
Ma l’Italia non rimase sgomenta e interdetta per la fine così orribile di un bambino, il figlio di un fascista non meritevole di pietà e cordoglio sincero.
Cominciò invece una campagna di disinformazione e di depistaggio, partita dall’estrema sinistra ma appoggiata dagli organi tradizionali della stampa e della televisione, per cancellare la vera matrice politica di quel misfatto.
Stefano e Virgilio furono uccisi una seconda volta da titoli oltraggiosi e insensati che servivano a colpevolizzare le vittime e a scagionare politicamente e materialmente i responsabili del delitto. Si urlò al «regolamento dei conti tra i neri», si delirava di una «faida tra fascisti», si farneticava di una «provocazione fascista che arriva al punto di uccidere i propri figli»: ma a queste farneticazioni vollero credere in tanti, purtroppo non solo nell’estremismo di sinistra, ma anche negli ambienti rispettabili dell’establishment antifascista.
Si faceva pure dell’ironia sulla fiamma «assassina» che sarebbe stata una «fiamma tricolore», come il simbolo del Msi in cui militava il «fascista Mattei».
Partirono i cortei con gli slogan per «Lollo libero».
Il padre di uno dei tre indagati venne raggiunto da una lettera aperta scritta da alcuni dei più accreditati esponenti della sinistra in cui si suggeriva il blasfemo paragone tra il carcere in cui era rinchiuso il figlio e un campo di concentramento nazista.
Per questa velenosa campagna di disinformazione, di odio ideologico, di disprezzo per le vittime, di cinica indifferenza per la morte di un bambino bruciato vivo nessuno ha chiesto veramente scusa. E in quella assurda campagna di autoinnocentizzazione insincera davvero una parte della sinistra ha perduto la sua innocenza morale e politica. Sono passati quarantacinque anni e quella vicenda terribile è quasi dimenticata, derubricata a uno dei tanti episodi di cieca violenza politica degli anni Settanta.
Ma fu molto peggio. E a distanza di tanto tempo facciamo ancora fatica a rendercene conto.
Scritto da Pierlugi Battista su il Corriere della sera lo scorso anno.
Tratto da Cuori Neri
Buttati, Virgilio buttati!
Il rogo arde da mezz’ora. Il primo grido, quando tutto inizia a precipitare verso la fine, è quello del padre: Virgilio è affacciato al davanzale, già statico, terreo, stordito mentre il fuoco gli precipita intono. Le fiamme stanno divorando tutto l’appartamento: dal cornicione e dal telaio degli infissi cadono frammenti infuocati e materiali incandescenti, la finestra alle sue spalle arde di luce e di brace. In strada c’è tutto il quartiere, e i primi soccorritori tendono le coperte per attutire la caduta dal terzo piano. Il grido diventa una successione di appelli scomposti, invocazioni, quasi un coro disperato: Salta! Salta giù Virgilio! Buttati adesso, per l’amor di Dio!
Del piccolo Stefano, che gli è al fianco, dalla strada si intravede solo la testa. Il fratello lo abbraccia per proteggerlo con il suo corpo, e continua a toglierli dai capelli i coriandoli fiammeggianti di vernice che si staccano dalle persiane e scendono giù come una pioggia di lapilli. Quello che fino all’ultimo è stato un vitale istinto di protezione si trasforma in un gesto rallentato, spettrale, drammatico.
La mano sempre più debole, alla fine si abbassa pietrificata. Virgilio fino all’ultimo non ha voluto lasciare il fratellino. Ma adesso non può resistere più, e si arrende.
Alle 3,37 del mattino, il 16 aprile, polizia, ambulanze e vigili del fuoco sono ormai sul posto: ma per i due fratelli non c’è più nulla da fare. La madre Annamaria e due dei figli più piccoli Giampaolo di 3 anni e Antonella di nove, sono riusciti miracolosamente a fuggire attraverso la porta di casa, quando il fuoco ha iniziato ad avvampare nel piccolo appartamento di periferia. Lucia, di 15 anni si è gettata nel vuoto dal balconcino del secondo piano, dove è riuscita a calarsi con l’aiuto del padre. Mario Mattei, già a terra, l’ha afferrata al volo, malgrado le ustioni che gli sfigurano il corpo. Silvia, 19 anni si è tuffata nella veranda della cucina. Ha battuto la testa sulla ringhiera del secondo piano, la schiena sul tubo del gas, è stata provvidenzialmente trattenuta per qualche attimo dai fili del bucato, quindi è caduta sul marciapiede del cortile, rompendosi 2 costole e 3 vertebre. Le è andata bene.
Solo per un miracolo si è sfiorata la strage di tutta una famiglia.
Roma, 16 aprile 1973, periferia della Capitale, via Bibbiena, Mario Mattei è il segretario della sezione del MSI nel quartiere. La violenza politica si trasforma per la prima volta in massacro, in quello che passerà alla storia come il rogo di Primavalle…..
Tratto da Cuori neri di Luca Telese, pagine 63-64