Non aveva rubato, non aveva ucciso nessuno, non si era fatto corrompere.
Assassinato il 6 febbraio del 1945 perché certe parole sono pericolose come le camere a gas.
Mario Michele Merlino, estimatore del poeta francese e tra i curatori della traduzione e della stampa dei poemi di Fresnes in Italia,scrive su “fascinazione” di Robert Brasillach.
Ne traccia un quadro di quel personaggio divenuto l’emblema di quel coraggio e di quell’amore che non sono mai soggetti a processo.
Che venne processato ed ucciso come disse De Gaulle perché anche il talento è responsabilità.
Da Fascinazione
Nella cella n.77 dei condannati a morte Robert Brasillach si rifugia – ed è l’atto suo estremo – nella scrittura, quella scrittura veemente suggestiva trasognante e coinvolgente che l’ha incantato giovanissimo tanto da renderlo poeta e narratore e giornalista. Ha infilato nel beccuccio della pipa il pennino. Con il carico di sette chili di catene che non gli vengono tolte neppure per dormire.
Nel pomeriggio di quel 5 febbraio 1945 il suo avvocato, Jacques Isorni, s’è recato nel carcere di Fresnes, siamo a Parigi nei mesi successivi la liberazione, per comunicargli come la grazia sia stata respinta e che l’esecuzione, dodici bocche da fuoco lo attendono avide del suo sangue, avverrà il mattino dopo nel forte di Montrouge.

All’avvocato che avrebbe voluto trascorrere la notte al suo fianco, impedito dalle ferree leggi della prigione, gli ha corrisposto un timido sorriso e ‘Etre seul. J’aurai tout les temps. Il faut que je m’habitue’…
E’ come se le parti si fossero rovesciate e sia egli a rincuorare il suo avvocato. Anche qui, di fronte alla morte, Brasillach dona tutto se stesso: la giovinezza l’amicizia la gioia di vivere, che sono stati i pilastri della sua scrittura, ora si accompagnano alla fierezza e alla speranza, ‘le sole due virtù a cui si affida il mio cuore’, come annota nelle ultime righe di Lettera a un soldato della classe 40′
C’è una data che lo segna, che marchia il fascismo francese: è il 6 febbraio del 1934. La gioventù nazionale – e i giovani comunisti, del resto – scende in piazza lungo i viali che conducono alla Senna si dirige verso la sede del parlamento radicale massone corrotto. La polizia riceve l’ordine di sparare, ci sono una quindicina di morti.

Lo scrittore Pierre Drieu la Rochelle ne tratteggia il senso le speranze il sogno infranto in pagine indimenticabili nel suo libro più compiuto, Gilles. E Brasillach, è uscito di sera dal teatro, intuisce come quel sangue versato sia il segno del destino che lo chiama s’impone lo conduce. E i suoi ultimi versi, nel gioco strano e oscuro della ricorrente data, sono un pensiero un ricordo una comunione: ‘Le ultime fucilate continuano a lampeggiare – nel giorno indistinto là dove sono caduti i nostri. – Con undici anni di ritardo sarò, dunque, fra voi? – Penso a voi, stasera, o morti di febbraio!’
Inutile, vana nostalgia, memoria derisa dall’ottenebramento e da questo tempo così diverso e così malo?
Forse.
Un gruppo musicale, una piccola band alternativa di Firenze, ha realizzato una canzone dal titolo Cella 77.
I fiori germogliano meglio sul letame, dicono…
Robert Brasillach chez nous!
da vedere
avevano già scritto
BIOGRAFIA
Nato a Perpignan il 31 Marzo 1909, orfano a 5 anni del padre, ufficiale caduto in combattimento nella battaglia di El Herri (a Parigi gli venne dedicata una strada) Brasillach, dopo il rinomato Liceo Louis-Le-Grand e la prestigiosa Scuola Normale Superiore, entrò giovanissimo nel mondo delle lettere. Iniziò così per lui una carriera letteraria di prim’ordine, disseminata di romanzi, poesie, testi teatrali, memorialisti, saggi, traduzioni. Attratto anch’egli, come gran parte delle giovani generazioni, dall’acceso nazionalismo predicato da L’Action Francaise, dal 1931 Brasillach comincia a scrivere sull’organo, omonimo, del movimento. Ed è nel novembre del medesimo anno che datano le due prime collaborazioni a Je suis partout, settimanale incandescente dai toni forti di cui, sei anni dopo, diverrà redattore capo.
Qui darà vita a quell’équipe giornalistica che rimarrà caratterizzata per il grande senso di cameratismo, di complicità, di autentica amicizia che l’animava. Sarà però proprio all’opera di Brasillach in seno a Je suis partout, che Maurice Bardeche, prima amico, poi cognato ed infine apologeta del giovane redattore del giornale, farà risalire l’inizio delle sue disavventure. Dopo una breve sospensione delle pubblicazioni, con l’occupazione tedesca, Je suis partout diviene il giornale più oltranzista, il simbolo degli ultras parigini della Collaborazione. La testata di Je suis partout come la maggior parte dei suoi collaboratori nasce maurrasiana per spostarsi in seguito verso l’estrema destra. Brasillach ne diventa redattore capo solo pro forma, poiché chi guida veramente il settimanale e ne firma i fondi è Pierre Gaxotte, che sovrasta per età e rinomanza i Per due anni Robert scrive soltanto la rubrica “Lettres a une provinciale”, semplici articoli di polemica letteraria. Nasce tuttavia il pericoloso equivoco che, in un giornale tra i più violenti dei tempi dell’occupazione, dove ciascuno agisce di sua testa, il responsabile sia colui che, in effetti, è soltanto un segretario di redazione. L’indirizzo effettivo è quello esercitato da Gaxotte, che trova comodo delegare firma e responsabilità ad altri. Quando Robert vorrà chiarire l’equivoco di un’autorità senza potere nel Settembre 1943, sarà la rottura, che segna il suo passaggio ad altro settimanale, “Revolution nationale”, dove la sua firma si affianca a quella di Drieu La Rochelle, e non è certo una cauzione per il futuro. Ciò che durante l’occupazione poteva essere un merito, dall’Agosto del 1944, con la caduta di Parigi, diventa un marchio, e nelle diverse gradazioni dell’infamia primeggia quello di “collaborazionista”. Robert è nella lista. Ricattato moralmente tramite l’arresto della madre, il 14 Settembre 1944 poco dopo l’ingresso degli alleati di Parigi, Brasillach si consegna ai “liberatori”. Il 19 Gennaio inizia il suo processo; uno dei primi a carico degli intellettuali collaborazionisti.
Al solito odi, invidie, gelosie letterarie e professionali, con conseguente desiderio di far fuori – in qualsiasi maniera – i confreres più dotati o più seguiti, non furono affatto estranei alle frenesie epurative, molto spesso scatenate proprio dagli intellettuali della controparte; sebbene non mancassero spaccature nei pubblici atteggiamenti da assumere nei confronti delle inquisizioni contro le intelligenze “vendute”. E mentre da una parte comunisti, quali Luis Aragon o Jean Paul Sartre proclamavano la linea dura ed intransigente (dimentichi forse entrambi di come, nonostante le idee avverse, fosse stato loro concesso di pubblicare tranquillamente libri o rappresentare commedie nella Francia “nazistificata”), dall’altra antifascisti quali Francois Mauriac o Jean Paulhan si adoperavano per una pacifica ricomposizione di quella guerra civile nella guerra civile. Scontato il verdetto che scaturì dal breve affrettato processo a Brasillach: condanna a morte. Viene fucilato il 6 Febbraio 1945 .

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Opere di Robert Brasillach
Présence de Virgile, 1931
le Voleur d’étincelles, roman, 1932
le Procès de Jeanne d’Arc, 1932
l’Enfant de la nuit, 1934
Histoire du cinéma, 1935 (in collaborazione con il cognato Maurice Bardèche)
Portraits, 1935
le Marchand d’oiseaux o le Méridien de Paris, 1936
Animateurs de Théâtre, 1936
Les Cadets de l’Alcazar, 1936 (in collaborazione con Henri Massis)
Léon Degrelle et l’Avenir de Rex, 1936 (Léon Degrelle e l’Avvenire di Rex, Edizioni Il Cinabro 1997)
Comme le temps passe, 1937 (La Ruota del Tempo, Edizioni Sette Colori 1985)
Pierre Corneille, Fayard, 1937
les Sept Couleurs, Plon, 1939 (I Sette Colori, Edizioni Sette Colori 1985)
Histoire de la Guerre d’Espagne, 1939 (in collaborazione con Maurice Bardèche)
Notre avant-guerre, Plon, 1941 (Il nostro anteguerra, Edizioni Ciarrapico 1986)
la Conquérante, 1943
les Quatre Jeudis, 1944
Poèmes, 1944
Lettre à un soldat de la classe 60, seguita da Les Frères ennemis, 1945 (Lettera a un soldato della classe 40, Edizioni Settimo Sigillo 1997)

Pubblicazioni postume:
Poèmes de Fresnes, 1950 (I Poemi di Fresnes, edizioni Settimo Sigillo 1988)
Anthologie de la poésie grecque, 1950
Six heures à perdre, 1953
la Reine de Césarée, teatro (dramma), 1954, messo in scena per la prima volta nel 1957
Bérénice, teatro (dramma), 1954 (Berenice, Edizioni all’Insegna del Veltro 1986)
Poètes oubliés (Singuliers et mal connus), 1954
Journal d’un homme occupé, 1955
les Captifs, romanzo incompiuto, 1974

Suo cognato Maurice Bardèche curò la pubblicazione, per il Club de l’Honnête Homme, delle Œuvres complètes (con molti inediti) in 12 volumi, dal 1963 al 1966.
Bibliografia in Italiano
Robert Brasillach, di Giorgio Almirante, Edizioni Ciarrapico 1979
Il Processo Brasillach, di Jacques Isorni, Edizioni Barbarossa 1983
Apologia di Brasillach, di Gabriele Fergola, Edizioni Settimo Sigillo 1989
Il Processo Brasillach, di Jacques Isorni. Traduzione e prefazione di Franco Giorgio Freda, Edizioni Ar 2007
NON SO NULLA
Sono già quattro giorni che sono rinchiuso
quattro giorni che cancello sul calendario
ad uno ad uno, bisogna pur farlo,
quattro giorni, che non so più nulla.
Fuori, il brusio della città,
ogni minuto scoppia un colpo sordo.
Le mitragliatrici crepitano,
ciò da quattro lunghi giorni.
Ma ci sono anche bimbi che giuocano,
ed altri rumori indecifrabili e lontani.
Ma la mia finestra è sbarrata.
E io non so nulla.
Talvolta penso che sia il cannone,
oppure un mortaio, non ne sono molto sicuro.
La strada trabocca di rumori di carri e di camions;
forse se ne vanno. E’ forse la fine?
No! Tutto ricomincia come in un sogno,
tutto prosegue e nulla finisce.
Poco fa una voce ha annunciato una tregua,
almeno così credo,
perché io non so nulla.
Quando ho attraversato la città a mezzogiorno,
c’era sole nelle vie, l’altro giorno,
c’erano bandiere nel comune,
c’erano ragazzi che passavano con bracciali sconosciuti.
Da allora non so più nulla di ciò che avviene,
solo ciò che mi giunge attraverso lo spessore dei muri,
sento continuamente passare pompieri,
la notte il cielo è rosso:
ed io non so nulla.
Eccomi qua, solo come non sono mai stato,
Robinson che costruisce il suo mondo fra quattro mura.
Cosa faranno nella città impazzita quelli che amo?
Dove saranno gli amici, i parenti?
Dio li salvi dall’odio,
e io non so nulla.
22 Agosto 1944
IL MIO PAESE MI FA MALE
Il mio paese mi fa male per le sue vie affollate,
per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate,
per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte
e per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.
Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
per i giuramenti non mantenuti,
per il suo abbandono e per il destino,
e per il grave fardello che grava i suoi passi.
Il mio paese mi fa male per i suoi doppi giochi,
per l’oceano aperto ai neri vascelli carichi,
per i suoi marinai morti per placare gli dei,
per i suoi legnami troncati da una forbice troppo lieve.
Il mio paese mi fa male per tutti i suoi esilii,
per le sue prigioni troppo piene, per i suoi giovani morti,
per i suoi prigionieri ammassati dietro il filo spinato,
e tutti quelli che sono lontani e dispersi.
Il mio paese mi fa male con le sue città in fiamme,
male contro i nemici e male con gli alleati,
il mio paese mi fa male con tutta la sua giovinezza
sotto bandiere straniere, gettata ai quattro venti,
perdendo il suo giovane sangue in rispetto al giuramento
tradito di coloro che lo avevano fatto.
Il mio paese mi fa male con le sue fosse scavate,
con i suoi fucili puntati alle reni dei fratelli,
e per coloro che contano fra le dita spregevoli,
il prezzo dei rinnegati piuttosto che una più equa ricompensa.
Il mio paese mi fa male per la sua falsità da schiavi,
con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi
mi fa male col sangue che scorre,
il mio paese mi fa male. Quando riuscirà a guarire?