No all’intervento imperialista in Siria. Sit-in contro l’intervento militare in Siria
“Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”. THOMAS SANKARA
I campioni di democrazia statunitensi non tradiscono la loro profonda vocazione “umanitaria”: con la benedizione di Israele, Gran Bretagna, Turchia, Francia, Germania ed Arabia Saudita, giorno 7 aprile alle 3.45 ora italiana, la Marina Usa ha lanciato 59 missili Tomahawk verso la base militare siriana di Shayrat da due navi americane di stanza nel Mediterraneo orientale, la Uss Porter e la Uss Ross. L’Italia, disciplinatamente, si accoda al coro dei plaudenti. Con la consueta, ipocrita e ripugnante retorica “dei civili e dei bambini” Trump, in perfetta continuità con il passato, rispolvera la macchina della rappresaglia per punire Assad.
L’attacco chimico a Khan Shaykhun (Iblid) è il pretesto per intraprendere una sporca guerra illegale, di aggressione e di rapina. Secondo Damasco, i missili rieducativi americani, hanno ucciso 9 civili, 6 militari e 4 bambini. Tutto questo avviene mentre il governo americano ammette candidamente la strage di 200 civili iracheni a Mosul, il 17 marzo scorso, dopo una serie di bombardamenti.
Ricordate le armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq? E quell’oceano di bugie contro Milosevic, riabilitato dalla Corte Penale Internazionale dopo la sua uccisione? E il rovesciamento di Gheddafi e la balcanizzazione in atto della Libia per la spartizione del bottino? E infine, i reports delle Nazioni Unite ed del Mas¬sa¬chus¬setts Insti¬tute of Tech¬no¬logy che confuta le accuse rivolte ad Assad sull’utilizzo nel 2013 di armi chimiche contro il suo popolo mentre furono i “ribelli” vicini ad Al Qaeda?
La storia recente ci dice non solo che questa metodologia è alla base degli ultimi attacchi imperialisti, ma ci dice anche che si è consolidata la convergenza tra imperialismo occidentale e importanti settori del radicalismo islamico jihadista tesa alla frantumazione degli Stati laici. Si ricorre abilmente alle proxy war per indebolire i legittimi Governi e realizzare, ad esempio, progetti di dominio e di controllo dell’area mediterranea e medio-orientale, fondamentale sul piano geostrategico e soprattutto energetico.
La Siria ha un territorio ricco di petrolio e gas naturale tanto che prima del conflitto era uno dei più grandi produttori d’energia del Levante. Con i suoi 130 pozzi di oro nero dislocati nella parte nord-est del Paese e i giacimenti di gas per 284 miliardi di metri cubi, allora le sue esportazioni di greggio erano floride seppur con qualche flessione rispetto agli anni precedenti a causa della crescita della domanda interna.
Adesso i terroristi ribelli controllano alcuni pozzi nel Paese: la compagnia petrolifera dell’Isis è infatti capace di produrre tra i 34mila e i 40mila barili di greggio ogni giorno venduti all’ingrosso per cifre che vanno dai 20 ai 40 dollari al barile per un reddito percepito di almeno 1,5 milioni di dollari. Un mare di dollari per finanziare le operazioni militari di tutta la costellazione del terrorismo internazionale di matrice jihadista presente in Siria: gli Jabbhat Al Nusra, wahabiti siriani o Tahirir al sham scissasi da al Qaida per essere accettata dai famigerati ribelli. Semmai ce ne fosse ancora bisogno, le ragioni di questi attacchi che potrebbero apparire di ordine puramente etico-morale sottendono considerazioni e scelte di carattere economico e quindi politico e sono da ricercare anche nella spartizione mediante cartello di importanti imprese statunitensi, britanniche, francesi ed israeliane operanti nei settori della difesa, della sicurezza, dell’energia e dei media che lavorano minuziosamente per la balcanizzazione della Siria. Stiamo parlando di potenziali risorse petrolifere e di gas offshore (in mare aperto) della Siria e del Mediterraneo orientale; questo avrebbe anche l’effetto di indebolire molto la posizione della Russia e dell’Iran nella regione. Inoltre il governo di Damasco si è opposto alla costruzione di una pepeline da parte del Qatar (alleato americano) che porti gas sul mercato europeo passando dall’Arabia Saudita, dalla Siria appunto e dalla Turchia.
Ovviamente i Maître à penser della “geopolitica”, i vassalli della NATO (organizzazione che riunisce gli eserciti dei paesi firmatari del trattato dell’atlantico del nord) e i media mainstream rendono semplice tutta l’operazione facendo deragliare intollerabilmente i fatti dai binari della verità. Fake news, giornalismo prezzolato, operazioni False flag ecc. inquinano la realtà avvelenando l’informazione e rafforzando i potenti.
La corsa al riarmo con massicci investimenti nell’industria bellica facendo schizzare le spese militari a quota 650 miliardi di dollari nel 2019, non ha nulla da invidiare ad un altro settore nevralgico in costante ascesa: l’industria della menzogna. La tecnica è assodata. Si crea il mostro, gli si attribuisce orrori di ogni sorta e poi, con l’opinione pubblica oramai narcotizzata e indirizzata, si parte con l’aggressione pianificata. Trump verrà a Taormina giorno 26 Maggio, nel vertice G7 mostrando i pettorali e, non facendo segreto delle sue mire espansionistiche, riaffermerà il proprio ruolo egemonico mondiale. Anche il 27 di maggio contesteremo con tutte le nostre forze l’agenda G7 delle potenze capitalistiche che si configura come un vero e proprio massacro sociale e si iscrive a pieno titolo nello strumentario della governance neoliberista che dobbiamo combattere.
Con la guerra ci si guadagna tre volte: con la rapina delle risorse e con il controllo del territorio, con la vendita di armi e con la ricostruzione. É il capitalismo, bellezza!
Ancora oggi urliamo che non un solo uomo, non un carro armato e non una sola base deve essere utilizzata per questo conflitto costruito ad hoc per i soliti interessi economici e imperialisti; il nostro paese non può essere complice dell’ennesima guerra dis-umanitaria. Chiediamo a tutte le forze politiche, associazionistiche, sindacali e singoli cittadini indignati contro queste inaccettabili guerre di scendere in piazza e manifestare tutta la rabbia e la netta opposizione a questa aggressione, a queste guerre che producono morte e distruzione.
Per fare questo è necessario costruire in ogni città un fronte antimperialista che solidarizzi con il popolo Siriano e la Resistenza che combatte il terrorismo e che esiga immediatamente:
• Nessun intervento militare in Siria.
• Il Blocco immediato del Muos. La Sicilia è un avamposto strategico, una presenza-chiave sulla linea del fronte nel Mediterraneo.
• Il divieto di utilizzo di basi, infrastrutture e depositi militari USA /NATO presenti sul territorio italiano e conseguentemente la loro progressiva dismissione.
• Uscita immediata dalla NATO.
Sit-in sotto il Palazzo del Governo di Messina giorno 12 aprile alle ore 16,00
Comitato messinese contro la guerra
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