Le foto sono tratte dall’archivio Pidonti. La spiaggia dopo la mareggiata e la via Libertà, all’incrocio con la Vittorio Emanuele, di fatto è irriconoscibile. Altri tempi.

Tempi, quelli delle foto, e dei film dove la gente di Brolo, venendo fuori dal borgo, iniziava a coltivare sogni, ambizioni e paure.
Da lì a poco sarebbe venuto il tempo dei primi cineforum impegnati e sociali, condotti dai ragazzi che poi diedero vita all’UPB, Natale Calderaro, Tanina e Dina ed il fratello Tanino Ruggeri, Pippo Caranna, Turi Frassica, Cono e Renato Barnà, Angelina Scaffidi – la figlia della maestra Adele De Fonso – Amalia Condipodero, Ettore Salpietro… la meglio gioventù di quel tempo (quella che era rimasta a studiare tra Patti e Messina, mentre altri come Nino Ziino e Vincenzino Gumina cercando un lavoro erano morti andando via. Il primo sulle strade del Friuli l’altro a Longarone.
Altri tempi.
Ma pensandoci bene a Brolo a quei tempi viveva tante epopee; quella dei Germanà, di Ninì e Marisa – Basilio era troppo piccolo e Annù troppo aristocratica per confondersi con i popolani- di Claudio Faranda che poi sposò Marisa – già avvocato in grande ascesa – che aveva voglia di far cinema e tutti insieme amavano le colazioni a Taormina o fare tardi a Cefalù;
L’epopea dei pescatori di frodo e del contrabbando; dei banditi, re delle evasioni, delle corse in motoscafo – dove Gianni Germanà primeggiava nel campionato europeo con gli scafi in legno – davvero mitici – di Geremia.
E tra le varie epopea c’era anche quella delle belle ragazze di buona famiglie e delle loro amiche gioiosane e orlandine, che si divertivano facendo feste innocenti, ascoltando con i primi mangiadischi i 45 giri di Adamo e Endrigo, nei salotti tirati a lucido delle case dei genitori, merntre le sorerlle più grandi guardavano “l’Approdo” sull’unica rete Rai. Tra i primi programmi cult dedicati alla cultura ed ai libri.
Era il tempo dei nottambuli che vivevano da ‘Ustino tra un caffè ed il bigliardo, anche perchè l’unico rifornimento di carburante aperto tutta la notte nel raggio di decine di chilometri era l’Agip – appena costruito a posto di un grande ovile – e l’Avvocato r che gestiva il bar restava aperto, anche lui, tutta la notte, vendeva le sigarette, lui sorrideva, perennemente solo, con una sigaretta perennemente incollata sul labbro, malinconico a badare al padre ed un ombroso fratello.
E Brolo aveva anche i suoi “Vitelloni”- per tornare alla foto – personaggi, simpatici, intraprendenti, burloni, scanzonati: Nino “Tum Tum”, Pierino e Nino Marino – quando rientravano da Torino portandosi dietro stoffe e storie della loro sartoria – Nicolino Fonti detto dagli amici “primo maggio”.
Stavano lì, al Circolo, giocando e ridendo, “leggeri” ma enciclopedici.
Sapevano tutto e di tutti.
I primi esempi di social network rurali.
Una via di mezzo tra i più recenti protagonisti di “Amici Miei” ed i personaggi dei racconti del Bell’Antonio di Vitaliano Brancati.
Loro facevano passare il tempo sognando un pocker milionario, parlando dell’Inter che vinceva tutto, della nuova spider o della prossima Targa Florio, mentre i più audaci ricordavo l’ultima “Montercarlo” vissuta pericolosamente, mentre nei salotti della politica, ai primi piani delle case dei notabili – e mai nelle segreterie dei partiti – si decidevano piani regolatori, la nuova speculazioni edilizie, si tracciavano strade più o meno sbilenche, urbanizzazioni senza senso e senza progettualità.
Era anche l’epoea del “brutto che avanza”.
Si metteva a dimora, senza cultura nè il senso del bello e dell’estetica, tutto quello che avrebbero deturpato il volto di Brolo, distrutto memorie e ricordi, disegnato un paese che, senza scampo, è rimasto senza piazze e senza storia.
Ed allora con umiltà il pensiero va, ancora una volta, ai fratelli Lenzo, Vittorio e Cono.
Loro, il primo maggio, braccianti, con poche scuole nel cervello ma un grande cuore nel petto, dalle mani callose, dallo sguardo onesto, sfilavano – scendendo da Piana e da Iannello – spesso da soli.
La bandiera rossa in mano, la banda – alle loro spalle – che suonava l’internazionale, e sfilavano per le vie di Brolo, rivendicando il diritto al lavoro.
Uomini dallo sguardo fiero, mai domo, pur sapendo che l’indomani, nei magazzini, nell’agrumeto o semplicemente andando a comprare il sale sarebbe stato un giorno più duro degli altri.
Massimo Scaffidi
Ma tornando alle moto di Fellini.
Le moto sono state grandi protagoniste in molti capolavori di Federico Fellini, la più famosa rimane forse la splendida Harley Davison WL 750 del 1934 “protagonista” di Amarcord (1973), senza dimenticare le vespe dei paparazzi ne La dolce vita o il Moto Guzzi Ercole de La strada.
Delle produzioni anni ‘70 troviamo la Laverda S 750 utilizzata in Roma, ultima apparizione cinematografica di Anna Magnani, poi il sidecar Gilera Saturno de I Clowns (dove emerge ancora la fissazione per il mondo circense) e la Moto Guzzi Alce del provocatorio La città delle donne con Mastroianni per concludere con la Ducati Indiana (anche se nella sceneggiatura si parlava di una “mastodontica Harley Davidson”) comparsa nell’ultimo film di Fellini, La voce della Luna, viaggio notturno e onirico con protagonisti Paolo Villaggio e Roberto Benigni.
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BROLESI – “Vossiabbinirica,” Don Saro
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DEDICHE E RICORDI – A Brolo tutti pronti per il Torneo dei Tornei di Tennis
“PARALIPOMENI” – παραλειπόμενα. Ma il Maestro Speziale non ha tralasciato nulla nè prima nè dopo
Storie Brolesi – Il “Barone” del mare
ANTICA BROLO – LA LEGGENDA DU SUGGHIU
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UN AMORE INABISSATO SUI FONDALI DELLO SCOGLIO DI BROLO. CORREVA L’ANNO 1964
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RICORDANDO – 23 anni fa moriva Padre Lo Presti