Lo Stretto in tutta la sua bellezza; tanta ottima musica da “vivere” sotto gli impulsi di artisti straordinari che ormai primeggiano in giro per il mondo, come Paolo Fresu e il Devil Q.tet; una targa ricordo donata dal direttore artistico, Giovanni Mazzarino, al trombettista di Berchidda in omaggio alla carriera ed al suo rapporto storico con la città; ed infine l’abbraccio con gli amici di sempre, con i quali Fresu ha condiviso tante esperienze, tracciano l’affresco di una serata che segna l’inizio del Messina Sea Jazz come meglio non si poteva.
In apertura si è esibito un quintetto, formato in maggioranza da giovani talenti di belle speranze, guidato dal sassofonista Jacopo Albini, assieme al trombettista Daniele Raimondi, al pianista Alberto Bonacasa, al contrabbassista Giuseppe Cucchiara e al batterista Marcello Pellitteri. Cinque brani, ciascuno composto rispettivamente da ogni musicista, ben assortiti e calibrati, che spaziavano dal jazz anni 60 a quello contaminato dai ritmi e dai colori del mondo e della modernità, hanno dato inizio alla serata, riscaldando la platea con della buona musica, soddisfacendo anche qualche “palato fine” accorso allo spettacolo per seguire Fresu e il suo quartetto, e che per l’occasione ha avuto modo di apprezzare quelle giovani promesse.
Ma andiamo all’evento “principe” della serata. Paolo Fresu e Devil Q.tet è una delle migliori formazioni del jazz italiano, precisamente una delle tre, a struttura fissa, composta intorno alla figura artistica del grande trombettista, fatte salve le varie combinazioni che si creano intorno a Paolo Fresu con gli stessi musicisti che compongono i suoi gruppi e i tantissimi progetti che lo stesso coltiva con svariati artisti. Questi i suoi gruppi storici: Trio PAF, con Antonello Salis e Furio Di Castri; il Quintet, con Roberto Cipelli, Tino Tracanna, Attilio Zanchi ed Ettore Fioravanti; ed infine il Devil Quartet, protagonista Mercoledì scorso a Messina, con Bebo Ferra alla chitarra, Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria.
Un quartetto stellare, dunque, che come gli altri gira il mondo in lungo e in largo, raccogliendo successi di pubblico e di critica nel segno di un jazz italiano che ormai ha definitivamente conquistato il pianeta, e che ha consacrato Paolo Fresu tra i suoi migliori ambasciatori.
Il gruppo, in quanto tale, è relativamente giovane, poiché esiste “appena” – si fa per dire, in rapporto alla più che trentennale storia artistica dei suoi componenti – da otto anni ed ha al suo attivo due album, una cifra che può apparire scarna, ma non è affatto così, poiché si tratta di due “perle”: “Stanley Music!”, anno 2007, inciso per la Blue Note e “Desertico”, anno 2013, pubblicato dalla Tŭc Music, etichetta “di casa” che si sta affermando sempre più tra le eccellenze del settore.
Il concerto inizia con “Ambre”, pezzo di Paolo Fresu, compreso in “Desertico”, album che naturalmente farà da filo conduttore alla serata. Il brano ha un ritmo lento, piacevole e ben cadenzato e il suono circolare di Fresu e i suoi effetti, prenderanno il sopravvento.
“La follia Italiana”, anch’esso tratto dall’ultimo album, firmato da Paolino Dalla Porta, è straordinario per variazioni di temi ed intensità. “Si tratta in realtà della follia barocca, che nasce in Portogallo nel ‘600 e pian piano si trasferisce negli altri stati europee”, spiega Fresu dal palco. Intanto Bebo Ferra scalda le dita e il jazz-rock inizia a far notare la propria forza, mentre Fresu concede virtuosismi facendo ricorso agli effetti per poi ritornare all’acustico.
“Moto perpetuo”, brano che seguirà, fonde varietà ritmiche, anche latine, coralità e tanta energia. E’ tratto da “Stanley Music”, ma Paolo Fresu ne dà una genesi inedita: “Si tratta della colonna sonora di un documentario, dal titolo Percorsi di Pace, che racconta la storia di un gruppo di ragazzi israeliani e palestinesi, portati nell’isola di S. Erasmo, vicino a Venezia, per un periodo di 15 giorni a provare a parlare di pace. Siamo reduci da un concerto a Gerusalemme – prosegue Fresu dal palco – e siamo fortemente provati da questo conflitto che speriamo un giorno possa trovare una soluzione”.
Un altro aneddoto interessante è quello che conduce a “Blame it on my youth”, quarto brano eseguito. E’ uno standard del 1934, ben interpretato nel suo miglior periodo dal grande Chet Baker, cui il pezzo stava molto a cuore. Fresu e i Devil soggiornarono a Lucca per un concerto e proprio il trombettista venne ospitato nella camera d’albergo, la numero 13, sobria, un po’ datata, e tutt’altro che lussuosa, dove nel 1961 aveva soggiornato per un po’ di tempo proprio Chet Baker. Dinnanzi a tale circostanza, non c’è disagio che tenga, ed ecco che la vicenda si è trasformata in un eccellente arrangiamento, dedicato ad uno dei grandi ispiratori del pensiero musicale di Paolo Fresu: Chet Baker, appunto.
Uno splendido assolo di contrabbasso dell’inesauribile Paolino Dalla Porta, introduce “Desertico”, brano tratto anch’esso dall’omonimo album, dove appare superfluo riflettere su quanto appaiano chiari i dettami di Miles Davis di metà anni 80: d’altronde il “nostro” non ha mai fatto mistero delle sue storiche simpatie verso il “genio” dell’Illinois.
Affinché il jazz-rock arrivasse in cielo è bastato inserire al culmine della scaletta (I Can’t Get No) Satisfaction, firmata ovviamente Mick Jagger e Keith Richard, ossia Rolling Stones, brano che apre “Desertico”: 9 minuti di pura “adrenalina” musicale, dove il quartetto ha dato il meglio di sé, con interplay corale, tecnica, ritmo ed energia straordinari. L’applauso finale, da standing ovation, è assolutamente meritato.
Chiuderà, come nell’album, un medley intenso e suggestivo, composto da due ninne nanne: quella dedicata da Paolo Fresu al suo piccolo Andrea, ed un’altra, attraverso la quale il musicista di Berchidda lancia un messaggio universale, dal titolo “Inno alla vita”.
A concerto concluso, come consuetudine, l’abbraccio di Paolo Fresu con i suoi amici messinesi di vecchia data: Angelo Tripodo, Giovanna La Maestra, Salvo Trimarchi, Giovanni Renzo, direttore artistico-musicale del Teatro V.E. e tanti altri, nel segno della grande umanità e dell’affetto su cui uno straordinario musicista come lui fonda i progetti artistici e i gli impegni dei concerti.
A margine del concerto un altro “amico” d’eccezione si è avvicinato al palco: Ralph Towner, mitico chitarrista americano degli Oregon, che con Fresu ha condiviso notevoli esperienze artistiche, tra cui il gran bel progetto che ha portato i due all’incisione, nel 2009, dell’album “Chiaroscuro”, per la ECM. In una vacanza tra gli amici siciliani, ci può stare benissimo anche una serata all’insegna del buon jazz, da spettatore “interessato”.
Corrado Speziale