“Dei morti non si può parlar male? Di Scalfaro ne pensavo tutto il male possibile e continuo a pensarlo”. Dietro al cordoglio delle istituzioni, composto e freddo, il popolo italiano si divide sulla figura dell’ex Presidente della Repubblica.
Per molti un esempio da seguire, un difensore della patria e della Costituzione.
Per altri un manipolatore cinico.
Le opposte tifoserie si scontrano sulla Rete: “Quale cattolico contrario alla pena di morte, da magistrato, la comminò? Quale uomo si permise di schiaffeggiare una signora che non vestiva secondo i suoi canoni morali?”.
Ed esplode la polemica.
Alle antipatie non si comanda.
di Gianni Pardo (giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it)
L’unico dovere che si ha, in questi casi, è quello di distinguere i giudizi fondati dai sentimenti personali. Non si ha il diritto di dire: “Scalfaro era antipatico”, si può solo dire: “Scalfaro mi era antipatico”.
E per me lo era invincibilmente.
È facile accennare alla sua pronuncia assassina della lingua italiana, alla sua aria cardinalizia, al suo atteggiamento programmaticamente solenne: ma questo era il meno.
La cosa più insopportabile era l’ostentato moralismo che ricopriva ogni sua azione, anche la più politicamente connotata, con un velo di dovere compiuto.
Ciò sapeva di ipocrisia. E tuttavia probabilmente Scalfaro non era un ipocrita. Nulla esclude infatti che qualcuno creda in buona fede ad un caso benevolo che ha messo insieme il dovere e l’interesse. Ma la questione di stile rimane.
Mi è stato insegnato che il bravo acrobata di circo non deve sottolineare con smorfie la fatica e il pericolo del proprio esercizio. Deve sorridere.
Deve aver l’aria di dire: non è nulla.
Faccio questo e forse potrei fare molto di più.
Analogamente, con frase indimenticabile, Nietzsche affermava che il superuomo sulla corda non cammina, danza.
E lo stesso vale per la morale: se un uomo è molto morale è bene che non lo sottolinei.
Deve mostrarsi tollerante nei confronti degli errori altrui, quasi dicesse: “Anch’io sono un peccatore”.
Perfino quando non lo è.
Se proprio è costretto a compiere un’azione sgradevole, l’uomo di buon gusto la compie non in nome di superiori principi e con aria docente, ma con la semplicità di chi fa il proprio mestiere.
Una volta un automobilista, ad un agente della stradale che gli faceva una predica sul suo dovere di essere prudente, rispose: “Lei è qui per elevarmi contravvenzione, non per farmi la predica. La prego, scriva il verbale e basta”.
Aveva perfettamente ragione.
Scalfaro trasudava moralità da ogni poro.
Anche quando prometteva a Berlusconi le elezioni a breve (fine 1994) con la precisa intenzione di non mantenere la promessa: ma era una doppiezza per fini morali.
Non concedeva le elezioni anticipate benché, col voltafaccia della Lega, fosse venuta meno la rappresentatività del Parlamento, perché l’interruzione della legislatura è un fatto traumatico da evitare ad ogni costo.
Quando non conviene.
E nel frattempo, per il bene del Paese minacciato da Berlusconi, dava tempo alla sinistra di riorganizzarsi: tanto è vero che poi vinse le elezioni.
Ma sarebbe contraddittorio fare i moralisti a proposito dei moralisti.
E infatti allora molti non rimproverarono a Scalfaro di essere un politico che agiva per interessi politici: ciò era cosa legittima.
Gli rimproverarono la pretesa di essere al di sopra di quegli interessi e di agire con gli occhi fissi all’ideale del Bene.
Come disse un politico inglese: “I don’t object to Gladstone always having the ace of trumps un his sleeve but merely to his belief that God almighty put it there”,
“Non ho obiezioni al fatto che Gladstone abbia sempre l’asso di briscola nella manica, ma soltanto alla sua convinzione che sia stato Dio Onnipotente a mettercelo”.
Che Scalfaro ci perdoni, da lassù in Cielo dove certamente è: ma diffidiamo di coloro che non parlano a viso aperto delle proprie intenzioni.
Di coloro che si fanno scudo di qualcosa, del dovere morale, o, peggio, di Dio.
È insopportabile la pretesa di avere contatti diretti con l’Altissimo il quale, vedi caso, vuole sempre ciò che vogliono loro.
Costoro, mentre si atteggiano a umili servitori di un grande Valore, trattano i loro avversari da malvagi sacrileghi, perché si oppongono ad una sacra Volontà.
Che poi è la loro.
La moralità va dimostrata soltanto con i comportamenti concreti. Al contrario l’atteggiamento del moralista, oltre ad essere di pessimo gusto, fa presumere il peggio.
Come ha detto qualcuno: “Io non so se tutti i farabutti sono dei moralisti, ma sono certo che tutti i moralisti sono dei farabutti”. Il povero Scalfaro era probabilmente in buona fede ma, incolpevolmente, rappresentava tutto questo.
E per ciò stesso soggiaceva al sospetto, nel suo caso infondato, di essere un vizioso e un immorale.
Ecco come spiego la mia antipatia per il Presidente dalla erre moscia. Senza con questo voler dire che essa è giustificata o che egli fosse colpevole di chissà che.