Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la nostra collaboratrice Giulia Quaranta Provenzano ci propone un approfondimento sull’attore nisseno. Rosario Neil Vizzini è anche un avvocato, giornalista, esperto di comunicazione e blogger…
Buongiorno e ben ritrovato! Nella nostra prima chiacchierata ha affermato che ha iniziato da pochissimi anni a recitare, quindi le chiedo qual è stata la circostanza specifica e la molla interiore che l’hanno portata a intraprendere il suo attuale percorso d’attore. “Buongiorno Giulia, è accaduto tutto per caso… anche se non posso escludere che sia subentrata un’inconscia predisposizione a qualcosa di nuovo rispetto a quello che facevo prima di dedicarmi alla recitazione – considerando anche che a Roma, dove mi occupavo di comunicazione, dividevo casa con degli attori. Poco tempo dopo il mio ritorno in Sicilia, nel 2015, ho conosciuto nella mia città ossia a Caltanissetta un gruppo di persone che avevano appena iniziato a sviluppare un progetto di teatro sperimentale che constava di un laboratorio intorno a un tema dato. La tematica era l’anticonformismo, presto catalogato come follia, con riferimento alla personalità della scrittrice britannica Virginia Woolf. Abbiamo impiegato quasi un anno per sviluppare, ognuno di noi, il nostro personaggio e quadrare uno spettacolo da portare in scena… comprese anche le difficoltà di trovare uno spazio teatrale dove esibirci e le tante défaillances di quanti venivano al laboratorio ma poi rinunciavano a portare a termine il progetto. È stato un periodo altamente formativo del quale conservo, oltre che un caro ricordo, un patrimonio di sensibilità artistica che mi sono costruito da solo (ma che, senza i miei compagni d’avventura, mai avrei potuto neanche immaginare di poter raggiungere). Ecco perché, pur l’interpretazione rimanendo sempre molto personale, quello dell’attore è un mestiere innegabilmente collettivo”.
Teatro, cinema e televisione – specialmente in base alla sua sensibilità e alle esperienze che finora ha nel suo nel curriculum artistico – da quale “quid” sono accomunate e in cosa invece si differenziano? “Il comune denominatore di teatro, cinema e televisione mi pare che possa essere l’intrattenimento, più o meno profondo, far sorridere o riflettere o entrambe le cose insieme. Quanto alle differenze, a me, è sempre piaciuto il grande schermo ossia il cinema. Su un palcoscenico, addirittura, ci vivrei e dico che la differenza sta nella resa. Lo schermo televisivo, per quanto grande possa essere, non potrà mai eguagliare il grande schermo o l’odore delle tavole di un palcoscenico appunto e del pubblico in sala e le sensazioni che questo trasmette. Ciò non toglie, comunque, che esistono anche ottimi prodotti cinematografici destinati al piccolo schermo… che poi, quando stai sul set, non percepisci nessuna differenza tra i tre citati ambiti artistici”.
Lei ha recitato con Harrison Ford sul set di “Indiana Jones e il quadrante del destino”, film del regista James Mangold e che vanta quale produttori esecutivi Steven Spielberg e George Lucas. Ebbene, cosa dobbiamo aspettarci da questa suddetta pellicola e ci racconta alcuni aneddoti occorsi durante le riprese? “Ormai manca poco alla presentazione della sopracitata pellicola, il film “Indiana Jones e il quadrante del destino” sarà proiettato in anteprima mondiale – al Festival di Cannes – il 18 maggio… per poi arrivare nelle sale cinematografiche il 28 giugno. Sicuramente assisteremo a un grande spettacolo, all’altezza dei precedenti episodi della saga. La mia è stata soltanto una figurazione speciale, non sapevo di dover recitare con Harrison Ford fino a quando non me lo sono ritrovato davanti e a momenti neanche l’avevo riconosciuto (perché stava lì a preparare gli oggetti di scena e, a primo acchito, l’avevo scambiato per un tecnico o un trovarobe). Ciò la dice lunga sull’umiltà e sulla professionalità di questo grandissimo attore. Egli si è rivolto a me con affabilità, chiedendomi chi fossi e concordando assieme come fare la scena al punto da accogliere anche i miei suggerimenti. Abbiamo continuato a chiacchierare a ogni pausa. Spero che gli diano quantomeno un Oscar alla Carriera. Per il resto non posso che ricordare, anche in base a precedenti esperienze quale quella nel film “Cyrano” del regista Joe Wright e prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer a cui ho preso parte nel 2020, quanto sia strepitoso e mirabolante il circus cinematografico hollywoodiano… un vero divertimento per me che sono nuovo in questo ambiente e nonostante sia arrivato al momento delle riprese un po’ provato dal sonno (ero in piedi dalle ore 04:00 del mattino) e dalla fame e dal fatto che siamo anche stati interrotti da un temporale”.
Si sente pronto a convivere con un’eventuale celebrità e cosa pensa che essa comporti e per contro, in una qualche misura, sottragga a chi l’acquisisce? “A convivere con la celebrità ci penserò quando avrò questo piacevole problema. Per adesso punto ad accumulare esperienze e a trovare un agente, comunque non vorrei cambiare troppo stile di vita rispetto a questo mio attuale”.
So che ha frequentato e si è laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ossia, benché da piccolo il suo sogno fosse quello di diventare uno zoologo e studiare le immutabili leggi della natura, è – citandola – finito a studiare quelle mutevoli degli uomini. Mi sorge dunque spontaneo domandarle questa decisione post-scuola superiore da cosa e da chi è dipesa principalmente. “Io ho origini molto umili. Mia nonna paterna rimase vedova di guerra con tre figli maschi, tutti in tenera età, da crescere. Mio nonno materno era mezzadro e analfabeta e aveva sette figli da sfamare… perciò mio padre e mio zio, per contribuire al mantenimento della famiglia, furono mandati ben presto a lavorare a bottega da un sarto mentre l’altro mio zio studiò (dato che si era dimostrato particolarmente portato, fin da piccolo, a ciò) e divenne un affermato avvocato penalista. In ogni vicenda, anche nella più drammatica, c’è sempre un aspetto positivo… che, nel caso dei poveri, è quello di tendere a restare uniti e a fare gruppo, a sostenersi a vicenda e a mettere ogni piccolo guadagno a fattore comune – senza contare il fatto che i miei genitori erano cugini di primo grado, poiché le mie nonne erano sorelle. Una volta conclusa la scuola dell’obbligo è stato del tutto naturale e ragionevole, anche dal mio punto di visto, frequentare prima il Liceo Classico e poi iscrivermi a Giurisprudenza per seguire le orme di mio zio che è stato un grande maestro per me e non solo in termini professionali. Non mi sento, quindi, di giudicare male e di condannare la mia grande famiglia (tanto più che la mia strada l’ho trovata e a prescindere dall’evidenza che è tutt’altra rispetto a quella ch’era presumibile imboccassi in base alle mie aspirazioni adolescenziali). Sono stato inoltre fortunato ad avere avuto chi si è preoccupato del mio futuro!”.
Ha spiegato che suo padre faceva il sarto e che sua madre è di origini contadine, il che ritiene che sia stato determinate per lo sviluppo della sua personalità… tant’è che le piacciono la creatività a livello manuale e la campagna, la terra, alla quale – citandola nuovamente – dedica molto del suo tempo libero. Quali input le danno il verde e l’azzurro e quali sensazioni prova rispettivamente in mezzo alla natura e quali in città, come Milano e Roma, in cui ha vissuto molti anni? “Ho ricevuto, da parte dei miei genitori, un’educazione abbastanza rigida che ha indubbiamente forgiato la mia personalità. Non mi sono tuttavia mai stati limitati né il gioco (anche per strada, con i miei coetanei) né la fantasia, l’immaginazione, la musica e lo sport. Ho, non per nulla, iniziato a praticare scherma a sei anni d’età. Quanto invece all’artigianalità e alla contadinità, credo che abbiano formato la mia arte di arrangiarmi e il mio senso pratico… forza e resistenza sono state potenziate dal fatto che, ancora fino ai tempi del liceo, trascorrevo le mie estati a lavorare in campagna con i nonni. Verde e azzurro sono tra i miei colori preferiti. Il verde per me rappresenta anzitutto la campagna, la terra, la primavera, la speranza ma anche la certezza della rinascita, il chiaro segno che non siamo mai perduti e che ogni difficoltà è solamente momentanea poiché torneremo a rifiorire. L’azzurro invece è per me emblema dello spazio infinito, del cielo e del mare delle possibilità, del viaggio, dell’avventura nonché è luogo della ricerca anche del divino. Ogni posto in cui ho vissuto ha i suoi pregi e i suoi difetti. Come è vero che la campagna mi trasmette serenità e benessere, è altrettanto vero che la città – specie le grandi città – sono il luogo delle opportunità e degli incontri, degli stimoli e del lavoro, della produttività. Le città appunto hanno un’anima anch’esse come i paesi e ciascuna di loro ne ha una, d’anima, diversa dalle altre. Se dovessi scegliere fra Milano e Roma sarei in forte imbarazzo ché entrambe mi ha dato tanto ma probabilmente, se messo alle strette, opterei per la seconda. Oggi però inizio ad apprezzare la vita di provincia e quindi adesso il mio luogo ideale sarebbe una città di medio-piccola grandezza, con la campagna intorno e non troppo lontana dal mare… E poi ho dei prioritari doveri familiari che mi legano al luogo dove adesso vivo”. .
Cos’è dell’avviso di aver assorbito e rielaborato di quello che ha potuto osservare e imparare dai suoi genitori? Vi è inoltre un loro insegnamento implicito o esplicito, un esempio concreto, che le è particolarmente caro? “A questa domanda rispondo con una canzone, con un tango argentino, ossia con “La Casita de Mis Viejos”. Ancora oggi casa mia rappresenta il mio porto sicuro e ciò nel conforto anche muto e senza smancerie che vi ho sempre trovato quando sono incorso nelle difficoltà della vita, così come durante il mio lungo viaggiare lontano da essa. Credo che sia proprio questo il maggiore insegnamento che ho ricevuto e che mi sento di dover tenere sempre vivo e in esercizio. Da quando sono tornato a vivere in Sicilia, il dovere dell’assistenza familiare è prioritario”.
Per quello che concerne le sue amicizie e relazioni sentimentali, i fatti di cronaca e quelli della Storia che hanno attraversato la sua esistenza, ci rivela quali l’hanno segnata maggiormente e come e perché? A quali scoperte, di conseguenza, è pervenuto finora alla luce dell’esperito e quali sono le pulsioni che albergano dentro di lei delle quali – magari proprio e persino anche prima di inscenare taluni personaggi – non era del tutto consapevole? “Tutto fa brodo… e la pasta che sta dentro questo brodo viene a galla da sola. Voglio cioè dire che ogni esperienza finisce per convergere nel mestiere dell’attore che deve servirsi di ogni minimo spunto, esperienza, ricordo proprio e anche altrui per entrare in empatia con il personaggio da interpretare – e forse questo è uno dei pochissimi vantaggi di arrivare, come sono arrivato io, alla recitazione in età matura”.
Di Tony Gangitano, che ha dichiarato di stimare molto, cosa apprezza a tal punto da desiderare di lavorarci nuovamente assieme? “Il mio caro amico e maestro Tony Gangitano, quando ha per le mani un personaggio che ritiene che sia nelle mie corde interpretativamente parlando, mi chiama lui direttamente senza bisogno che sia io a cercarlo e io rispondo prontamente con la mia entusiasta presenza e disponibilità. Pur conoscendoci da poco tempo, tra di noi si è instaurata una mutua complicità piena di tante cose… non ultimo il fatto di essere concittadini e di avere la medesima estrazione popolare, ma c’è qualcosa d’ulteriore che apprezzo di Tony e che va anche al di là del cinema, del suo cinema e del farlo insieme ovvero la sua serietà, la sua maturità, le sue capacità relazionali (che, per certi suoi modi, me lo fanno apparire come un padre pur essendo mio coetaneo o comunque come un esempio). In definitiva lo stimo perché oggi è raro incontrare persone così come è lui e ancor più raro lo è nel mondo dello spettacolo che è popolato, anche giustamente, da molti guitti”.
Sue sono le parole: “Non guardo né molto né molta televisione. Nei talent show, per quel pochissimo che ho visto, c’è gente parecchio brava ma si tratta di talenti assai specifici. Credo, quindi, che tali spettacoli televisivi non siano adatti a un attore che è portato – per natura della sua arte – a pescare nel canto, nello sport, nella fisicità, nell’espressività del volto, nella comicità, nella drammaticità, nell’imitazione ecc. (…)”. Parteciperebbe, invece, a un reality? “Decisamente no, non parteciperei ad alcun reality show”.
Ha dichiarato che <<L’empatia, nella vita e nell’arte, la metto al primo posto d’importanza. Sono del parere che essa faccia da chiave, da spettro, per i ricordi così come per la pianificazione e la progettualità e pure per il razionalizzare o il seguire l’istinto che sia. Qualsiasi cosa risulta vana e persino autoreferenziale se non si entra in accordo con gli altri uomini e se non si è in armonia con il contesto in cui si ci si muove (…)>>. Come descriverebbe, pertanto, a un bambino proprio l’empatia e in quale relazione sta con un’interpretazione quanto più fedele possibile sia alla realtà che alle richieste del regista? “Credo che un regista – e specialmente uno come Tony Gangitano – sarebbe più indicato di me per rispondere a questa domanda. Io semplicemente penso che non ci sia la necessità o l’urgenza di insegnare a un bambino cosa sia l’empatia, perché la prova naturalmente. La storia del cinema e dello spettacolo è infatti piena di talentuosi interpreti bambini. Sarebbe invece bene insegnare ai bimbi a conservare l’empatia, preservandola dalle sovrastrutture dell’ego che ognuno di noi si costruisce man mano che diventiamo adulti. In fondo è proprio intorno a ciò che ruota ogni interpretazione, vale a dire intorno allo spogliarsi di se stessi e indossare invece la personalità del personaggio che si deve rappresentare… o nel trovare in sé qualcosa appunto del personaggio inscenato (anche solamente un ricordo o un’esperienza di vita propria o altrui) e amplificarla o ampliarla per entrare in empatia con costui e provare le sue emozioni. Non a caso, nelle scuole di recitazione insegnano a scrivere anzitutto un profilo psicologico-caratteriale proprio del personaggio dacché il compito dell’attore (e perfino della semplice comparsa) è quello di far emergere un carattere, un’emozione, che si inserisca nella visione d’insieme del regista o aderisca alle sue particolari indicazioni per quello specifico personaggio… il che giova anche alla fluidità e alla tempistica delle riprese”.
Di recente, ci ha ricordato la frase <<L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta>>. Ordunque condivide questo pensiero del principe di Salina, ne “Il Gattopardo”? E quale cosiddetto tipo di partner le sembra di essere nel privato e sul palcoscenico/set? “La sopra-riportata frase, in verità, ammetto di condividerla solo in parte. Una volta la mia compagna più duratura, con la quale ho avuto circa nove anni di relazione, mi disse <<Comunque vada, con te non ci si annoia mai>>… ma me lo disse solo tempo dopo che c’eravamo già lasciati. Credo che la sfida sia proprio questa, ossia quantomeno saper sempre ravvivare il fuoco. Che attori siamo se non riusciamo neanche a essere protagonisti della nostra vita sentimentale, subendone il gattopardesco fatalismo?”.
Perché, a suo avviso, il tenere sotto controllo la lotta tra bene e male – facendo prevalere sempre il primo – è una questione di ricchezza di linguaggio (e, di conseguenza, di pensiero)? “Come sostiene il professor Umberto Galimberti, mi pare abbastanza ragionevole che non sia possibile pensare una cosa di cui non si ha la parola perché i pensieri sono proporzionati appunto alle parole che si hanno… e se si hanno poche parole, si pensa poco. Sono dell’avviso che la cultura sicuramente aiuti a riflettere, specialmente davanti a situazioni e a pulsioni interiori negative – così da non reagire d’impulso”.
Qualora si ammetta e conceda che il male morale è una delle possibili conseguenze del libero arbitrio, se Dio è onnipotente-onnipresente-onnisciente e buono, da cosa/da chi deriva allora il male naturale che spesso colpisce gente innocente come lo sono i bambini? Le guerre di religione, inoltre, dove si inseriscono in tutto ciò? “Sono del parere che il male esiste perché è dentro di noi ed è nella sua natura tentarci, affascinarci. Saremo anche fatti a immagine e somiglianza di Dio, ma non siamo Dio… bensì siamo esseri imperfetti e spesso abbiamo la tentazione di raggiungere tale perfezione (spesso pure malintesa e identifica con il potere sugli altri o con il denaro e con i vizi capitali) per vie brevi, con l’inganno. “Fides quaerens intellectum”, diceva sant’Alsemo di Aosta e poi papa Benedetto XVI. La fede richiede l’intelletto, non la furbizia, altrimenti diventa fideismo e spesso – quel che è peggio – ormai in se stessi più che in Dio (o nel Dio su misura che ci si è costruiti). Da qui alle guerre di religione il passo è fin troppo breve… anche se, secondo me, oggi come oggi esse non sono altro che il paravento per ben altri e molto meno commendevoli interessi”.
Ci ha rivelato infine che di recente ha fatto una piccola figurazione in “Sabbia Nera”, una fiction ambientata a Catania, che andrà in onda su Canale 5 nel 2024… può anticiparci qualcosina a codesto riguardo? “A momenti non dicono alcunché della sceneggiatura neanche agli attori, se non ai principali, figurarsi alle comparse come me… e credo che sia anche giusto così. Nel caso di “Sabbia Nera”, come per altre fiction, mi è bastato però leggere i romanzi gialli da cui è tratto per farmi un’idea proprio della sceneggiatura. Cosa, questa, che dovrei fare e che ho già fatto altresì – pur sempre da semplice comparsa – per il film “Luka” della regista Jessica Hope Woodworth (pellicola, codesta, tratta dal romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati)”.