Il percorso di vita di coloro nati negli anni ‘80.. di Marcello Russo
Scrivo con la rabbia addosso, ma senza che questa oscuri la mia lucidità, dopo la lettura di un articolo che accusava i giovani ed in particolare i laureati di essere troppo ambiziosi riguardo alla ricerca del lavoro e di voler a tutti i costi cercare il posto per cui hanno studiato e di disprezzare lavori poco qualificanti, consigliando, così, di abbassare le proprie aspirazioni, almeno per il momento.
Innanzitutto tengo a precisare che l’ambizione è lo stimolo per andare avanti e nonostante la situazione economica allarmante, è una fortuna che essa sia ancora presente; detto questo, ora mi domando perché si sia arrivati a questa situazione.
Senza fare troppi giri di parole, la colpa è chiaramente del tessuto sociale in cui siamo cresciuti, del sistema di istruzione e della politica.
Nel primo caso dobbiamo dire che noi siamo i figli di quei rampanti anni ’80 che esaltarono l’edonismo, il narcisismo, il materialismo; anni in cui essere perdenti o non riscuotere il successo sociale era visto come un dramma.
In questo contesto sociale e culturale come si poteva pensare che un giovane arrivato al momento della scelta di continuare gli studi o andare a imparare un mestiere, avrebbe scelto quest’ultimo? Scelta obbligata, bisognava studiare e completare tutto il ciclo di studi, altrimenti nella vita non si sarebbe fatto nulla.
E una volta scelto di proseguire con gli studi, si poteva mai puntare su percorsi professionali? No, poco gratificanti; bisognava puntare su percorsi umanistici o scientifici, al limite tecnici.
Chi sceglieva percorsi di studio professionali veniva deriso dai coetanei.
Il problema più grave e la causa principale della disoccupazione, però, è il sistema di istruzione italiano, completamente avulso dal mondo del lavoro e anch’esso strettamente legato quella concezione culturale appena descritta. Un sistema di istruzione standardizzato e sradicato dal contesto locale, che non coglie le necessità e le esigenze del territorio.
Si è puntato a creare geometri, ragionieri, avvocati, ingegneri e tante altre figure professionali senza che ve ne fosse la reale richiesta e senza capire che ormai il mercato era saturo.
A completare il disastro ci fu poi la riforma universitaria del 2001 che aprì le porte a corsi di laurea totalmente inutili e con il cosiddetto “3+2” che, a differenza delle intenzioni, ha allungato i tempi di studio degli studenti.
Tra le cause della drammatica situazione in cui viviamo, ovviamente, non possiamo esimere la politica che prima ovviava al problema della disoccupazione tramite il clientelismo, riempiendo il settore pubblico di gente incapace, togliendo così spazio alle generazioni successive che invece si erano dedicate allo studio, e ora che i fondi tendono sempre più a scarseggiare, e questo sistema subdolo è crollato, non investe più in infrastrutture o in politiche per agevolare l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani.
Pur di non rimanere a casa ed evitare di essere accusati di essere bamboccioni, si sta verificando il fenomeno dell’aumento impressionante di imprese giovanili.
A prima acchito potrebbe sembrare una cosa positiva, ma se si guardano attentamente i dati, ci si rende conto che tante ne aprono, e dopo uno o due anni, altrettante ne chiudono; questo perché non ci sono le condizioni o le capacità per avviare e gestire un’impresa.
Siamo stati traditi nelle aspettative e oggi ci ritroviamo con un pugno di mosche in mano e con l’angoscia di un futuro incerto. Se non si darà ai giovani, e a coloro che hanno superstato la fase giovanile, la possibilità di seguire la propria via, si arriverà ad uno scontro generazionale molto cruento.
Marcello Russo