L’intuizione calibrata, mai eccessiva, dell’artista palermitana sta esattamente nell’innovazione di uno spettacolo “colto” e “dotto”, mai pesante, che va fuori degli schemi, che lascia qualche cosa dentro, che evoca testi e messaggi.
Tutto nel segno ed in omaggio della “tradizione” che viene accompagna da liricità che si fonde con il recitativo che si imprega di teatrale moderno e che in certi passaggi richiama vagamente alla mente il più recente pop cantautorale al femminile
La Cimò gestisce la timbrica, controlla la musica ei muiscisti, bravissimi e aattenti ben affiatati, sul palco, mentre le sue mani scorrono sul tamburello, lo fanno impazzire, lo muovono e ne determinano il ritmo.
Lo fa da navigata maestra si contamina al jazz bianco, scivola quasi nelle atmosfere rap ed il suo “orgoglio femminile” in Sono femmina, diventa poesia.
Sicuramente un concerto-spettacolo forte, dove la musica etnica, diventa comprimaria, al pari del dialetto, “limitativo” anche se pregante di saggia popolanità in uno spettacolo che non è assolutamente regionale.
Valeria ha fatto strada, suonava nel trio Ma’arià, dove firmava la quasi totalità dei brani.
Dopo il progetto solista “Menti”, accompagnato da uno scritto filosofico, eccola ritornare- lei è palermitana – con questo doppio album “Terramadonna”.
Un percorso – come ben lo dipinge Ciro De Rosa – dentro la dualità, la scissione tra intelletto ed emozione, ma anche un titolo che mette al centro il parallelo tra la terra madre sfruttata e violentata e il corpo femminile ancora oggi disciplinato ed umiliato dai poteri religiosi e laici.
Parlare di canto dialettale potrebbe sviare chi ci legge, rischiando di sedurlo con cliché folk siculi, invece di mettere l’accento sulla poetica della polistrumentista autrice Cimò (voce, pianoforte, glokenspiel, udu, cajon, tamburello, tammurra muta, tamburo sciamanico, gran cassa, req , darbouka, marranzano, didjeridoo, effetti), che riprende il canto popolare e la danza ma vi costruisce dentro nuove architetture sonore e liriche, spingendo alcuni passaggi verso la contemporaneità e la musica colta.
È canto antico e profondo al contempo, voce che diventa ritmo, melopea e narrazione, sussurro e urlo, verso salmodiante e acceso, vibrante, emotivo e visionario.
“Canzoni-poesie”, le definisce il grande poeta di San Francisco Jack Hirschman nel suo elogio-presentazione del disco: “Valeria Cimò è una fusione meravigliosa dei temi siciliani tradizionali di amore e morte frutto di un’elaborazione contemporanea e di una brillante sensibilità poetica che radica ogni riga in una sonorità capace di penetrare profondamente.
Il suono è la terra assoluta delle sue poesie”.
Ha un fascino arcano il brano“Terra”, in cui il violoncello accompagna canto e recitato dello sciamano Valeria. Poi le regine del mazzo di carte siciliane diventano metafora di rivendicazione della nuova condizione femminile
(“E dicono che ora nel nuovo mazzo/ i siciliani aggiungono uno,/ e dice ora che nel mazzo nuovo/ c’è la Regina che fa 41”).
“La terra è il nostro corpo, un corpo sonoro. Salvare la terra significa consentire alle nostre nature di essere”, recita l’incipit della title-track “Terramadonna”.
Il rapporto tra corpo e terra vive in “Assemula”, brano dallo straordinario melodiare dialettale (“Lu vasu e ccu la vucca/ nta’ vucca ddu’ paroli / e ccu paroli mori”).
Scrive Valeria: “La donna venerava l’acqua e la luce, un tempo. E se acqua significa generazione, e luce vibrazione, vediamo come esse già possedessero un’intera enciclopedia medica”.
Delicata “Ninna Nonna”, rivisitazione di una lirica umbro-appennina, tramandata da sua nonna.
Poi da ascoltare “Passacaglia della vita” e la notturna “Animàquila” e quindi “Occhi” (“luoghi terreni dove leggiamo la vibrazione e le geometrie delle nostre anime. Sono i luoghi della memoria dei luoghi, e vedono anche al buio, durante i sogni”, leggiamo nell’introduzione alla canzone).
La Cimò, ieri sera a Villa Piccolo, ha a lungo “parlato” al suo pubblico.
“Ascoltavo Rosa Balistreri e mi pareva una danza della pioggia e con l’acqua si curano le ferite della guerra” e poi aggiunge “Penso che dobbiamo scrivere sulla tradizione e non viceversa”.
Chiude il concerto con l’assertività di “Sono Femmina”, ma prima c’è ampia ed tanta sicilianità nella vigorosa “A Santa Rosalia; brano dedicato a Falcone e Borsellino, la cui invocazione assume una connotazione particolare.
Canta Cimò: “Però Rosalia non esageriamo/ che un poco di orgoglio per noi puoi averlo/ perché se cento si ingozzano e sciupano,/ dieci tra loro si arrampicano in cielo”.