La scomparsa di Franco Piperno segna la fine di una vita vissuta all’insegna della passione politica e intellettuale. Piperno, brillante fisico e leader carismatico di Potere Operaio, è stato una delle figure più significative del lungo Sessantotto italiano, un periodo in cui il sogno della rivoluzione sembrava possibile, tangibile, a portata di mano.
Una Rivoluzione Esplicita e Ostentata
Contrariamente all’immagine cospiratoria che spesso accompagna l’idea di rivoluzione, Piperno concepiva il cambiamento sociale come un atto chiaro e visibile, gridato “alla luce del sole”. Era un uomo capace di declamare l’insurrezione necessaria e imminente non nei sotterranei di una congiura, ma apertamente, durante i congressi del suo movimento. Tra il 1968 e il 1973, gli anni più vicini a una possibile rivoluzione in Italia, la sua leadership ha incarnato una visione lucida e visionaria, capace di ribaltare le convenzioni e ridefinire il concetto stesso di sovversione. Piperno era allergico all’attesa passiva, quella concezione di un futuro rivoluzionario sempre all’orizzonte e mai realizzabile nel presente. Per lui, il “qui e ora” era il fulcro dell’azione. In questo, si contrapponeva anche alla narrazione dominante del Movimento Operaio, che guardava ai Paesi del Terzo Mondo come i luoghi naturali della rivoluzione, ignorando il potenziale del conflitto sociale presente nelle metropoli italiane.
Nato a Catanzaro, studente a Pisa e Roma, Piperno si distinse già nei primi anni come un brillante fisico e un intellettuale raffinato, influenzato dalla scuola di pensiero di Raniero Panzieri e Mario Tronti. Eppure, la sua intelligenza non si riversò nelle pagine scritte, ma si manifestò nell’azione e nell’organizzazione politica. Dotato di una capacità oratoria straordinaria, spesso punteggiata da ironie pungenti e sarcasmo tagliente, sapeva incantare e spronare le folle. Il Sessantotto di Piperno non era nostalgico o rivolto all’indietro; era radicato nel presente, in quella visione utopica ma concreta che si riassume nello slogan “Cosa vogliamo? Tutto e subito.”
La sua visione realista dei rapporti di forza lo portò a considerare la violenza non come un fine, ma come uno strumento di liberazione immediata. Tuttavia, la sua concezione della violenza era distante anni luce da quella terroristica e brigatista. Per Piperno, la violenza doveva essere collettiva, legata alla riappropriazione di sovranità e autonomia, come nelle lotte operaie e nei quartieri popolari.
Il rogo di Primavalle
Il nome di Piperno, tuttavia, è stato talvolta accostato a episodi tragici e controversi, come il rogo di Primavalle del 1973. Pur senza alcuna responsabilità diretta o organizzativa, questo evento segnò una ferita indelebile nel clima politico dell’epoca e nell’immagine di Potere Operaio.
In quel rogo persero la vita due figli del segretario della locale sezione del Msi, Virgilio e Stefano Mattei, 22 e 10 anni. “Le responsabilità dell’organizzazione erano inesistenti . si legge su Il Manifesto, . Il coinvolgimento di Piperno, convinto «dal 1964» che «tra i guasti più irreparabili inferti all’Italia dal fascismo ci fosse l’antifascismo», lo era anche di più.”
Nel 1978, Piperno fu coinvolto, insieme a Lanfranco Pace, nel tentativo di mediazione per salvare la vita di Aldo Moro, un’iniziativa che, pur fallita, evidenziò il suo senso umanitario e la sua lucida consapevolezza delle conseguenze politiche di quella tragica vicenda. L’anno successivo, fu travolto dalla “montatura” giudiziaria del 7 aprile, che lo costrinse all’esilio per oltre un decennio tra Francia e Canada.
Tornato infine in Calabria, Piperno continuò a riflettere sul passato senza mai dichiarare la partita persa. «La guerra sociale», diceva, «è solamente sopita, destinata a riaccendersi in forme estreme, come e ancor più che prima.»
Franco Piperno è stato un rivoluzionario sconfitto, ma la sua sconfitta non ha mai significato rassegnazione. La sua eredità risiede nella tensione irrisolta verso il cambiamento, in quell’emozione irripetibile di vivere il presente come il terreno della rivoluzione. La sua figura, complessa e a tratti contraddittoria, resta un simbolo di un’epoca in cui sognare tutto e subito, a destra o a sinistra, non era solo uno slogan, ma un atto di fede.