Un Auditorium gremito come non si era mai visto, compresa la galleria, con gente anche in piedi, mentre altra è rimasta fuori, ha accolto ed acclamato Stefano Bollani in occasione del suo attesissimo concerto “Piano Solo”, organizzato dalla Filarmonica Laudamo.
Grande soddisfazione, quindi, fra i messinesi che amano la grande musica, i quali non dimenticheranno tanto facilmente questo evento.
L’ultima volta, il pianista milanese, si era esibito da queste parti per il Womad il 25 settembre del 2009, ma allora le avverse condizioni meteo tennero lontano la gente dal teatro antico di Taormina, dove piovve per tutta la serata.
Era quindi tanto il desiderio di rivedere finalmente all’opera dal vivo l’eclettico musicista che, giorno dopo giorno, non smette più di stupire, in virtù della sua continua crescita artistica, che lo ha ormai portato sulla vetta del mondo.
Solo per indicare alcuni riconoscimenti, nel 2006 la rivista Musica Jazz lo ha proclamato musicista italiano dell’anno, ed in quello successivo, nella speciale classifica del Downbeat, si è piazzato all’ottavo posto fra i nuovi talenti del jazz mondiale e terzo fra i giovani pianisti. Sempre nello stesso anno gli esperti della rivista All About Jazz lo hanno eletto fra i cinque musicisti più importanti, accanto ad icone del jazz come Ornette Coleman e Sonny Rollins.
Da quel momento sono passati quasi cinque anni, ed il talentuoso pianista milanese, affermatosi alla corte di Enrico Rava, ha sempre dato il meglio di sé, proseguendo con incisioni ed esibizioni di grande valore, spaziando tra svariati generi in cui ha fatto incontrare il jazz con la musica classica, la bossa nova, la canzone d’autore e tanto altro ancora. Per non parlare delle sue eccellenti doti di conduttore di trasmissioni radiotelevisive di successo, come “Il Dottor Djembè” e “Sostiene Bollani”.
Quanto ai generi espressi nell’esibizione messinese, si può ben dire che Bollani, dall’alto del suo genio, accompagnato da fantasia, creatività e simpatia, abbia proprio accontentato tutti.
Ha, infatti, esplorato e percorso i principali mondi musicali d’autore, partendo da ciò che sta a cavallo tra classico e moderno, proseguendo con ricche tematiche carioca in chiave jazz, per finire con uno dei suoi veri e propri show, che ha mandato in visibilio platea e galleria del Palantonello.
Quantunque sia sempre un azzardo strutturare e delineare i concerti di Bollani, in linea generale, il pianista ha scelto e portato a compimento un tema dicotomico, suddiviso tra George Gershwin, compositore tra i suoi preferiti, e Antonio Carlos Jobim, grande autore brasiliano, padre della bossa nova.
Nei confronti di quest’ultimo, in particolare, il pianista ha una particolare predilezione, frutto della grande passione, dimostrata, tra l’altro, con l’album “Falando de Amor” (Venus, 2003 – Egea, 2009), dalla tournée brasiliana del 2006, e dal successivo, riuscitissimo, progetto ed album “Bollani Carioca” (Universal music, 2008).
Cinque brani di Gershwin e altrettanti di Jobim non inducano tuttavia ad un’idea riduttiva su quasi due ore di concerto vissuto con grande intensità.
“Summertime”, ad esempio, celebre brano di “Porgy & Bess”, non finisce mai di piacere, contenendo sempre qualche innovazione data dalla chiave interpretativa che gli si dà. In esso, Bollani, ricerca ed individua bene cosa inserirci dentro, penetrando nelle sue frasi ed arricchendolo del sua creatività, suscitando l’attenzione del pubblico lasciato spesso nell’attesa della ripresa del tema principale.
La velocità ed i virtuosismi del pianista trovano ottimo terreno in “I got Rithm”, rappresentato come solo i grandi del jazz sanno fare, a tal punto che qualunque “maestro” ne apprezzerebbe la fattura.
La calda stesura di “Someone to watch over me”, fa ritornare in platea l’atmosfera di un piano articolato su tempi lenti che accompagnano temi complessi ed introspettivi, mentre con “But not for me”, brano sempre di Gershwin, anch’esso molto famoso, le pregiate dita del pianista riacquistano ritmo, spazio e velocità, in un percorso entusiasmante che si interrompe con la chiusura della sessione dedicata al celebre compositore di Brooklyn.
“Luiza” è il pezzo con cui inizia il tributo a Jobim: un bellissimo waltz che emana raffinatezza e sentimento propri della terra carioca che l’arte di Bollani amplia e arricchisce ulteriormente di contenuti, regalando un’atmosfera straordinaria.
Con ”Agua de beber” il tuffo nell’incantevole mondo carioca si completa, e le dita di Bollani, ormai perfettamente allenate dopo quasi un’ora di concerto, iniziano a macinare piacevolissimi chilometri a ritmi vertiginosi. Il jazz incontra la bossa nova come meglio non potrebbe, e gli scroscianti applausi esplosi in teatro alla fine del brano ne sono la testimonianza.
Al terzo brano sul tema carioca ecco realizzarsi lo Stefano Bollani cantante. Il pezzo è tra i più belli e famosi del repertorio jobiniano: “Águas de Março”. Il pianista canta con trasporto e sentimento concedendosi anche qualche giochetto vocale e pianistico.
Senza voce, ma con uguale passione, Bollani prosegue con “Falando de amor”, dove la melodia aziona suggestioni che avvolgono la platea.
“Garota de Ipanema”, la più famosa e gettonata canzone brasiliana dei nostri tempi, scritta da Jobim assieme a Vinicius de Moraes e reinterpretata tantissime volte in chiave jazz, è l’occasione che il pianista coglie per cimentarsi nuovamente nel canto, l’improvvisazione e la rivisitazione del brano. Tra alti e bassi, rallentamenti ed accelerazioni improvvise, serietà ed ironia, Bollani fa un amalgama intercalando il tutto con del swing: è adesso che il pianista smette le vesti “serie” e prepara lo show finale.
Bloc – notes alla mano, come se stesse prendendo delle ordinazioni, offre agli spettatori l’opportunità di scegliere brani di loro gradimento, scatenando le più svariate richieste, dinnanzi alle quali, così com’ è solito fare, non si tira certo indietro: “Tico Tico no fubà”, “Copacabana” (esilarante, famosa imitazione di Paolo Conte), “Estate”, “Ti parlerò d’amore”, “Bolero”, “Per Elisa”, “Libertango”, “The man I love”, diventano i variegati ingredienti di un medley mozzafiato, in cui il pianista trasforma lo strumento in una macchina dei sogni, considerandolo una parte di sé, qualcosa di cui egli dispone completamente.
Le mani sulla tastiera eseguono un accenno di brano, mentre la sua testa è già rivolta ai prossimi che verranno, alle improvvisazioni, ed agli altri ancora su cui intende tornare, alternandoli secondo uno schema elaborato in frazioni di secondo, in cui non tralascia praticamente nulla. E si tratta, ovviamente, di interpretazioni richieste dal pubblico in modo estemporaneo, e che quindi Bollani assembla ed improvvisa al momento, con completezza tecnica.
Assistendo a tutto ciò, anche chi è solito frequentare le platee in occasione di eventi musicali, avverte la sensazione di trovarsi davanti un fenomeno.
E come se non bastasse, egli si cimenta anche nella recitazione: “La gnosi delle fanfole”, è una raccolta di 16 poesie in linguaggio meta-semantico, composte da Fosco Maraini, e musicate nel 1998 da Bollani, insieme al cantautore Massimo Altomare. Lavoro su cui egli ironizza, ma che rispetta profondamente.
Si tratta di vocaboli che non esistono, ed il cui scopo è quello di provocare sensazioni e reazioni diverse a seconda di chi ascolta, ma anche di chi recita, considerata l’armonia, l’espressività ed il senso ironico che Bollani ha dimostrato di possedere quando ha inscenato “Il lonfo”, primo componimento dell’opera.
La recitazione ha anticipato la performance finale, iniziata proprio con un brano dal titolo “Gnacche la formica” rielaborazione de “La cicala e la formica”.
E nella straordinaria suite finale, in un sontuoso divenire di note ed emozioni, lampi di humor e colpi da fuoriclasse, non poteva mancare “Rhapsody in blue”, classico dal fascino insuperabile, che il pianista ha inciso nel 2010 (etichetta Universal music) con l’orchestra della Gewandhaus di Lipsia, diretta dal maestro Riccardo Chailly.
Finale, quindi, come l’inizio, nel segno di Gershwin, ma soprattutto di Stefano Bollani, che non smette mai di stupire.
Corrado Speziale – testo e foto