PUNTO DI VISTA – Lotta e Vittoria Comandante!
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PUNTO DI VISTA – Lotta e Vittoria Comandante!

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Riflessioni e spunti di dibattito di Gabriele Adinolfi. Un punto di arrivo anche dopo le ultime contestazione da parte dei giovani di sinistra che denunciano dopo i convegni di Matera e Forlì il tentativo di esproprio sopratutto da parte di Casa Pound del”mito” che Castro e Guevara sono stati per diverse generazioni.

 

Gabriele Adinolfi, ex leader di Terza Posizione, aveva spiegato in un’intervista su Libero – qui sotto riprodotta integralmente – perché il rivoluzionario comunista è stimato anche a destra: “Piaceva a Peron e Franco, era un anti-imperialista coraggioso”

Che Guevara, dalla stella rossa alla camicia nera

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Rivoluzionario, comunista, borghese, fiancheggiato da Peron e da Franco. Questo il Che Guevara che emerge dalle parole di Gabriele Adinolfi, ex leader di Terza Posizione, giornalista e scrittore che abbiamo incontrato a pochi giorni da un convegno fiorentino dall’emblematico titolo L’altro Che.

Dottor Adinolfi, chi era Che Guevara?
“Non esiste un Che, esistono diversi Che: alcuni corrispondono alle sue reali personalità, altri sono invece quelli del tutto astratti che i consumatori d’idee e magliette s’immaginano. Ma questa è un’altra storia”.

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  Cosa la affascina di lui?
“La sua scelta guerriera anche quand’era ministro, la fine romantica – malgrado la sua ideologia – che lo ha immortalato e forse soprattutto la sua visione esistenziale della rivoluzione”.

La destra che riscopre il Che?
“Non è del tutto esatto. Quando il Che morì la FNCRSI (Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, ndr) gli rese omaggio sul suo bollettino con un pezzo dal titolo In morte di un rivoluzionario. Altri tempi in cui la gente era più genuina e nei quali il fascismo aveva ancora una connotazione anti imperialista. Poi, al di fuori del Paese c’era ad esempio Peron che sosteneva Guevara: pensi che con il sostegno di Franco gli fornì diversi contatti internazionali per la guerriglia”.

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Castro avvocato, il Che medico… non proprio dei proletari!
“Cosa controversa che i comunisti hanno sempre risolta stabilendo che le persone più illuminate delle classi borghesi dovessero fungere da guida ai proletari. Del resto Marx non si può considerare un diseredato; era perfino finanziato da un mercante di schiavi. Ciò premesso, per quanto mi concerne, il comunismo è un’ideologia borghese”.

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Cosa apprezza di Guevara?
“Lo apprezzo e lo onoro per come ha messo in gioco la sua vita, per come l’ha vissuta in trincea e per come è morto. Nessuna fascinazione però, sia ben chiaro, da parte mia nei confronti della sinistra rivoluzionaria”.

L’intervista era di Marco Petrelli

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Illuminate è quanto scrisse Adinolfi a 40 anni dalla morte del Comandante, – in Bolivia il 9 ottobre 1967 – prima venne pubblicato su www.articolozero.org, poi il pezzo venne ripreso da buona parte della galassia editoriale dell’altra destra.

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Quarant’anni fa veniva ucciso Che Guevara.

Il comandante guerrigliero aveva cercato di esportare il fenomeno rivoluzionario cubano sia in Africa che in America Latina che, essendo egli argentino, considerava nella sua interezza un po’ come la sua patria. I fuochi di guerriglia dovevano accendere la rivoluzione: è quel “fuochismo” che avrebbe affascinato Giangiacomo Feltrinelli, molto poco leninista ma romantico e garibaldino assai.

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Il Che e i fascisti

In quarant’anni il Che è stato oggetto di tutte le svalutazioni possibili, è stato ridotto a logo pubblicitario, a simbolo di riconoscimento di tribu urbane ultracapitaliste. Allora, quando morì, ma anche prima, quando abbracciò il suo sogno rivoluzionario abbandonando un ministero a Cuba, Ernesto Guevara poteva contare su tante antipatie, molte delle quali tra i farisei del suo campo, ma anche di tante simpatie tra coloro che la stupida logica degli schemi vedeva come suoi avversari. Allora quando la demenza e la sclerosi del dogmatismo alla Tartuffe non era di moda tra gli eredi delle rivoluzioni nazionali, furono in molti a sostenere il Che. Da Jean Thiriart, il fondatore di Jeune Europe e del partito nazionale europeo che avrebbe schierato volontari in Palestina a Juan Peron. Costui, fascista tra i fascisti, esule in Spagna dopo esser stato rovesciato dall’oligarchia clerico/militare legata a Washington, aveva stretto un patto strategico con Fidel Castro ed elogiava particolarmente il Che la cui lotta, secondo il suo parere ufficiale, utilizzava il marxismo come puro e semplice strumento per un ideale superiore.

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Fu proprio Peron, l’ultimo degli statisti fascisti, ad accogliere il Che nella Spagna franchista – con il beneplacito del Caudillo – e a metterlo in contatto in Algeria con Boumedienne. Del resto Guevara aveva sostenuto Peron contro i comunisti pochi anni prima in Argentina e uno dei suoi fuochi guerriglieri, appunto nel paese natio soggetto a dittatura, fu opera dei peronisti. Il Che vivo, la crème del fascismo post-bellico era con lui, il Che morto gli vennero dedicate molte riflessioni e qualche agiografia come “Une passion pour El Che ” di Jean Cau di sensibilità nazionalsocialista.

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Bianchi o neri?

Potrei quindi onorare Che Guevara sulla base dei miei illustri predecessori e sentirmi per questo molto più fascista dei fascisti che lo denigrano. Ma non sarebbe sufficiente né corretto. Non lo voglio onorare solo perché i migliori fascisti lo onorarono ma perché lo merita di per sé.

Conosco le obiezioni, ne sento di continuo: da quando il neofascismo è scaduto nell’ombra reazionaria del codinismo borghese e ha smarrito la sua anima – e il suo più profondo significato esistenziale e sacro – le banalità sminunenti si susseguono.

Una di esse è che non si può onorare il Che, non si può non essere contenti della morte del Che, perché egli si batteva per distruggere i nostri valori. Nostri? Valori? Suvvia: scherziamo?

Il Che si batteva per liberare il suo continente dall’occupazione americana, dall’oppressione oligarchica e dalle ingiustizie.

Possiamo non condividere l’indirizzo dato dal Che alla sua lotta, il suo impianto ideologico e programmatico, ma non possiamo non sentire nostra la sua lotta; e se non la sentiamo tale delle due l’una: o di quella lotta non sappiamo niente o abbiamo sbagliato proprio campo, siamo guardie bianche e non camicie nere!

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Lotta e Vittoria

Infine non si può non onorare il Che perché un uomo che abbandona cariche, onori, denari e privilegi per andarsene a vivere nelle selve, tra i monti, con un pugno di compagni di lotta, passando giornate intere con qualche goccio d’acqua e, se dice bene, una galletta, un uomo che sogna e che resta fedele al suo sogno mettendo carne, muscoli, nervi al suo servizio, non può non essere onorato.

Lo detta chiaramente quel sentimento della vita, dell’onore e del sacro che è alla base dell’Idea del mondo che fece grande la nostra antichità e la nostra più recente primavera.

Quell’Idea del mondo che – dalla Bhagavad Gita tramite i Luperci le Legioni mithraiche, la Cavalleria fino ai Werwolf – ha significato tutto il meglio che memoria d’uomo ricordi e che si condensa nella “Dottrina di Lotta e Vittoria” (che non coincide con il successo tangibile ma con il trionfo su di sé).

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Chi non ha perso il bandolo di quel filo non può non rispettare e non onorare l’eroe di Santa Clara.

Onore al Che: lotta e vittoria Comandante!

Fonte: NoReporter.org

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10 Luglio 2016

Autore:

redazione


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