Halloweem e i “Morti”visti da Nino Lo Iacono: “Ricordare i momenti della mia infanzia è ancora emozionante e francamente non capisco quale sentimento provino i ragazzini di oggi nel vestirsi da zombi, diavoli e streghe e i loro genitori a soprassedere alle “marachelle”, spesso pesanti, che in virtù di una diabolica mascherata estranea alla nostra cultura, questi ragazzini si permettono di compiere.”
Mi suonano male certi atteggiamenti di ragazzini che, approfittando di questa per noi strana ricorrenza chiamata “Halloween,” commettono certe irragionevoli carusate ai danni di negozi , abitazioni e strutture pubbliche, lanciando uova, sassi, carta igienica, lattine e oggetti vari. Indifferenti si sono dimostrati i genitori che non si sono preoccupati di chiedere nemmeno scusa a quanti si sono lamentati sui social.
Una volta i bimbi non facevano queste cose. Una volta niautri picciriddi, il pomeriggio dell’uno Novembre andavamo al Cimitero, tenuti per mano dai genitori, per posare sulle tombe dei nostri cari ma , soprattutto, dei nostri nonni, che allora campaunu poco, fiori e lumini di cera incartati.
Nella nostra mente manifestavamo al caro defunto , i nostri desideri. Per la verità non eravamo tanto convinti di essere ascoltati, non perché dubitavamo della loro bontà, ma soltanto perché i nostri genitori ci avevamo raccomandato di non chiedere cose costose, perché i murticeddi erano poveri e poi perché non avevano tanti negozi a disposizione.
Di solito il dono di ogni morto era strettamente collegato all’ambiente nel quale era vissuto o al lavoro che aveva svolto in vita. Per esempio mio zio Liborio doveva portarmi i “girasi” di frutta marturana da Sorrentini, perché di solito lavorava lì, non ho mai saputo che lavoro facesse, ma dicevano che lavorava li. Mio nonno che aveva una “ditta” di trasporti formata da carretto e mulo a noleggio, avrebbe dovuto portarmi un camioncino perché, forse , si era modernizzato, e così via.
Finita la visita al cimitero, di corsa si tornava a casa e si aspettava la cena con ansia per andare di corsa a letto.
La nottata passava quasi tutta insonne sia per l’ansia di ricevere i regali sia perchè, qualcuno, me compreso, aveva un po’ di paura,sia pure nella convinzione “che chi vuole bene porta solo bene” , ma i fantasmi facevano paura. Le assicurazioni che non sarebbero venuti fantasmi con il lenzuolo strusciante, servivano a tranquillizzarci , ma ogni rumorino , anche un fil di vento che muovesse una fronda, istintivamente mi faceva tirare la coperta sulla testa .
Finalmente, appena il primo squarcio di luce faceva capolino dalle imposte, saltavamo giù dal letto per iniziare la piacevole e spesso faticosa ricerca dei regali.
Li trovavamo in pochissimo tempo, ma a noi carusi sembrava un’eternità. Certe volte pensavamo che i murtuceddi capricciosi si divertissero a farci girare a vuoto.
Una volta trovati i cesti o le borse, non sempre ci si trovava di fronte a ciò che avevamo desiderato o chiesto, ma sapevamo che era obbligo accontentarsi. Tutto era in relazione al comportamento che avevamo tenuto in quell’anno.
La frutta martorana faceva bella mostra di se insieme con i “ ’nsuddi” o “ossa i mortu”, ma spesso il sacco conteneva pure molta frutta secca o carbone di zucchero.
Trovato il giocattolo, l’appuntamento era in strada per mostrare il regalo e confrontarlo con quello degli altri. “ -Chi ti misiru i morti”? Era la domanda che ci scambiavamo fra di noi picciriddi.
Era una festa , una manifestazione di affetto che si rinnovava ogni anno, prima con i fiori nel classico altarino dei ricordi, che ogni famiglia teneva in casa, esponendo le foto dei cari estinti, e dopo di presenza con le preghiere al Cimitero.
Una volta a scuola si inculcava il rispetto dei morti, l’amore nel ricordo di affetti mai sopiti. Il giorno dei morti era come una rimpatriata fra parenti rimasti lontani per un anno. Si rinnovava un dialogo; una promessa d’amore, una risposta concreta. Oggi in certe scuole si organizzano queste manifestazioni forse celtiche, irlandesi, americane , ma non certo nostrane. Diavoli, zombi e streghe non ispirano amore, non cosa possano significare, cosa si voglia commemorare, qui da noi.
Ricordare i momenti della mia infanzia è ancora emozionante e francamente non capisco quale sentimento provino i ragazzini di oggi nel vestirsi da zombi, diavoli e streghe e i loro genitori a soprassedere alle “marachelle”, spesso pesanti, che in virtù di una diabolica mascherata estranea alla nostra cultura, questi ragazzini si permettono di compiere.
Le nostre tradizioni fanno rivivere amore e amicizia ; Halloween dicono esorcizzi la morte, ma qualcuno ha fatto confusione ed i nostri ragazzi , nel giorno dei morti , non sono più come i “picciriddi di ‘na volta”. I morti viventi sembrano loro e sovente si portano in giro le zucche vuote che i loro educatori hanno insipidamente coltivato.
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