Adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2014 scritto da Martin Amis
la scheda
La zona d’interesse
2024 – Premio Oscar
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior regista a Jonathan Glazer
Candidatura per la miglior sceneggiatura non originale
Candidatura per il miglior film internazionale
Candidatura per il miglior sonoro
2023 – Festival di Cannes -Grand Prix Speciale della Giuria
Adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2014 scritto da Martin Amis, del quale pare (io non l’ho letto) che Glazer non abbia riportato quasi niente se non l’atmosfera.
La pellicola ha richiesto quasi 10 anni di studio e di lavorazione. l’ultimo film di Jonathan Glazer risale appunto al 2014.
Io lo definirei con una sola parola: Agghiacciante.
Scordate Shindler’s List, anche se Spielberg l’ha definito il film migliore sull’Olocausto, insieme al suo ovviamente. Ma questo film è l’esatto opposto.
La trama è molto semplice:
Rudolf Höß, comandante del campo di concentramento di Auschwitz, sua moglie Hedwig (la straordinaria Sandra Huller, protagonista anche di Anatomia di una caduta), i loro cinque figli e altri personaggi trascorrono la propria quotidianità all’interno della cosiddetta area di interesse situata attorno al campo di sterminio. volutamente ciechi all’orrore che si sta consumando al di là del muro che li divide.
Glazer e il direttore della fotografia Łukasz Żal hanno piazzato 10 macchine da presa nella residenza degli Höß, ricostruita dallo scenografo Chris Oddy, utilizzando la luce naturale e permettendo agli attori di muoversi liberamente all’interno della scena mentre erano ripresi quindi, da più di dieci angolazioni contemporaneamente. Una sorta di grande fratello dunque.
Niente primi piani, niente movimenti di macchina, se non una carrellata da sinistra a destra che scopre il meraviglioso giardino degli Höß, e una da destra a sinistra che costeggia il muro del lager.
Il film si apre e si chiude con un’immagine nera, a metà un’immagine rossa.
Si sentono solo suoni e le straordinarie musiche di Levi. Sarà così per tutto il film , non vedremo mai Auschwitz dove il film è stato girato, perchè si tratta di una storia vera. Il suono diventa essenziale, perchè è l’unica cosa che ci porta fuori dalla claustrofobica casa. Infatti c’è un notevolissimo lavoro che non può non vincere l’oscar perchè e davvero impetuoso. Regista e tecnico del suono sono andati in giro per Berlino a registrare suoni che non c’entrano niente con il dolore degli ebrei, grida di una donna che perde l’autobus, un ubriaco che urla nella notte, ecc., ecc.
Perchè introduco la recensione con queste curiosità tecniche?
Perchè il film usa la tecnica in modo impeccabile per farci sentire quella che è state definita “la banalità del male”.
Le inquadrature rasentano l’ossessività. Sono dei quadri veri e propri. Quadri in cui la famiglia resta intrappolata, come se fosse il loro Lager psicologico. Vediamo un unico impeto di rabbia di Edwing quando la donna viene informata dal marito che gli hanno ordinato di trasferirsi per realizzare “la soluzione finale”. All’inizio del film vediamo due architetti che mostrano l’idea di un forno crematorio doppio” uno si raffredda e l’altro è caldo e quando e viceversa” non nominano gli ebrei, ma li chiamano “carichi” e non definiscono mai “forni crematori” parlano di “struttura”. Edwing ha curato la casa in ogni dettaglio, soprattutto il giardino, ovvia metafora del paradiso, e non la molla per niente al mondo.
I figli crescono con l’odio del cuore, giocano con i denti presi agli ebrei(che non vediamo), ma è un odio totalmente normale, come se la vita non possa che essere così. Rimanda al fatto che diamo per scontato che si conosca l’orrore dell’olocausto, ma se uno spettatore senza nozioni storiche, guarda il film, non saprebbe niente di ciò che accade al di là del muro.
Un altro film sull’Olocausto quindi?
Si, ma per la prima volta raccontato dal punto di vista dei carnefici. I discorsi sulla carriera professionale di Rudolf, la vita famigliare o il contrasto tra la personificazioni di animali (un cane nero si muove continuamente dentro le inquadrature) e piante(unici dettagli, quelli dei fiori) invece delle vittime di Auschwitz, la costante sensazione di vivere in una bolla, quello che avviene dietro le mura non sembra essere per niente percepito), alla fine riproduce comportamenti e vizi della borghesia, per giunta una borghesia acquisita, i due erano poveri e la madre di lei faceva la domestica presso una famiglia ebrea.
Diventa dunque analisi della tendenza all’individualismo contemporaneo, alle assuefazioni e alle apatie dei sentimenti.
Vi svelo una parte del finale perchè emblematico di tutto il film: il protagonista vomita.
Il corpo non mente mai, quando rimuoviamo, facciamo finta di niente, cerchiamo di evitare di dimostrare le emozioni, negare ciò che siamo, il corpo parla per noi e si ribella.
Ad un certo punto il film diventa volutamente noioso, perchè la vita fatta solo di esteriorità ad un certo punto annoia, sono le emozioni a renderla viva e le emozioni non sono provocate dagli eventi esterni, lo so sembra paradossale. Uso questa storia che non so sia vera a spalleggiare quest’idea: Un barbone viene picchiato a sangue da dei ragazzi, si sveglia in ospedale e dice: “finalmente un letto caldo e del cibo, questo è il più bel giorno della mia vita”.
continua…e si “povere Creature”