Il terrorismo nero, gli anni di piombo “a destra”, lo spontanesimo armando, sentirsi reduci e dannati di Salò, traditi dai camerati dell’allora movimento sociale, combattenti senza patria.
Poi le sigle di una costellazione anarchico-fascista-insurrenazionale, dove malavita, movimenti rivoluzionari, campi armati, latitanza, rapine e vendette, diventavano “normalità” e aggregavano più dell’ideologia.
Parole come Onore e Fedeltà diventavano simboli più delle “celtiche” e delle asce bipenne spruzzate sui muri.
Un mondo di guerrieri consapevoli di andaere verso la morte, la sconfitta, ma mai domi nè reduci.
I morti sotto casa, le aggressioni, e poi diventare oggetti di depistaggi, vittime sacrificali predestinate, con stragi, mai compiute tatuate sulla fedina penale a sangue.
Il carcere, la vita dura dentro il “sistema che hai combattuto e che ti vuole morto”.
Morti per tutti e poi la dignità di non pentirsi, di non scendere a patti.
Storie di uomi e donne che non hanno fatto la storia ma che hanno portato un loro carico di morte e dolore, che uccidevano l’uomo perchè portava una divisa, una toga, perchè aveva tradito … perchè era un simbolo.
Storie che hanno dietro famiglie e vite spezzate che oggi rivivono altre “normalità” tra “nessuno tocchi Caino” e servizi sociali, che hanno pagato il loro debito con lo stato ma non con la vita.
Storie di un’Italia che vuol cancellarle.
Ingombranti, scomode, diverse da quelle della controparte “rossa”.. ma molto simili.
Chi ha scelto allora il terrorismo, la clandestinità, la lotta armata aveva vent’anni.
Ha fatto scelte radicali.. ha sparato.
Oggi due film parlano di quello spaccato politico.
Di una destra che sparava e lottava, che non andava alle manifestazioni, che non era con Fini nè con Almirante. Aveva amato Rauti ma poi l’avva abbandonato. Che leggeva Evola, e Guevara, tra miti e riti, che amava Drieu De La Rochelle e che aveva compreso che il “sogno americano” era una trappola, che sognava il gesto estremo di Mishima e parteggiava per i combattenti dell’Ira e dell’Olp.
Due film da vedere dedicando qualche attimo al pensiero di quegli anni, così lontani, così vicini, agli amici che hai visto morire su una barricata, dentro una galera, in un portone, nel pub di Londra, dove vivevano ormai in esilio.
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‘Bologna 2 agosto… i giorni della collera’,
Nella finzione cinematografica sono Alverio Fiori (Giuseppe Maggio) e Antonella de Campo (Marika Frassino), ma la storia che i due registi Giorgio Molteni e Daniele Santamaria Maurizio mettono in scena nell’indie ‘Bologna 2 agosto… i giorni della collera’, in uscita il 29 maggio in circa 50 copie distribuito da Telecomp Planet Film Production, è quella dei due terroristi di estrema destra Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
Una vicenda ripercorsa con un linguaggio molto semplice, dal loro incontro nel 1978 all’arresto nel 1982, passando per gli anni di piombo, con la strage di Bologna, tra indagini e depistaggi, dubbi e interrogativi.
”Un film su Mambro e Fioravanti non era mai stato fatto prima perché il cinema italiano non è libero – dice Molteni – Affrontando una tematica come questa rischi poi di smettere di lavorare, molti miei colleghi mi hanno chiesto se fossi pazzo a volerlo fare. Forse noi siamo più incoscienti, o forse più bravi e coraggiosi”.
Dieci anni fa già Francesco Patierno (che nel 2011 ha comunque realizzato su Fioravanti un docufilm) aveva progettato di raccontare i due terroristi in un film, Banda Armata, prodotto da Claudio Bonivento e Istituto Luce ma il progetto era stato fermato in fase di pre-produzione dopo le proteste dei familiari delle vittime e un esposto di Mambro e Fioravanti.
Qui il film, che ha nel cast, fra gli altri, anche Martina Colombari, Lorenzo Flaherty, Lorenzo De Angelis, Roberto Calabrese, Tatiana Luter, Luca Biagini, è costruito sulla base dei documenti processuali, mescolando, fatti e personaggi reali (fra gli altri Licio Gelli,i terroristi Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, il sostituto procuratore Mario Amato ucciso dai Nar), sempre attraverso nomi fittizi, ad alcuni di fantasia, come quello di Barbara, terrorista che decide di costituirsi, ma non le sarà possibile farlo.
”Abbiamo voluto fare un lavoro artistico basandoci sulla realtà – spiegano i due registi -prestando massima attenzione alle verità processuali, che tornano anche attraverso l’inserimento delle scene tratte dai telegiornali dell’epoca e le didascalie sui fatti”. La decisione di non utilizzare i veri nomi di Mambro e Fioravanti ”è stata presa con la produzione.
Non volevamo correre il rischio ci venisse negata l’autorizzazione al film, e non sentivamo il bisogno di confrontarci con loro, volevamo mantenere la nostra autonomia autoriale. Per lo stesso motivo a realizzarlo è una produzione indipendente”.
Tra i nodi principali del racconto, quello della Strage di Bologna: ”Mambro, Fioravanti e Ciavardini, condannati per la strage, si sono dichiarati sempre estranei ma per quanto mi risulti non è mai stata chiesta la revisione del processo – dice Santamaria Maurizio -. Noi non abbiamo assunto una posizione innocentista ne’ colpevolista, volevamo solo mostrare i fatti che la magistratura ha accertato, ben lungi da noi presentare piste alternative.
Ne capiremo di più quando chi governa si deciderà a desecretare gli atti, Renzi mi pare abbia detto di volerlo fare”.
I due registi hanno voluto evitare che il film creasse sentimenti di immedesimazione da parte del pubblico, con Mambro e Fioravanti: ”Volevamo essere quasi didascalici, e mandare un messaggio chiaro e preciso ai ragazzi di oggi, non cedere, per un concetto di libertà distorta, a un percorso criminale e assassino”.
Per Marika Frassino, al debutto sul grande schermo ”interpretare la Mambro non è stato facile, ho cercato di evidenziare la sua determinazione ma anche la sua voglia di protagonismo”. Mentre Maggio per rendere Fioravanti si è preparato ”leggendo un libro su di lui e guardando alcune sue interviste.
Mi ha colpito la ‘normalità della sua vita prima di diventare terrorista.
Lui diventa espressione di una società dominata dalla violenza”.
Altro film interessante su quel periodo appena uscito è
“Sangue Sparso”della regista esordiente Emma Moriconi.
Sette Gennaio 1978: agguato di Acca Larentia, quartiere romano del Tuscolano.
Cinque ragazzi si trovano fuori da una sezione missina per andare a svolgere servizio di volantinaggio.
Una serata come un’altra, ma all’improvviso tutto cambia e inizia una delle storie più fosche e travagliate d’Italia.
Alcuni uomini armati si scagliano contro i giovani militanti di destra, aprendo il fuoco su di loro e uccidendone due: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. La stessa sera un’altra vittima, Stefano Recchioni.
Cinque anni tormentati, quelli tra il 1978 e il 1983, in cui si sviluppa la trama di “Sangue Sparso”, lungometraggio della regista esordiente Emma Moriconi.
Un’opera prima che ha ricevuto la qualifica di “film di interesse culturale” dal Mibac, Ministero per i beni e le Attività Culturali, per la sua capacità di attirare l’attenzione su un’epoca, quelli degli anni di piombo, ancora oggi avvolta nel mistero.
Per la prima volta le storie di quei giovani vanno sul grande schermo: sono i ricordi di un militante di destra, che ha visto il “sangue” dei suoi amici “sparso” lungo i marciapiedi, a ripercorrere con la memoria quegli anni dolorosi e luttuosi. “Sangue sparso” ricorda così le giovani vite spezzate dei militanti di destra e non dimentica di raccontare anche i lutti che in quegli anni maledetti colpirono tanti altri giovani militanti di sinistra.
Un film in cui “il messaggio sociale è di grandissima rilevanza: rispetto per la vita umana, solidarietà sociale, pacificazione sociale, rifiuto della violenza e di ogni forma di discriminazione.”- dichiara la regista.
“E’ proprio ai giovani che è diretto prevalentemente il messaggio di carattere sociale, sotto un duplice punto di vista: da una parte mostrare come l’odio e la discriminazione portati all’esasperazione siano capaci di portare ad epiloghi di dolore e di morte; dall’altra riflettere sull’importanza dell’ideale, da una parte come dall’altra, nella vita dei giovani, i quali, se motivati da passioni non esasperate, vissute con maturità e con il rispetto degli altrui punti di vista, possono avere l’opportunità di fare tesoro da un’esperienza anche di militanza politica, se fondata sul ripudio assoluto della violenza.
Nel lungometraggio “Sangue sparso” gli anni di piombo sono visti con gli occhi di un “sopravvissuto”, raccontati da chi li ha vissuti e sofferti in prima persona, da chi ha perso i propri amici durante una guerra assurda, inutile, senza senso”.
A sottolineare l’originalità dell’opera prima le musiche inedite composte e orchestrate da Paolo Carlomè. Il film prodotto da 150° Produzioni Italiane con la collaborazione dell’Associazione Culturale La Giara Nera, è stato ammesso al Festival “Un film per la pace” 2014. La distribuzione è curata dalla Flavia Entertainment.