Per il presidente onorario delle associazioni antiracket dopo aver auspicato la crescita di una vera cultura della legalità tra tutti gli imprenditori, bisogna che “i commercianti rompano l’indifferenza”.
«E’ indispensabile che l’esperienza straordinaria dell’associazione antiracket nata a Vieste si estenda a tutta la Capitanata e in primo luogo alla città di Foggia Un’associazione che però non deve essere calata dall’alto, non può e non deve essere l’iniziativa del Comune.
Non è così, A volerla devono essere i commercianti e gli operatori economici. Sono passati vent’anni dall’omicidio di Giovanni Panunzio, non si può continuare a far finta che non si paghi il pizzo».
Tano Grasso, presidente onorario delle Federazione delle Associazioni antiracket e antiusura alla vigilia della giornata – della trasparenza e della legalità in programma il sei novembre nell’aula magna dell’Università, sente il bisogno di fare un appello al tessuto economico e imprenditoriale foggiano.
Ma soprattutto a chiarire e sottolineare in che modo aiutare la nascita di un’associazione: «Per Vieste fui contattato dal Comandante provinciale dei Carabinieri perché erano stati alcuni imprenditori a chiedere’ aiuto – spiega Grasso – Vieste mi ha ricordato Capo d’Orlando, anche sul Gargano la presenza criminale aveva un radicamento antichissimo.
Anche qui chi ha deciso di denunciare si è messo al riparo ed ha avuto io Stato al suo fianco.
Le associazioni antiracket sono strumenti di autogestione della sicurezza dei singoli, si aderisce individualmente. E mai come in questo momento storico è indispensabile che in Capitanata nascano altre associazioni: Vieste non deve restare sola, altrimenti si indebolirà». Ma perché a vent’anni di distanza, nel capoluogo foggiano, che registra uno dei tassi più alti di usura e antiracket, nulla si muove. “Io ci provai nei primi dodici mesi che seguirono la morte di Panunzio.
E poi anche dopo nel corso del processo – ricorda Tano Grasso – ma ci fu la volontà di rimuovere quell’evento, di, scrollarselo di dosso.
Un’indifferenza che negli anni non ho riscontrato neppure in Sicilia e in Campania La responsabilità fu anche degli operatori economici e delle loro associazioni di categoria che videro nell’omicidio di Panunzio uno specchio da rimuovere.
Lo specchio in cui avrebbero visto la loro immagine di imprenditori soggetti al pizzo e ai condizionamenti mafiosi. Il ricordo di Panunzio li obbligava a fare i conti con la realtà”.
Antonella Caruso – Corriere del Mezzogiorno