta una serie disintomatologie psicopatologiche associate all’hikikomori:
Agorafobia
Sindrome di Asperger
Disordine da Deficit dell’Attenzione
Disordine dello Spettro Autistico
Disturbo di personalità evitante
Sindrome da avanzamento di fase nel sonno
Depressione
Distimia
Disturbo post traumatico da stress
Disturbo schizoide della personalità
Mutismo selettivo
Timidezza
Ansia o fobia sociale.
A ben vedere tutte queste teorie “scientifiche” assomigliano ai coccodrilli dei giornalisti, ovvero quei necrologi belli e pronti di persone famose che vengono scritti quando questi ultimi sono ancora in vita, così appena esce qualche nuova patologia ecco che il teatrino di Batman e Joker ricomincia.
Insomma la nostra naturale tendenza a percorrere i sentieri già tracciati, a ripetere a pappagallo le solite teorie, uniti al bisogno di cercare un capro espiatorio che ci risparmi la fatica di fare i conti con un problema “nuovo” (ammesso che lo sia realmente), rischia fortemente di compromettere le possibilità di intervento, nonché di contribuire all’ “istituzionalizzazione” e alla cristallizzazione di un problema, un po’ come è avvenuto con i disturbi alimentari, la cui diffusione è pressoché limitata alle culture occidentali (e per fortuna qualcuno comincia a farsi delle domande in proposito).
Gli aspetti culturali e contestuali vanno dunque tenuti nella giusta considerazione, come sempre d’altronde: una cosa è considerare un fenomeno come malattia, limitarsi ad etichettarlo per poi attaccarlo alla solita maniera (psicoterapia, comunità, psicofarmaci e, se poi non fa nulla, si riparte con lo shock elettrico, i salassi o clisteri, tanto amati da Argante, il malato immaginario di Molière) un’altra cosa è considerare l’hikikomori una forma di opposizione giovanile, di “ribellione muta”.
In Giappone infatti, dove l’uniformità è ancora la norma e la reputazione e le apparenze esteriori sono piuttosto rilevanti, la ribellione sembrerebbe assumere più facilmente forme mute come l’hikikomori. Storicamente il confucianesimo de-enfatizza l’individuo e favorisce il conformismo sociale per assicurare la stabilità in una società rigidamente gerarchizzata. Quello che in altre culture si esplica con l’abuso di sostanze o altri fenomeni “rumorosi”, in Giappone si tramuterebbe in apatia e in altre “proteste silenziose”.
E in Italia, dove si coltiva l’ individualità come un valore? Prima o poi bisognerà fare i conti col fatto che l’individualismo estremo fa paura a molti, perché comporta la crescita rapida e il farsi avanti con coraggio e competitività, e spesso comporta anche la scarsa considerazione per la diversità dei tempi di crescita e maturazione di ognuno (vengono in mente le super-scuole americane in cui si cerca di sviluppare precocemente abilità che normalmente i bambini impiegano anni ad apprendere). I figli vengono quindi inseriti precocemente dentro la macchina del consumo e devono necessariamente sviluppare “ipertrofie varie” – un po’ come avviene negli allevamenti intensivi di animali – per essere subito produttivi. Che qualcuno si voglia tirar fuori da questa gigantesca ruota per criceti che abbiamo costruito all’interno della nostra gabbia sociale sembrerebbe piuttosto normale e tutt’altro che patologico. Quello che va rivisto probabilmente è il rapporto tra efficacia ed efficienza: l’obiettivo magari è anche raggiunto, ma se i costi prevedono la rinuncia quasi totale ad una vita sociale forse è un prezzo troppo alto da pagare e vale la pena prendere in considerazione anche altre soluzioni e strategie.
“Who shall survive?” , si chiedeva Moreno in una delle sue opere più importanti… staremo a vedere….
Scritto dal Dr. Alessio Scialanca – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Formatore presso Pro. Sca Ong – Founder & co director “il Ponte” Studi associati di psicologia, psicoterapia e formazione. Roma
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