Rebibbia, la bomba a orologeria di Roma
Diario di cella n.21 e altre storie
Ci sono immagini che raccontano più di mille statistiche: un detenuto che dorme in corridoio, un altro adagiato su una lettiga senza bagno, una cella inagibile che viene riutilizzata senza sanificazione.
Non è un romanzo distopico, è Rebibbia nel 2025.
Ed è la voce di Gianni Alemanno – ex sindaco di Roma, oggi recluso – a descrivere con la precisione di un cronista la quotidianità di un sistema penitenziario che non regge più.
Rebibbia, come Regina Coeli, è al collasso.
Il tasso di sovraffollamento ha ormai superato la soglia di guardia del 134%, avvicinandosi pericolosamente a quella del 145% che nel 2013 costrinse l’Italia a interventi d’urgenza dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo. Un déjà vu inquietante: dieci anni dopo siamo di nuovo al punto di partenza. Solo che oggi la politica appare più distratta, più lenta, più ingessata.
Il racconto di Alemanno ha il tono del diario ma il peso della denuncia politica: detenuti con tubercolosi reinseriti senza precauzioni, transessuali spostati da una cella all’altra come pacchi indesiderati, “mattaccini” – come vengono chiamati i reclusi con gravi disturbi psichiatrici – lasciati senza strutture adeguate. Il personale penitenziario, stretto fra ordini e impotenza, arriva ad ammettere: «Non sappiamo più dove metterli». Una frase che, letta fuori da quelle mura, suona come una resa dello Stato.
La verità è che il carcere romano, un tempo considerato “vetrina” per le visite istituzionali, oggi è la fotografia di una crisi nazionale. Manca spazio, mancano agenti (oltre 6.000 unità in meno rispetto all’organico previsto), mancano strumenti di prevenzione sanitaria, manca una strategia. Ogni emergenza – sanitaria, psicologica, di ordine pubblico – diventa un detonatore pronto a esplodere.
Sul fronte politico, il Ministro Nordio continua a ripetere che le misure deflattive sono inutili, perché i detenuti “tornano sempre”. Un ragionamento circolare che ignora la realtà: senza soluzioni immediate, l’unica cosa che ritorna è il caos. L’unico a muoversi con un minimo di pragmatismo sembra Ignazio La Russa, che ha provato a rilanciare la liberazione anticipata speciale e a semplificare la detenzione domiciliare. Ma anche qui, fra burocrazia, cavilli e veti incrociati, il dibattito rischia di impantanarsi.
Intanto le carceri italiane si trasformano in un gigantesco imbuto sociale, dove finiscono tossicodipendenti che non trovano comunità, malati psichiatrici che non trovano cure, immigrati che non trovano alternative. E la domanda scomoda resta sospesa: è davvero questa la “certezza della pena” che vogliamo consegnare ai cittadini? Una certezza fatta di sovraffollamento, degrado e rischi sanitari?
Alemanno scrive, ma la sua voce esce dalle sbarre per bussare alle porte della politica. Non è più (solo) il destino di un ex sindaco, ma il destino di un Paese che ha smesso di occuparsi del proprio sistema penitenziario.
A settembre, il Parlamento tornerà in aula: ci sarà chi vorrà ancora guadagnare tempo, o qualcuno avrà il coraggio di guardare in faccia la realtà?
Perché se oggi un corridoio di Rebibbia diventa dormitorio, domani l’intero carcere potrebbe diventare la metafora di uno Stato che abdica al suo compito più elementare: garantire legalità senza rinunciare all’umanità.
DIARIO DI CELLA 21. REBIBBIA AL COLLASSO FINALE, LA GIUSTIZIA A ROMA RISCHIA DI ESPLODERE: NON SANNO PIÙ DOVE METTERE LE PERSONE DETENUTE.
Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento.
Rebibbia, 31 agosto 2025 – 243° giorno di carcere.
Rebibbia Nuovo Complesso (il più grande carcere di Roma) è ormai al collasso finale. L’Amministrazione non sa più dove mettere i nuovi giunti e le persone detenute che debbono stare in isolamento. Considerato che Regina Coeli, l’altro carcere romano, è in una condizione di sovraffollamento e di degrado ancora peggiore, possiamo dire che tutto il sistema penitenziario della Capitale rischia di esplodere. Vi ricordate il Diario di Cella 16 del 27 luglio scorso? Vi raccontavamo di quando ci siamo dovuti mettere in prima linea in una protesta pacifica contro la tendenza di mettere nel nostro reparto tutte le persone detenute che devono stare in isolamento: malati di scabbia, un terrorista turco, transessuali problematici e poi matti dediti ad ogni genere di vandalismo e autolesionismo. Tutte persone che dovrebbero essere messe in reparti speciali, dove però non si riesce più a trovare posto. Da allora queste proteste si sono ripetute altre due volte.
Dopo Ferragosto cinque persone detenute hanno avuto un rapporto scritto (non seguito per fortuna da un provvedimento disciplinare) per aver “alzato la voce” mentre protestavano pacificamente contro il trasferimento nel nostro Braccio di un “mattaccino”, un recluso con problemi psichiatrici, che aveva aggredito un agente della Penitenziaria in un altro reparto. Poi, ed è il fatto più grave, abbiamo dovuto farci sentire di nuovo, sempre pacificamente e con molta cortesia, quando il 28 agosto una persona detenuta transex, Gomes S. F. originaria dal Brasile, dopo un ricovero in ospedale con la diagnosi accertata di tubercolosi (TBC) è stata riportata nel nostro reparto senza mascherina e senza effettuare le analisi necessarie per la dimissione ospedaliera. Gomes è stato collocato “in isolamento” in una cella singola (inagibile) di un reparto non riservato ai transessuali, senza nessuna particolare cautela sanitaria e quindi con un alto rischio di contagio. Per ascoltare i motivi della protesta, una donna ufficiale della Polizia Penitenziaria, sola in mezzo a una cinquantina persone detenute, si è dovuta misurare con questi dati di fatto che noi gli raccontavamo. L’abbiamo vista cambiare progressivamente atteggiamento, dal minimizzare i motivi della protesta all’imbarazzo di ammettere che quello che stava accadendo non era sostenibile da nessun punto di vista. “Il problema è che non sappiamo più dove metterli”, ha mormorato sconfortata.
Alla fine ci chiede tempo per andare a confrontarsi con il Comando del Carcere, poi è tornata con una dottoressa infettivologa, è entrata nel reparto dove c’era la cella di Gomes, ha constatato la situazione e ci ha chiesto di pazientare. Un ufficiale serio e operativo. Lo stesso giorno, Gomes è stato trasferito al reparto G6, dedicato proprio all’isolamento per motivi sanitari. Lieto fine? No, perché poco dopo al suo posto è arrivato un altro “mattaccino” di nome Ramovic Z., che ancora sta in quella cella inagibile, senza corrente elettrica, senza scarico per il w.c. e senza che sia stato rispettato il protocollo sanitario che prevede, prima di un nuovo utilizzo, di sanificare la cella e di sostituire il materasso e il cuscino, dopo averli sigillati. Ci sono altri casi da raccontare nel nostro Braccio, perché un’altra persona detenuta transex di nome Miranda C. L., dopo essere stata allocata in una cella inagibile a cui diede fuoco per protesta, è stata messa a dormire in una lettiga dell’infermeria senza bagno. La persona detenuta David R. ha dormito in mezzo al corridoio di una sezione del secondo piano e, dopo aver tentato il suicidio ingerendo dei farmaci ed essere stata ricoverata in ospedale, per due giorni è stata messa a dormire in una lettiga dell’infermeria e in corridoio (sempre senza bagno) per poi essere riportata fuori dal nostro reparto. E vi ricordiamo che il nostro Braccio G8 è “il fiore all’occhiello” del carcere di Rebibbia, quello in cui vengono portati i visitatori illustri per mostrare il volto migliore del nostro istituto.
Questo è quello che è accaduto fino ad ora. E se, per un motivo qualsiasi, a Roma ci dovesse essere una nuova “retata” con molti arrestati, dove potranno mai essere portati? Tutte le carceri del Lazio sono in una condizione simile di sovraffollamento e persino appena arrestati dovrebbero rimanere a disposizione della Procura di Roma per gli interrogatori e gli atti d’indagine. Questo è il modo di garantire la “sicurezza dei cittadini” e “la certezza della pena”? Di salvare la faccia dello Stato italiano che, secondo il Ministro della Giustizia, perderebbe la sua credibilità se non venissero presi provvedimenti d’urgenza per ridurre il sovraffollamento? In una situazione dove non c’è posto neppure per gestire i casi più gravi e problematici, rischiando l’esplosione di qualche epidemia? Attendiamo la riapertura delle Camere e la ripresa dell’attività parlamentare e attendiamo che, a settembre, il Ministero della Giustizia, come promesso, faccia il punto della situazione con le sue “task-force”. Ma quanto tempo pensiamo ancora di avere, prima che scoppi tutto?
Gianni Alemanno & Fabio Falbo.
DIARIO DI CELLA 20. SETTEMBRE STA ARRIVANDO E I NODI VENGONO AL PETTINE: RIUSCIRANNO LA RUSSA E RUSSOMANDO A PLACARE IL MINISTRO NORDIO?
Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento.
Rebibbia, 24 agosto 2025 – 236° giorno di carcere.
Poco fa, mentre attraversavo i corridoi, ho incrociato Salim, gigantesco detenuto italo-arabo (madre italiana e padre marocchino) di 30 anni, un metro e 85 su fisico molto ben palestrato. Salim mi strilla minaccioso dietro: “settembre è arrivato!”. E io gli preciso puntigliosamente che manca ancora una settimana d’agosto. Il fatto è che, dopo lo sciagurato Consiglio dei Ministri del 22 luglio dedicato all’emergenza carceraria e arenato sulle promesse irrealizzabili del Ministro Nordio, ho detto a tutti i miei compagni di detenzione che ormai ogni provvedimento contro il sovraffollamento non poteva arrivare prima dell’autunno. E adesso, dopo un po’ di tregua agostana, tutti – non solo le persone detenute ma anche gli agenti della penitenziaria – ricominciano a chiedermi conto delle mie previsioni. Facciamo il punto della situazione. Il sovraffollamento continua a crescere costantemente e, con la ripresa autunnale, questa crescita sarà accelerata. Le ultime cifre parlano di un sovraffollamento del 134,3%, ma in realtà siamo ormai vicini al 140% e quindi ai richiami formali e alle procedure d’infrazione della CEDU (Corte europea dei Diritti dell’Uomo). L’ultima volta che la CEDU ha condannato lo Stato italiano è stato nel 2013 con la “sentenza Torreggiani” quando il sovraffollamento era circa al 145%.
Il Governo dell’epoca fu così costretto ad approvare dei decreti legge che consentivano la “liberazione anticipata speciale” di 75 giorni ogni sei mesi scontati in “buona condotta” (normalmente questo sconto di pena è di 45 giorni), ottenendo una riduzione delle persone detenute di circa 16.000 unità, lo stesso numero del sovraffollamento di oggi. Questa coincidenza di numeri ha portato il Ministro Nordio a fare uno di quei ragionamenti “a pera” che lo hanno reso famoso. L’internato Ministro dice infatti che i provvedimenti per ridurre il sovraffollamento sono inutili, perché nel giro di qualche anno il numero dei detenuti ritorna ad essere lo stesso. Non gli sfiora l’idea che se non fossero stati approvati quei provvedimenti, oggi saremmo in una situazione ancora più catastrofica. Ovviamente il sovraffollamento non si ridurrà definitivamente fino a quando non saranno costruiti nuovi carceri e soprattutto non saranno approvate delle riforme per ridurre l’abuso della detenzione e per sbloccare i percorsi di riabilitazione che dovrebbero portare verso le pene alternative. Ma se nel frattempo non vengono neanche approvati dei provvedimenti deflattivi immediati, il sovraffollamento rischia di esplodere come sta accadendo adesso.
L’unico esponente del centrodestra che sembra consapevole di questa situazione è Ignazio La Russa. Scartato per motivi ideologici l’indulto, il nostro amato Presidente del Senato ha tentato prima di riproporre una nuova versione della liberazione anticipata speciale, rilanciando una proposta già presentata dall’on. Giachetti e da Rita Bernardini. Poi, dopo il sabotaggio di quella proposta da parte dell’incorruttibile (dal buon senso) Nordio, La Russa ha virato verso un’altra idea, quella di rendere automatica la detenzione domiciliare per l’ultimo anno e mezzo di pena dei reclusi non pericolosi. Questo beneficio è già previsto nell’attuale Ordinamento, ma con una tale serie di cavilli giuridici e burocratici che lo rendono quasi inapplicabile dai Tribunali di sorveglianza, cosa tanto evidente che l’unica proposta un minimo sensata del Consiglio dei ministri del 22 luglio fu proprio quella di cercare di rimuovere questi cavilli (tentativo purtroppo vano, perché gli strumenti individuati dalle geniali menti del Ministero della Giustizia si sono rivelati del tutto inappropriati). E per rendere subito evidente che si tratta un’idea trasversale, La Russa ha incaricato di scrivere la nuova legge la senatrice Anna Rossomando, la sua vice presidente in quota PD. Fabio Falbo – il nostro scrivano-giurista, lui sì veramente geniale – ha letto la prima bozza della legge e dice che c’è molto da correggere, perché una persona che non è stata detenuta, anche se esperta, fa fatica a comprendere a quale livello di complessità possano giungere i grovigli mentali dei magistrati i sorveglianza. Ma, fatte le dovute correzioni, questa è una strada, in teoria difficilmente contestabile da parte del Governo, visto che, come abbiamo detto prima, anche loro si sono posti il problema, pur non riuscendo a risolverlo. Certamente non è una strada per affrontare l’emergenza quella della costruzione dei nuovi carceri (almeno 10 anni per completare i cantieri), né quella di mandare 17.000 persone detenute tossicodipendenti in comunità terapeutiche (già oggi mancano i posti nelle strutture e i soldi per finanziare i ricoveri), né tantomeno quella di trasformare prefabbricati ed edifici dismessi in luoghi di detenzione (costi altissimi – 83.000 euro a detenuto – e problemi umanitari e logistici insormontabili). Per non parlare degli organici della polizia penitenziaria che già oggi hanno un buco di 6.000 agenti in meno.
Riusciranno La Russa e Rossomando a domare il Ministro Nordio? Cosa si inventerà di nuovo il geniale ministro per divincolarsi dalla dura stretta della realtà? Accordi con Elon Musk per mandare i detenuti in orbita su basi spaziali? Requisire i barchini degli immigrati per spedire in Libia (magari da Almasri) i reclusi in eccesso? Oppure usare l’inutile centro in Albania per metterci italiani detenuti, invece che immigrati super-protetti dall’Europa? Assoldare il super-costruttore milanese Manfredi Catella, appena liberato dai domiciliari (lui almeno riesce ad ottenere questi benefici…), per fabbricare quattro nuovi grattacieli di trecento piani nel cuore di Milano? Sicuramente qualcosa di molto più fantasioso, avendo già visto all’opera il dott. Nordio e la sua squadra ministeriale. Intanto noi ricordiamo sommessamente al Presidente Meloni che quando si è insediata il sovraffollamento carcerario era al 107,4%; oggi, dopo meno di tre anni, ha superato il 134,3% e si continuerà a dar credito alle geniali ricette del Ministro Nordio, a fine mandato sarà oltre il 152%. Un altro record assoluto, dopo la prima donna Presidente e la durata del Governo, nella storia della Repubblica italiana. E nessuno, dei tanti che mi vogliono bene, si illuda: Salim è mio amico e non se la prenderà con me…
Gianni Alemanno
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