Chissà perché, infatti, ci si potrebbe aspettare che una celebrità di quel livello viaggi in aereo o che viva con le modalità frenetiche tipiche della vita dei giorni nostri.
Il saper di queste scelte, col loro carico di poesia naif, ha invece il potere, se possibile, di costruire una considerazione dell’immagine ancor più amplificata per personaggi che, col lavoro svolto in palcoscenico o sul grande schermo, hanno già dalla propria parte l’aura della grandezza.
Dopo la visione di “Servillo legge Napoli”, però, l’idea che sia effettivamente il treno il mezzo di trasporto che meglio si adatta al lavoro di quel tipo di attore, si assimila con più facilità: il treno fa, infatti, tante fermate intermedie e permette ad ogni stazione di guardarsi intorno e lasciar la mente andare verso nuove deduzioni.
Tutto ciò, come detto, emerge chiaramente dalla visione dello spettacolo andato in scena al Vittorio Emanuele di Messina in questi giorni. Il percorso del viaggio infatti c’è ed in questo caso, si sviluppa, in maniera “dantesca inversa”, dal paradiso all’inferno, attraversando il purgatorio.
Ad ogni fermata intermedia, poi, in una sorta di diario minuzioso della spiritualità partenope, ci si imbatte in un compendio di pensieri, domande e risposte su una questione non di poco conto: qual è il senso della vita, come fare ad affrontarne la casualità, e cosa ci si può aspettare una volta giunti al capolinea.
Dietro la scenografia (volutamente minimale, una sedia ed un leggìo) vi è uno sfondo che assolve perfettamente al suo ruolo di stazione di partenza : un cielo azzurro dal quale partire per gli itinerari del post mortem che, come ogni stazione ferroviaria che si rispetti, funge anche da porta di comunicazione attraverso cui l’aldilà viaggiante sta in contatto con la realtà fisica ed i suoi problemi.
Con le spalle a questo nodo di raccordo e col costume dell’onore tributato al leggìo, prende le mosse, e vive, la selezione di letteratura napoletana proposta da Servillo: troviamo quindi immediatamente il Signore con San Pietro che, passati quel varco celeste per fare un giro sul nostro pianeta, si accorgono della miseria in cui versa una moltitudine di poveri cristi.
Segue la storia di Vincenzo De Pretore, devoto a San Giuseppe, che, arrivatoci (in quel cielo) convince le alte sfere che un “mariuolo” va perdonato quando è nato svantaggiato. Andando avanti si sovrappone pressante al “filo rosso” del viaggio quello della critica, neanche tanto velata, ai segreti meccanismi del giudizio dell’aldilà, critica attraverso la quale nasce l’interscambio ed il confronto tra i sentimenti umani e divini.
La pietà di una Madonna che non riesce a trattener la tenerezza per un angelo peccatore o la rabbia del blasfemo che scaglia la bestemmia quasi fosse una preghiera, la disperazione di una moglie appresa la morte del marito a lavoro o la grazia poetica che gli autori partenopei non lesinano persino agli avventori dei bordelli appena giunti all’inferno, danno l’idea di una divinità descritta con le categorie umane e per la quale, proprio e a maggior ragione a causa di questo, non si riesce a comprender la logica.
Milioni di mondi vivono quindi nella recitazione di Servillo il quale, oltre a portare in scena i classici di De Filippo, Totò o Viviani, “sponsorizza” l’opera irriverente di Mimmo Borrelli, un giovane drammaturgo contemporaneo, che di quei milioni di mondi ed anime fa sintesi nella sua poetica, facendo assaporare all’ascoltatore tutte le sfumature di una città al tempo stesso santa e dannata, principessa e puttana, innocente e colpevole.
Nella sua proposizione, quindi, il premio Oscar urla di rabbia, fa la cantilena, scherza, mostra la furberia e la tristezza più greve, attraversando con intensità e maestria i diversi registri espressivi, in una osmosi con i testi proposti, che da un lato ricevono vigore per le sue capacità interpretative e dall’altro danno ancora più forza alla concezione di grandezza che si ha di un attore teatrale di tal blasone.
Pur facendo tante fermate, però, è consigliabile non vederlo a spezzoni. Come per il viaggio, infatti, lo spettacolo è godibile in quanto unità finalizzata al percorso, e solo dalla visione organica è possibile accedere alle tante questioni e contraddizioni, a quell’itinerario di autoassoluzione per il quale si chiede giustificazione, che viene snocciolato nell’ora e mezza di esposizione.
Del resto, come spiega lo stesso Servillo, Napoli è stata terra di conquista, e nella sua letteratura, a cavallo tra latini, francesi, tedeschi e spagnoli è più che evidente la sovrapposizione delle scuole di poesia.
Con questo si aggiunga quindi una più elevata possibilità di sviluppare scappatoie per superare le miserie attraverso la bellezza del ragionamento poetico.
I comportamenti devianti fanno sempre storcere il naso, ma di fronte alla mistica della parola chi non perdonerebbe l’umanità?
Francesco Mastrolembo by Scomunicando.it