L’ultimo sfregio alla memoria di Sergio Ramelli: il caso della libreria Feltrinelli di Milano. La denuncia da parte dell’autore Giuseppe Culicchia
Per quanto vi crediate assolti, sarete per sempre coinvolti
Cinquant’anni sono passati dalla morte di Sergio Ramelli, ma il suo nome continua a dividere, a scuotere coscienze e a suscitare polemiche. L’ultima, segnalata dallo scrittore e giornalista Giuseppe Culicchia, riguarda un fatto avvenuto alla libreria Feltrinelli della Stazione Centrale di Milano, dove una copia del libro Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio sarebbe stata esposta capovolta, come a voler ribaltare simbolicamente la memoria della giovane vittima.
Culicchia, indignato, ha denunciato l’episodio con un post dal tono duro e amaro:
“Ora alla libreria Feltrinelli in Stazione Centrale a Milano. Ci sono persone che dovrebbero vergognarsi di stare al mondo. Ma non sanno cos’è, la vergogna. Pasolini scrisse che si trattava di razzismo: non sbagliava. Per quanto vi crediate assolti, sarete per sempre coinvolti.”
Parole che rievocano un passato di violenza politica mai del tutto sepolto e che richiamano alla memoria il clima degli anni ’70, quando il giovane Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, fu brutalmente aggredito sotto casa da esponenti di Avanguardia Operaia. Un’aggressione che lo condannò a quaranta giorni di agonia, prima della morte avvenuta il 29 aprile 1975.
Una memoria scomoda
La vicenda di Ramelli è stata per decenni un nervo scoperto della storia italiana, un simbolo della violenza politica di quegli anni, spesso minimizzata o strumentalizzata.
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha rievocato recentemente quei giorni, affermando che Milano fosse come Belfast:
“Da noi c’era una guerra civile che riguardava 20mila a sinistra e mille a destra, come certificò il rapporto del prefetto Mazza. Tra loro e noi c’era una sproporzione anche di retroterra. A sinistra c’era il potere, il cinema, la cultura. Noi eravamo soli.”
Quel senso di solitudine e di emarginazione sembra ripresentarsi ancora oggi, a distanza di mezzo secolo. L’episodio della Feltrinelli si inserisce in un contesto più ampio, in cui la memoria di Ramelli continua a essere oggetto di tensioni ideologiche. Non è la prima volta che il suo nome viene irriso: negli anni, slogan infamanti hanno accompagnato cortei studenteschi, e la sua storia è stata spesso relegata a un angolo scomodo della narrazione ufficiale.
Vergogna e responsabilità
Se l’esposizione capovolta del libro può essere vista come un gesto simbolico, essa rappresenta anche un segnale più profondo: la difficoltà, ancora oggi, di riconoscere e rispettare la memoria di chi cadde vittima di un odio che non dovrebbe più appartenere alla nostra società.
Come ricordava Pasolini, il vero dramma non è tanto la violenza in sé, quanto l’incapacità di provare vergogna per essa. E se la memoria è selettiva, la giustizia storica non dovrebbe esserlo.
Sergio Ramelli non era un criminale, né un terrorista: era un ragazzo di 19 anni, ucciso per le sue idee.
Onorare la sua memoria non significa schierarsi politicamente, ma riconoscere che la violenza politica, in qualsiasi forma, è sempre e comunque un crimine.
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