A Siracusa si riaccende il dibattito sulla memoria storica e sulla violenza politica del passato, dopo la proposta dei consiglieri comunali Paolo Cavallaro e Paolo Romano (Fratelli d’Italia) di intitolare una via cittadina a Sergio Ramelli, il giovane militante del Fronte della Gioventù brutalmente aggredito a Milano nel 1975 da militanti di Avanguardia Operaia e morto dopo 47 giorni di agonia.
Ramelli, all’epoca appena 18enne, fu preso di mira per un tema scolastico dai contenuti ritenuti “fascisti” e aggredito a colpi di chiave inglese.
A riportare la vicenda al centro della scena politica siracusana è stato un post dell’onorevole Fabio Granata, – anche lui a quei tempi milante in prima linea del Fronte della Gioventù – che ha elogiato la proposta dei due consiglieri e criticato le obiezioni espresse dal consigliere comunale Andrea Buccheri, contrario all’intitolazione. “Sergio non era un violento, ma un ragazzino inerme, massacrato per le sue idee – scrive Granata –. Definire questa proposta ‘divisiva’ è un modo per continuare a non fare i conti con il dolore e l’umanità delle vittime di destra.”
Granata invita Buccheri e la sinistra a un gesto di maturità politica e storica: “Se davvero vogliamo una memoria condivisa, perché non affiancare a Sergio il nome di un giovane militante della sinistra assassinato in quegli anni? Non per la stessa strada, ma per una parallela, che vada nella stessa direzione: quella della riconciliazione e del rispetto reciproco.”
Il caso Ramelli, ancora oggi, a cinquant’anni quasi dalla sua uccisione, continua a sollevare polemiche e divisioni.
Da una parte, chi ne reclama il ricordo come simbolo di un’epoca tragica in cui l’odio politico colpiva giovanissimi di ogni schieramento; dall’altra, chi teme che il suo nome possa essere strumentalizzato per una riscrittura ideologica della storia.
A dare ulteriore eco al dibattito siracusano è arrivata una nota scritta dal carcere di Rebibbia da Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e figura storica della destra italiana, attualmente detenuto. In una riflessione amara e personale, Alemanno rievoca il clima politico degli anni ’70 e ’80, segnati – dice – da violenze bilaterali, ma anche da gravi omissioni giudiziarie che hanno colpito in particolare i giovani militanti di destra.
Lui nel suo “Diario di cella”, al capitolo 11, Alemanno ricorda Francesco Cecchin, anche lui militante del Fronte della Gioventù, morto nel 1979 dopo essere stato aggredito e scaraventato da un balcone, e Paolo Di Nella, ucciso nel 1983 mentre affiggeva manifesti. “Omicidi impuniti – scrive – che hanno segnato una generazione e hanno alimentato rabbia e lotta politica. Ma oggi, la nostra risposta deve essere diversa. La memoria di quei ragazzi deve unire, non dividere.”
In questo clima, la proposta di intitolare una via a Sergio Ramelli diventa molto più che una questione toponomastica. È un simbolo di come l’Italia stia ancora facendo i conti con le ferite non rimarginate degli anni di piombo. La scelta di Siracusa potrebbe diventare un precedente importante: non tanto per il singolo nome, quanto per il metodo e per il messaggio che può trasmettere.
“Sarebbe bello – scrive ancora Granata – vedere Ramelli accanto a Fausto Tinelli o Lorenzo Iannucci, a Valerio Verbano o ad altre giovani vittime di quella stagione insensata. Non per riscrivere la storia, ma per ricordarla tutta.”
La memoria non può essere selettiva, questo è il punto su cui sembra aprirsi uno spiraglio: una doppia intitolazione, che testimoni l’abisso della violenza politica e l’urgenza di una vera pacificazione storica.
Il Consiglio comunale di Siracusa è ora chiamato a decidere. E, con esso, la città intera. Ramelli fa ancora paura, sì – ma forse proprio per questo va ricordato. Come tutti i giovani uccisi per le loro idee.