Siciliano, enogastronomo, informale, spiritoso, battuta pronta, sorriso sornione quando gira in sala e accoglie i clienti nel “suo” locale che sa sempre di casa, accogliente, mai freddo.
Un sorriso che diventa tagliente come le lame dei coltelli che usa per tritare e sminuzzare carni e verdure appena entra nel suo “regno”, la cucina.
Qui diventa maniacalmente preciso, tra i fuochi non ci può essere approssimazione, meticoloso, chirurgico e puntuale.
Nino Strino diventa…Cuoco.
Quello con la “C” maiuscola.
Lasciarsi affascinare dai cibi di “Nino” vuol dire partecipare a una full immersion in una delle cucine più affascinanti e ricche di sapori di Italia.
Respirare, gustare e comprendere, attraverso i suoi piatti, la filosofia che è alla base di una cucina unica, piena di sapori e suggestioni.
Qualche esempio che arriva dai suoi fornelli?
Anche i semplici spaghetti ma con l’aggiunta di bottarga, pinoli, uvetta e scorza d’arancia diventano un piatto regale.
O la “spatola” – lama d’argento fresca appena tratta dalle acque del golfo di Patti – che lui cucina in mille modi !
Poi andiamo ai “crudi” di pesce, alle fritture “del golfo”, o alle “vellutate” di zucchine o melenzane.
Metodo che non disdegna per prepare il baccalà. Ma qui è tutta un’altra storia.
Per Antonio Fallo cuochi si nasce.
E lui, cinquantenne, solo da qualche anno, sposato, vive la giornata colmandola da “sentimento gastronomico”.
Inizia da giovane e prima di dirigere la cucina della “Sacra Famiglia” nel centro storico pattese aveva aperto anche il “suo” ristorante, Mare e Monti, alla Marina di Patti.
Posto per pochi coperti, intimo, da buongustai, tra quadri e sapori. Un successo.
A cavallo degli anni 2000 è stato direttore della cucina del “Prima Fila” a Stoccarda, in Germania, poi ha diretto la cucina di un rinomato locale a Padova, quindi il rientro a Patti.
Una strada percorsa lasciando profumi e sapori seguendo i sentieri dei menù stagionali e di quelli a tema, percorsi anche quando ha diretto la ristorazione dei villaggi turistici internazionali.
“Nino” spiega come la sua infanzia abbia segnato il suo destino.
Il ricordo degli odori e dei sughi, la preparazione delle bottiglie di salsa, il rito “dell’estratto” e poi le conserve dei pesci, il ricordo della tonnara di San Giorgio, il sapore dei funghi raccolti sui nebrodi, la tradizione del “maiale” fatto in casa.
E poi i dolci della domenica segno della fine del pranzo con tutti i parenti.
Erano – per lui – i momenti dove il cibo diventava tradizione e parlava di amicizia, di famiglia, di “riti”, di feste e stagioni.
Ecco s’inizia così.
Per “Nino” gli aspetti più pesanti dell’attività di cuoco sono le rinunce.
“Quando sei impegnato, hai poco tempo per gli altri, tutto rotea intorno ai fornelli, devi pensare a cosa cucinare, a selezionare gli acquisti, poi preparare, e quini conservare, nel mezzo servire, stare attenti, l’occhio alla sala, la testa alla “comanda”, dare il tempo ai tempi, tutto sincronizzato…ed è una grande fatica”.
Quale la sua specialità?
Amo più il salato ma anche il dolce. Mi piace individuare il limite gastronomico dentro me stesso.
Non amo le cucine bizzarre, estreme.
Uso molte spezie quelle della cucina siciliana, che adoro.
La considero- quella isolana – una delle cucine più interessanti del mondo.
Una commistione contaminante di odori, sapori e colori”
Tra le tante domande che ci vengono in mente di fare, eccone una: ”Immagini di avere un ospite importante. Quale piatto preparerebbe?”
Vorrei preparare un piatto di stagione. Fresco, sapido di odori, ricco di essenze, che si intoni anche con il tempo.
Lo dedicherei ai commensali ma anche a chi mi ha dedicato tempo ed esperienza per insegnarmi un mestiere che amo.
Di sicuro mi direbbero che ho imparato a fare bene il mio lavoro.
Il mio sentimento gastronomico è dedicato a loro.
Ed ancora: “Quali consigli dà a chi vuole fare lo chef?”
“Non do consigli.
Chef si nasce e non si diventa.
Nel corso degli anni puoi imparare dei particolari e affinarti.
Ma questo mestiere lo devi sentire dentro. – aggiunge – Non bisogna mollare mai”.
E poi continuando evidenzia, mentre dalla pentola il gorgoglio dell’acqua che bolle, ci dice che presto bisogna salare e “calare” la pasta
“Bisogna sempre aver la consapevolezza che c’è sempre qualche cosa da apprendere, mai la certezza di saper fare tutto.
E’ così in questo mestiere.
Quando si fa il cuoco non si finisce mai di imparare”.
Poi torna al lavoro.
Ha scelto il vino, – ed è davvero bravo anche in questo – e decora il piatto.
Senza fronzoli, aggiunge solo decori che si devono mangiare, complementi e dettagli che fanno la differenza.
Sorride. Lui è uno che crede nell’amicizia….
Tutto sa di buono.
Non manca nulla.
E serve un piatto che ha alle spalle la storia gastronomica millenaria.
msm
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339 1712054