Nell’ultima puntata della sua rubrica video “Oriente Occidente”, Federico Rampini parla dello scandalo Emilia Pérez. «Un film», dice, «che sembrava confezionato con tutte le caratteristiche perfette per fare un “en plein” di premi agli Oscar e, soprattutto, consentire alla serata degli Oscar di diventare una passerella di comizi contro Donald Trump».
La mia GRANDE ammirazione per Rampini (che considero il nulla assoluto) mi permette questa volta di introdurre “il caso Emilia Pérez” secondo la prospettiva dei “Signori” democratici americani e non solo.
«Mentre Trump sta smantellando in diversi ambiti della società americana, dal mondo dell’impresa a quello della pubblica amministrazione, le cosiddette commissioni “DEI – Diversity, Equity, Inclusion”, che imponevano le famose quote di minoranza rappresentate, dall’altra parte c’è un conflitto banalissimo provocato dalle dichiarazioni di un’attrice transgender. Ciò dimostra che quella strada politica perseguita dalla sinistra più radicale negli Stati Uniti negli ultimi anni è arrivata a un vicolo cieco».
La mia GRANDE ammirazione per Rampini (che considero il nulla assoluto) mi permette questa volta di introdurre “il caso Emilia Pérez” secondo la prospettiva dei “Signori” democratici americani e non solo.
È senso comune tra loro, ma anche tra gli altri, che appartenere a una minoranza, in questo caso LGBTQIA+, sia sinonimo di sensibilità, bontà e appartenenza sempre e comunque alla verità e alla sofferenza, quindi al giusto. Ma mi sembra quasi inutile dire che è assolutamente una sciocchezza, nel senso che, come in ogni caso, ci sono brave persone e brutte persone. Non capisco perché un omosessuale, o in questo caso, una donna trans, debbano essere per forza delle persone uniche e straordinarie.
Karla Sofia Garson ha scritto post pesanti contro la comunità islamica in Spagna, dove lei vive (post del 2019), definendola “fonte di infezione per l’umanità”; in un altro, riferendosi agli Oscar del 2021, si chiedeva se la cerimonia fosse diventata un “festival afro-coreano” o una “manifestazione del Black Lives Matter”. Post ovviamente rivenuti ad orologeria a ridosso degli Oscar, trovati su X, il cui proprietario è un certo Elon Musk.
Quindi, islamofobica e razzista, no?
Apriti cielo.
Massacrata da critica, stampa e social, la Gascón viene fatta fuori da tutti, ma proprio tutti.
Fino a qualche giorno prima, il trionfo di Netflix, al terzo tentativo, agli Oscar sembrava cosa fatta. “Emilia Pérez” era dato come strafavorito per la vittoria come miglior film… e invece no, il film che ha ottenuto 13 candidature agli Oscar, inclusa quella per la Miglior Attrice Protagonista per Gascón – che a Cannes ha vinto la Palma d’Oro – la prima interprete transgender candidata in questa categoria, non vince. Solo due premi: Miglior attrice non protagonista alla straordinaria Zoe Saldaña e Oscar alla miglior canzone “El mal”. La Gascón improvvisamente, come si dice, dalle stelle alle stalle. E’ lei colpevole di aver affondato completamente il film.
Nel frattempo, il colosso Netflix, nel tentativo di correre ai ripari, si tira fuori “scomunicando” l’attrice e tirandosi fuori dalla campagna promozionale di “Emilia Pérez” negli Stati Uniti.
La piattaforma ha rimosso la Gascón dai materiali promozionali e ha annullato la sua partecipazione a eventi legati al film. Non coprirà le spese di viaggio e alloggio per l’attrice in occasione delle cerimonie di premiazione.
Addirittura il regista del film, Jacques Audiard, ha dichiarato di non voler più avere contatti con l’attrice e ha espresso tristezza per la situazione.
Netflix, progressista e inclusiva, attenta alle tematiche sociali e alla rappresentazione delle minoranze, mette in luce una contraddizione evidente tra l’immagine di apertura promossa dall’azienda e le sue reali strategie commerciali.
Il “puritanesimo di facciata” si scontra con calcoli di opportunità economica e la paura di scontentare determinate fasce di pubblico.
Netflix si è spesso vantato della sua apertura verso la comunità LGBTQ+, producendo e promuovendo contenuti come “Heartstopper”, “Orange is the New Black” o “Sex Education”. Ma le tre serie sono calibratissime e assolutamente innoque, non sollevano alcuna problematica LGBT, anzi, la fanno apparire come una realtà “normale” accettata da chiunque.
Negli Stati Uniti, il tema transgender è diventato altamente politicizzato, con l’elezione di Trump appena prima della cerimonia degli Oscar. Netflix, temendo polemiche o reazioni negative, devasta dunque il film, facendo cadere la sua maschera (ma non solo Netflix), rivelando le strategie di marketing invece che un reale impegno sociale.
Netflix e altre piattaforme producono contenuti LGBTQ+ perché esiste un mercato per essi, ma quando un film esce dagli schemi troppo rigidamente imposti dalla narrazione mainstream, può diventare un rischio.
Indimenticabile la foto del soldato israeliano che mostra la bandiera arcobaleno sorridendo, con dietro di lui le macerie di Gaza, come a dire che in Palestina i gay li ammazzano, mentre in Israele invece… Noam (Netanyahu) ha dichiarato: “I diritti delle persone LGBTQIA minacciano la famiglia, lo Stato e l’ebraismo”. Noam ha anche creato un fondo per finanziare le “terapie di conversione” (o “terapie riparative”), cioè quelle forme di vera e propria tortura psicologica, fisica e/o sessuale che promettono di trasformare chiunque in una persona eterosessuale.
E per finire, il film è stato oggetto di forti critiche negative in Messico, particolarmente sulla rappresentazione del paese, vista come eccessivamente stereotipata. Il regista (letteralmente assurdo) ammette in un’intervista di non aver eseguito ricerche abbastanza approfondite sulla cultura messicana, l’uso sbagliato della lingua spagnola, e il fatto che il cast principale ha una sola attrice di origine messicana, Zoe Saldaña, quella che ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Tra l’altro, io penso che la vera protagonista, straordinaria, sia lei e non la Gascón, che comunque è molto brava.
Ho preferito non parlare del film in sé, perché credo che questi argomenti siano molto più importanti. Tuttavia, voglio aggiungere qualcosa:
Il film racconta la storia di un narcotrafficante crudelissimo che si finge morto per poter realizzare il suo sogno: diventare una donna. Quindi, tutta la transizione e il riscatto di un’anima persa. All’interno, la tematica dei “desaparecidos”, una trans che comunque propone un modello patriarcale, il tutto in delle bellissime canzoni che si incastrano nella narrazione in maniera inusuale. Ho trovato questo film stupendo, soprattutto per le sue contraddizioni, che finalmente si mettono in scena senza trovare la solita protagonista che ha un amico gay, perfetto e ultra ironico, che vuole fare la transizione e lei lo accompagna sfidando tutti.
Scomparso dai cinema di quasi tutto il mondo, potete vederlo su streaming community, perché su Netflix, che lo ha prodotto, non c’è.
Italo Zeus
da leggere
GLI OSCAR TRA FILM E REALTA’ – No Other land (nessuna altra terra). Visto da Italo Zeus