BROLESI: A “PUNTIDDA” – L’oste di Lacco, che ha attraversato un secolo … va via
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BROLESI: A “PUNTIDDA” – L’oste di Lacco, che ha attraversato un secolo … va via

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“C’è un bel sole oggi… sicuramente è la Puntidda che è arrivata in paradiso”.

Forse nel commento di Pierlugi ci sta tutta la vita di questa donna d’altri tempi, che ancora, a 78 anni, dirigeva, comandava, ordinava e vendeva tra olive cunzate e coste di castrato, i biglietti per la “sua” festa, quella di settembre, a Lacco.

Ha attraversato buona parte di un tragico Novecento, ha visto, da bambina gli sfollati di Brolo – giunti lì per paura dei bombardamenti – soggiornare nella casa della sua amica “Donn’Anciula America”; ha conosciuto le gioie delle vita, il piacer di esser mamma – cinque volte – , l’abbraccio dei nipoti, il sorriso dei figli convolati a nozze, ma anche i dolori delle partenze,  i lutti, la perdita del giovane Costantino che l’ha segnata per tutta l’esistenza; le assenze; ha accolto, con la sua generosità, chi non si poteva permettere di pagare la “barbetta”, ha consolato con pillole di saggezza, buone pacche sulle spalle, sornioni sorrisi, quei ragazzi che lì si rifuggiavano per una delusione d’amore, ma anche con la leggerezza che le era tipica.

Un modus di vivere, di fare, di sorridere alla vita che l’ha sempre accomunata  a chi vive bene in un posto e che trova mille ragioni per doppiare serenamente le controversie.

A Brolo e dintorni tanti hanno perso il sorriso sapendo la notizia della sua morte, spesso sfuggita anche a chi leggeva “le carte” funerarie e non ricordava  il suo cognome, da sposata Di Luca o quello da signorina Ziino, tanto era per tutti “A Puntidda”,  e tutti hanno visto venir meno una persona amica ed il simbolo di una comunità che continua a vivere nella memoria che gli anziani – come lei – riescono a tenere in vita e a tramandare.

Rosa – si chiamava così – è stata  un patrimonio dell’umano quotidiano di quel borgo.

Rosa non ha mai avuto bisogno di essere riconosciuta tramite affaticanti, complicati e cervellotici percorsi burocratici.

E’ stata sindaco virtuale, ambasciatrice di disagi, portavoce di novità, capopopolo per la difesa di interessi, non di bottega o di quartiere, ma della sua eterogenea ed intera comunità.

Quella che per difendere la causa, un principio o andare dal dottore, prendeva la corriera blu di Ballato alle cinque del mattino per scendere in paese.

Una strada fatta mille volte, anche a piedi,e poi in auto, con la sua macchina, infatti fu tra le prime donne della contranda a prendere la patente, sorridendo sempre, a tutti, ma incutendo anche timore e sempre oggetto di dovuto rispetto.

Sono certo che basta la sua memoria, i ricordi del suo passato, il ricordo di come narrava i fatti, come identificava le persone – anche i ragazzi del 2000 – attraverso i soprannomi, i nomignoli dei padri, dei nonni: “quattropuni”, “u munciu”,  “u mulinari” “manciasciutto”, “u neureddu” “coghifriddu”,” u ruialeddu”,”ninai”, per tramutare e rendere l’idea di cos’era la sua osteria; calda e odorosa d’inverno, con la tenda sempre uguale, un armadio, i formaggi, i salumi e le finestre zuppe nei vetri di vapore acqueo; poi d’estate la strada diventava portico, spazio urbano destinato ai commensali, tanto negli anni settanta  ma chi saliva a Lacco… se non per andare a mangiare da lei?

A Puntidda rappresenta un pezzo di quel patrimonio culturale, umano, sociale, che ha fatto lievitare e crescere Brolo e le sue generazioni, e che oggi, anagraficamente, va via.

Lentamente … muore.

E’un pezzo di memoria che comunque rimane e che la fa vivere conservando con serenità e lucidità i saperi materiali ed immateriali della tradizione e che, anche a cent’anni, quotidianamente vedono nel sole non la luce del tramonto, ma quella dell’aurora.

Chi, come me, ha avuto la fortuna di frequentare, da giovane, la sua trattoria, conserva ricordi indimenticabili.

Rosa, che era nata nel 1935,  dava vita, con quella sapienzialità gastronomica che solo le donne  nebroidee  possiedono, a memorabili e quanto mai improvvisate notturne cene per quelle bande di giovani “perdinotte” che bussavano alla porta ormai chiusa, chiedendo di imbastire un pasto anche con ciò che rimaneva della giornata.

A Puntidda non si scoraggiava mai, puliva le mani nel grembiule – quello che non levava mai durante il giorno – improvvisava piatti eccezionali, percorsi culinari indimenticabili ed inimitabili,  le cime degli asparagi diventavano prelibatezze colorate dai fiori di zucca, tutto insaporito dal pecorino pepato, unto dai calli e da i “piedi di maiale”, ancora da depilare.

Era un rifugio gastronomico.. e non solo.

Si facevano accordi elettorali, si concludevano affari, si giocava a carte,si beveva la spuma e poi i usciva a fumare, passeggiando, sino alla porta della Chiesa, in padre, dove di buon mattino si incontrava Padre Nici venuto sin qui a dir messa.

Poi il “locale” venne gestito dalla figlia – con l’affiorare dei tarocchi e delle mozzarelle, ma non perse il suo fascino.

Sempre bella gente, che ancora  la cercava, e lei sull’uscio, quasi come una benedizione, sorrideva, parlava, raccontava, ricordava, gettando l’occhio al forno per vedere se la brace era giusta per metterci dentro la “bestia”.

Non ha  mai chiuso l’uscio in faccia a nessuno.

Dava ospitalità, quella genuinità, buona, diventando baluardo di chi ha saputo resistere alla modernizzazione della cucina, e ha permesso che i saperi dei fornelli, del fuoco ancora selvaggio, che accendeva e bruciava gli alimenti ed i cuori, rinnovasse quotidianamente i piatti tipici della tradizione dove la carne la faceva da padrone  e le spezie che infarcivamo quella “infornata” facevano bere sino alla perdizione.

Grazie di cuore e di tutto, donna Rosina!

M.S.M.

5 Luglio 2013

Autore:

admin


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