Il caso Antoci. Le polemiche e la polvere. Il rischio è che si lasci un uomo solo. Il pericolo è che nella confusione si generano mostri e ombre. Quando ragion di stato, ambiguità, poca certezza vengano cavalcate ad arte da politici e fattucchiere, ed intanto a “governare” il Parco andrà un ufficiale del Corpo Forestale, “noto per avere condotto impegnative indagini di polizia giudiziaria – dice Musumeci- Noi non abbiamo scelto un dirigente di partito. Appare disarmante come, ancora una volta, l’antimafia diventi strumento di campagna elettorale”. Ma Antoci è già caso nazionale, e i sindaci lo rivogliono.

Un simbolo non solamente è un elemento grafico, ma a volti diventa linguaggio per comunicare, assume sembianze umane, ne diamo un volto, colore.
Elementi che racchiudono una mole notevole di significati, che oggi invadono i social, i media, con miriadi di significati.
I simboli sono dunque l’anello finale di un sistema linguistico infinitamente più complesso di cui spesso percepiamo singole parole e non il senso d’una frase e vanno considerati nel contesto in cui esso viene espresso.
Decontestualizzando il simbolo si perde la possibilità d’intendere il suo senso più profondo.
O peggio, un simbolo buttato giù, infranto senza motivo, – senza rimpiazzi – senza risposte, diventa confusione, rischia di diventar un eroe, un feticcio, la genesi di altro.
Ecco per esempio Antoci.
Da bancario a “benemerito della Repubblica”, premiato da Mattarella con un protocollo che diventa legge e che porta il suo nome. Un attentato – alla vecchia maniera – dal quale esce illeso; gli uomini della polizia che gli fanno da scorta che lo osannano; fumo negli occhi per la mafia dei pascoli e che s’ingrassava con i finanziamenti europei.
Presenzialista quanto basta, ospite d’onore in convegni e congressi, ma concreto e deciso.
Uomo di Michele Emiliano all’interno del Pd, qui Renzi l’ha voluto prima alla Leopolda e poi al vertice del dipartimento Legalità, ma anche uomo, coriaceo e cocciuto, scomodo in quel partito che l’ha messo all’angolo durante le scelte delle ultime candidature mentre in tanti lo davano in una posizione sicura che l’avrebbe portato direttamente a Roma, preferendolo di fatto al rettore Navarra.
Ecco simboli scomodi, a 360°, e forse per questi attrattori.
Ora Mususmeci, e difficilmente si poteva prevedere il contrario, lo silura, lo sostituisce anzitempo, e scatena la bagarre.
Nessuno si beve la storiella, nel suo caso, dello spoils system, o i virgolettati di circostanza.
Squallide anche alcune difese d’ufficio per Peppe Antoci.
Ecco – in questo caso – quel che ci vuole è la chiarezza.
Capire le scelte, anche senza condividerle… altrimenti questa terra non sarà mai Bellissima.
Anche perchè qui la cacciata di Antoci sembra proprio un segnale chiaro, netto, evidente.
Quello che ha fatto arrabbiare 22 sindaci dei comuni della zona. “Siamo preocupati, perché dopo anni di commissariamenti abbiamo finalmente visto ripartire l’ente che è diventato volano di sviluppo e attrattiva turistica”, che hanno scritto al governatore chiedendogli il classico passo indietro.
Hanno detto:
Nello Musumeci
“Come per tutti coloro che sono impegnati nella lotta per la legalità, ho avuto grande rispetto anche per il dottor Antoci, al quale ho testimoniato solidarietà e vicinanza nel mio passato ruolo di presidente della Commissione regionale antimafia. Per questo il suo ‘protocollo’ sarà certamente applicato in molti altri enti, oltre che al Parco dei Nebrodi. Resto basito, quindi, per una polemica da campagna elettorale nei confronti di un governo che, nelle prime settimane dal suo insediamento, ha nominato alti ufficiali, magistrati e prefetti, con uno spirito di servizio alle istituzioni che non può essere scalfito da insinuazioni pericolose e diffamatorie, consapevoli come siamo che la lotta alle mafie si esercita, senza ostentazioni, con impegno e nel silenzio del dovere”.
kChe aggiunge: “Ancora più incomprensibile è l’ipocrisia del Partito democratico che, se avesse voluto, avrebbe potuto valorizzare un proprio dirigente regionale, come Antoci, impegnato in tutte le campagne elettorali recenti, proponendolo per il Parlamento. Ma il partito ha preferito lasciarlo fuori. Dal canto nostro, abbiamo esercitato – senza alcuna eccezione per tutti gli enti regionali – il diritto allo spoils system, applicando una legge del governo Crocetta, peraltro voluta proprio dal partito di Antoci. E al Parco dei Nebrodi abbiamo destinato un ufficiale del Corpo Forestale, noto per avere condotto impegnative indagini di polizia giudiziaria. Noi non abbiamo scelto un dirigente di partito. Appare disarmante come, ancora una volta, l’antimafia diventi strumento di campagna elettorale”.
Beppe Lumia: “La mancata conferma di Giuseppe Antoci alla guida del Parco dei Nebrodi è un regalo alla mafia quale interesse politico è stato ritenuto così prioritario – aggiunge – al punto da sacrificare un percorso virtuoso di legalità e sviluppo come quello portato avanti da Antoci? Quale assetto di potere si è voluto ripristinare? Certo c’è da dire che anche il Pd ha fatto scelte negative che vanno in questa direzione, se si considerano le candidature per le politiche”.
“Con questa scelta l’esposizione al rischio aumenta ulteriormente. Il Parco dei Nebrodi è stato un modello virtuoso e positivo conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, perché ha saputo coniugare legalità e sviluppo. Infine – conclude – voglio sottolineare che Antoci non ha incrociato la ‘mafia dei pascoli’, come riduttivamente e furbescamente qualcuno sostiene per minimizzare la portata della sfida, ma la ‘mafia dei terreni’, violenta, ricca e potente, in grado di fare affari e produrre profitti superiori allo stesso traffico di droga. Una mafia che per anni ha sottomesso i giovani e gli operatori economici del settore al giogo delle famiglie mafiose dei Galati, Giordano, Bontempo Scavo, Mignacca, Batanesi, Conti Taguali, Costanzo, Foti Belligami”.
Ha detto Antoci:
“Io non avevo ambizioni personali ma certo, dopo averne tanto parlato, la mia mancata candidatura ha fatto brindare un po’ di gentaglia”,
“Ringrazio il presidente Musumeci che, attraverso la mia rimozione mi ha fatto comprendere, in maniera inequivocabile, da quale parte sta”,il commento a pochi minuti dopo la sua cacciata.
“Mi chiedo che fretta ci fosse“
Gian Carlo Caselli, oggi presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura di Coldiretti:
«Conosco la capacità, la forza, la dirittura morale di Antoci, ha ideato un protocollo di legalità, poi diventato legge dello Stato, che sta contribuendo al contrasto delle agromafie».
Il presidente di Federparchi Italia, Giampiero Sammuri ricorda «il suo quotidiano sacrificio, un atto di amore e coraggio verso la Sicilia, che evidentemente a qualcuno dà fastidio».
Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto: «in Sicilia rimuovere chi combatte contro la mafia non è mai una bella cosa, siamo preoccupati per la sicurezza di Antoci, il cui rischio di incolumità aumenta esponenzialmente ma noi non lo lasceremo solo».
Articolo 21: «togliere l’incarico di Presidente del Parco dei Nebrodi vuol dire isolarlo e chi lotta la mafia e agisce così bene come Antoci, non ha bandiera o appartenenza politica, non è questione di partiti o movimenti. Non comprendiamo come sia possibile che una persona che stava per perdere la vita, scampando ad un attentato, per le sue scelte contro la mafia dei Nebrodi, possa essere archiviato con un colpo di penna».
Per il governatore della Puglia e leader di Fronte democratico, Michele Emiliano:
«questa mancata conferma è un regalo alla mafia» ed «è incredibile che la legge sul cosiddetto spoil system in vigore alla Regione Sicilia, venga utilizzata anche nei confronti di chi, a parere unanime di tutta la comunità nazionale, ha svolto il suo ruolo con assoluta dedizione, capacità, e soprattutto a rischio della sua stessa vita. E questo “ringraziamento” che viene dato a Giuseppe Antoci per tutto il lavoro che ha fatto, certamente non incoraggerà i funzionari dello Stato e della Regione Sicilia che continueranno la lotta alla mafia».
Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi e tra i promotori della lista Insieme:
«Con la rimozione di Antoci si ammazza la speranza di cambiare la Sicilia e si schiaffeggia la legalità e possiamo dire che è vergognosa la decisione di Musumeci, si è rimosso da un incarico un servitore dello Stato che ha difeso la legalità e per questo ha subito un agguato di mafia mettendo a rischio la sua vita».
Per inciso il Protocollo Antoci, dati alla mano, è probabilmente della più importante legge antimafia dopo quella approvata nel 1982 su input di Pio La Torre che aveva capito che per fare male ai boss bisognava togliergli le “roba“, confiscargli le ricchezze accumulate: un’intuizione fondamentale.
Pio La Torre l’ha pagata con la vita.
Lo stesso conto Cosa nostra voleva presentarlo al presidente del parco dei Nebrodi, colpevole di aver avuto un’idea semplice ma efficace quasi quanto quella di La Torre.
Su quell’attentato si sono spesi fiumi di parole…. chiacchiere!
Il protocollo Antoci, altro non è che un accordo stipulato nel 2014 con l’allora prefetto di Messina, Stefano Trotta.
Una norma che prevede l’obbligo per i concessionari dei terreni demaniali – cioè gli affittuari degli appezzamenti di proprietà delle Regioni – di presentare il certificato antimafia.
Sembra una cosa ovvia, ma fino a quel momento nessuno lo aveva mai chiesto, soprattutto per i terreni che valgono meno di 150mila euro.