di Turi Schepis.
A margine dell’incontro culturale che per tre giorni ha focalizzato l’attenzione di tantissimi giovani e del mondo culturale nebroideio a Brolo, improtanto proprio sulla figura di Pier paolo Pasolini, Turi Schepis, docente, immerso quotidianamente nel fluido magma giovanile, attento osservatore della cultura europea ci scrive, dopo aver partecipato alla “tre giorni” offrendo anche un suo personalissimo costruttivo e seguito contributo.
L’evento culturale è stato ottimizzato dall’Amministrazione Comunale e curato dalle associazioni “Sak be” e “Peppino Impastato” di Brolo.
Da 35 anni ci manca!
Il titolo che avete scelto per questa tre giorni è indicativo dell’importanza che ancora oggi, a 35 anni dalla sua morte, ha la figura di Pasolini, non solo per quelli che hanno in parte vissuto le passioni, le generose illusioni e le contraddizioni di quegli anni, e ricorda la presenza spesso scomoda di un intellettuale come Pasolini , ma anche per chi lo ha conosciuto solo attraverso le letture nelle antologie o attraverso la visione di qualche suo film.
Non è facile dire perché ci manca Pasolini, dovremmo fare un lungo elenco.
Ci manca perché era un poeta. Ai suoi funerali Moravia terminava il suo discorso dicendo “Non si uccidono i poeti; di poeti ne nascono pochi in un secolo, due o tre, e Pasolini era un poeta “.
Ci manca perché i suoi film e i suoi romanzi hanno segnato una fase della cultura italiana e hanno rappresentato, proprio negli anni del boom economico e della “dolce vita”, un’Italia diversa, ma reale, l’Italia delle borgate, di uomini posti ai margini, che proprio per questo elaborano valori propri incompatibili con i valori dominanti.
Ci manca, soprattutto, per la sua capacità di analisi della realtà, che leggeva vedendone le contraddizioni ed i possibili sviluppi.
La sua ossessione era la denuncia del processo di omologazione che vedeva avanzare. In una società finalizzata al consumo, con i modelli imposti dai mass media, non è possibile la contaminazione tra mondi diversi, ma solo l’omologazione, l’estensione di valori e di comportamenti che finiscono per essere accettati da tutti.
Ora di questo processo vediamo gli effetti, negli anni ’60, ’70 Pasolini ne prevedeva gli esiti.
In uno dei suoi ultimi scritti, raccolti nella pubblicazione postuma “Lettere luterane”, dice “ Se io volessi rigirare “Accattone” non potrei farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo “corpo” neanche lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in “Accattone”.
Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. E si tratta precisamente di uno di quei genocidi culturali che hanno preceduto i genocidi fisici di Hitler.
Se io avessi fatto un lungo viaggio e fossi tornato dopo alcuni anni, andando in giro per la “grandiosa metropoli plebea”, avrei avuto l’impressione che tutti i suoi abitanti fossero stati deportati e sterminati, sostituiti per le strade da slavati, feroci, infelici fantasmi”. Difficile trovare un’analisi così lucida e appassionata del processo di omologazione, non sono solo le borgate ad essere fagocitate dalla città, ma sono tanti pezzi di società che vengono assorbiti.
Qualche giorno prima che fosse ucciso, il 18 ottobre 1975 scrisse un articolo destinato a suscitare polemiche, “Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia” , l’abolizione della scuola media dell’obbligo e della televisione, in quanto impongono modelli che creano solo illusioni e frustrazioni: “ i modelli attraverso la televisione vengono rappresentati.
E se i modelli sono quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale?
E’ stata la televisione che ha praticamente concluso l’era della pietà, e iniziato l’era dell’edonè.
Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità, che non è una colpa minore.”
Credo che sia questo il Pasolini di cui sentiamo la mancanza, l’intellettuale che capacità di leggere la realtà e che utilizza il suo ruolo scomodo per denunciarne le contraddizioni.
Turi Schepis