9 ANNI DOPO… QUALCHE GIORNO FA
Quando Nino Campochiaro, eterno sognatore che non si arrendeva mai, andò via
“Talvolta, in caratteri assetati di attività, assetati di vita immediata, di realtà, nasce pian piano quella che si chiama tendenza al sogno e l’uomo finisce col diventare non più un uomo, bensì uno strano essere di genere neutro: il sognatore…”
— Fëdor Dostoevskij
Parafrasare Dostoevskij per raccontare Nino Campochiaro non è stato allora un vezzo, nè lo è ora, ma una necessità. È in queste parole che si riflette l’essenza di un uomo che, anche a distanza di nove anni dalla sua scomparsa, continua a vivere nel pensiero di chi l’ha conosciuto, amato e stimato.
Nino Campochiaro era un sognatore. Ma un sognatore con i piedi ben piantati nel futuro.
Socialista, amico leale, spirito libero e mente brillante. Aveva quella rara dote di saper guardare oltre il proprio tempo: parlava di marketing quando in Sicilia il termine era ancora sconosciuto, progettava strategie di penetrazione commerciale quando molti pensavano che “vendere” fosse un’arte improvvisata. Ideava corsi di formazione, aveva progettato un vero e proprio campus, per certi persi correndo avanti per quello che sarebbe stato un futuro anche un Sicilia.
Era un costruttore di visioni.
Come un orologiaio d’altri tempi, metteva insieme meccanismi complessi e ne scandiva il ritmo. Lo studio, l’intuito, la capacità di leggere i mercati e le persone erano strumenti che maneggiava con intelligenza e passione, così nacque “infinity” che poi – oggi – è il motore ad idrogeno e lo studio per un cuore animale da trapiantare negli umani. Progetti che oggi lo avrebbero fatto sorridere vedendoli realizzati.
Non amava fare il commercialista. Guardava avanti.
Aveva il suo studio a Brolo, già ai tempi dell’Ares, quando anche una card diventava strumento di innovazione. Creò una cooperativa alimentare – altro segno della sua visione anticipatrice – e fondò aziende tracciando traiettorie ascendenti, per poi trasferirsi a Roma. Lì si muoveva con disinvoltura tra esperti internazionali, nel cuore della finanza innovativa e della ricerca più avanzata.
Poi, l’inverno. Una sera. Un’assenza.
Quella malattia che minava il corpo, ma non lo spirito.
Mai. Perché Nino non si è mai arreso, nemmeno un attimo. Continuava a progettare, a imparare, a guardare al domani. La tecnologia lo incuriosiva, il mondo nuovo lo affascinava. Parlava dei social media, della rete, della digitalizzazione quando molti si fermavano ancora al fax.
La sua parabola è quella di un uomo geniale ma poco fortunato, almeno nelle cose materiali.
Un padre, un professionista, un marito, un amico, un intellettuale che cercava – e spesso trovava – la bellezza nel sapere, nell’arte, nella cultura. Una vita vissuta al confine tra sogno e concretezza, ogni giorno un passo più in là, un’asticella più in alto.
Chi l’ha conosciuto sa che Nino era anche il gusto del convivio.
Un buon cognac, un sigaro, una cena con gli amici: erano i momenti in cui condivideva pensieri profondi, aneddoti geniali, riflessioni acute. E tra le pieghe di quelle serate, ci lasciava intravedere quella domanda che lo accompagnava sempre: dov’è la malattia, se il pensiero continua a volare?
E Nino, con il suo sorriso da eterno ragazzo, ci ha lasciato anche la risposta.
La malattia non ha potuto nulla contro il suo spirito.
Oggi, quell’eredità intellettuale, affettiva e morale la custodiscono Milù, Ilenia, Antonella e tutti quelli che gli hanno voluto bene e tra questi anche l’amico\cugino Cono andati via, pure lui, troppo presto.
Un patrimonio che è fatto di memoria, ma anche di azione, di etica, di visione. Una traccia indelebile nel tessuto umano e professionale che ha toccato.
Ci piace immaginarlo ora così, mentre riflette e da istruzioni per quel suo viaggio verso altri mondi, intrapreso 9 anni fa, in un monologo silenzioso con la Vita, come un Corto Maltese con lo sguardo all’orizzonte, pronto per una nuova scoperta.
Anche da lì, continua a sognare per noi.