Occorre, regolarmente, fare dei resoconti, per poter vedere in che condizioni ci si trova.
Io intendo fare il resoconto delle cose che ho visto, delle parole che ho ascoltato e di quelle che avrei voluto sentire nelle scorse settimane.
Un clima indubbiamente singolare: quello che è accaduto in Sicilia, per chi da sempre ha vissuto in questa regione, non può che destare interesse.
Alla maggior parte delle persone con cui ho avuto modo di dialogare, o in base agli articoli ed alle interviste circolanti su social network e youtube, il “risveglio della Sicilia” ha risvegliato, a sua volta, un orgoglio sopito.
E’ stato, dunque, un proliferare di rivendicazioni della propria “sicilianità”, un’indignazione per essersi resi conto, d’un tratto, di essere una terra ignorata, una rinata affezione alla trinacria, un incremento esponenziale dello sdegno nei confronti della politica italiana.
Ad altri, quanto accaduto ha destato serie perplessità, non fosse altro, per la strumentalizzazione immediata del Movimento dei Forconi da parte di gruppi politici d’estrema destra.
Il vessillo dell’antipoliticità della manifestazione, dunque, è stato soppiantato da orride croci celtiche che sventolavano tra i tir.
Al di là della terribile manifestazione estetica del movimento così come si è palesata in più luoghi, altre presenze allungavano le code dei mezzi degli autotrasportatori: cosa ci facevano esponenti di cosche mafiose tra i leader dei forconi?
Per fare dei nomi, personaggi come Vincenzo Ercolano, figlio di Pippo Ercolano e nipote di Nitto Santapaola, capi storici di Cosa Nostra nella Sicilia Orientale.
Ma soprattutto, come si poteva, nello stesso momento in cui la mafia suggeriva le mosse alle “forze d’urto”, esultare ciechi per una rivoluzione mal interpretata?
Ho trovato inquietante che le province siciliane, sull’onda di uno sconsiderato entusiasmo, si siano lasciate trascinare.
Cosa che è accaduta anche nelle vicinanze: parlando per giorni interi di forconi, si è deciso anche nella nostra oltremodo inattiva provincia di impugnare le “pale”, in modo davvero inopportuno.
Un fenomeno, a ben guardare, seriamente preoccupante, forse facilmente lasciato passare in sordina.
Gli esempi, nella vita, vanno scelti con attenzione.
Un esempio errato, può provocare più danni di quanti se ne possano immaginare.
Nella storia degli ultimi anni, di esempi di manifestazioni condotte pacificamente e civilmente, per ottimi motivi e con ottimi obiettivi, ve ne sono state.
Tuttavia, ispirati da un eccessivo spirito regionalista, solo i movimenti delle scorse settimane pare siano stati in grado di mettere d’accordo tutti: ideologie opposte, apolitici, rivoluzionari, professioni diverse, giovani e meno giovani. Insomma, una protesta strumentalizzata da estremisti, pilotata dalla mafia, intempestiva, ha avuto la meglio su anni d’impegno sociale libero e sincero.
Quello che poi mi ha portato a tali riflessioni, è stata l’improbabile associazione di rivendicazioni “nobili” con modalità di protesta che si riallacciavano al modello, apparentemente dirompente, dei Forconi.
Una discutibile manifestazione per l’aumento dell’accisa sulla benzina, come può essere confusa con anni di impegno per la tutela dell’acqua pubblica?
Come si può passare dall’apatia e dalla disaffezione da battaglie politiche e civili, ad un impulso partecipativo così applaudito ma al contempo talmente superficiale e pericolosamente generalizzante?
E dove sono stati coloro che, in modo alquanto inconsapevole evidentemente, si professano paladini locali dell’antimafia?
Mi piacerebbe che tutti coloro che hanno acriticamente applaudito una protesta che ha si bloccato, ma solo noi stessi, riconsiderassero le poco chiare posizioni assunte negli ultimi tempi.
Amare il luogo in cui si vive, o manifestare il dissenso, è cosa ben diversa, e comporta il trascorrere di tempi spesso lunghi e difficili.
Mi piacerebbe che invece di impugnare pale e forconi, la gente impugnasse i principi fondamentali e le idee sane, di una società civile che realmente possa dirsi libera.
Nelle settimane scorse, ci ha lasciati un grande siciliano, Vincenzo Consolo ed ognuno, naturalmente, l’ha ricordato.
Negli stessi giorni, però, ci si dimenticava di una sua “analisi” della nostra isola, ossia della differenza tra la sicilianità e la sicilitudine.
La sicilianità è un sentimento positivo, è solarità, è specialità consapevole ed orgoglio delle proprie radici; la sicilitudine, invece, è chiusura e solitudine, è una condizione in cui prevale l’incomunicabilità e l’immobilità.
La nuova rivoluzione tutta Siciliana, non è stata espressione di orgoglio per la propria appartenenza.
E’ stata sicilitudine, che non libera proprio nessuno.