“Onorata” Società, la storia si ripete…la Nostra Solidarietà alla ragazza di Melito.
Quante volte ancora dovremmo sentire queste maledette parole “se l’è andata a cercare”. Quante volte ancora dovremmo sentire che la vittima se l’è meritato. Quante volte ancora il silenzio e l’omertà di chi avrebbe dovuto proteggerla verrà giustificato.
Una ragazzina è stata stuprata da 9 uomini per tre anni, tra i quali uno è Giovanni Iamonte, di 30 anni, il figlio di Remingo, attualmente detenuto, ritenuto il capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta operante a Melito; gli altri maggiorenni sono Daniele Benedetto (21), Pasquale Principato (22), Michele Nucera (22), Davide Schimizzi (22), Lorenzo Tripodi (21) Antonio Verduci (22).
I nomi bisogna farli, bisogna dare un volto ai mostri, bisogna mettere loro sul banco degli imputati e bisogna anche dire che i reati di cui sono accusati sono violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori, lesioni personali aggravate e di favoreggiamento personale.
Il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha detto “Questo territorio sconta un ritardo costante. C’è una mancanza di sensibilità. Anche i genitori sono stati omertosi. Tutti sapevano”. Ma non è un problema solo della Calabria, a dirla tutta, ma di una mentalità patriarcale, maschilista e bigotta che attraversa tutto il territorio nazionale.
Il quadro è sempre lo stesso: a leggere le dichiarazioni rese al giornalista de La Stampa il vecchio preside Anastasi ha dichiarato che è “Una situazione squallida, ma all’omertà non ci credo”, il nuovo preside Sclapari ha dichiarato che “La scuola non c’entra, ognuno deve pensare alla sua famiglia” e poi il parroco Domenico De Biase, che non poteva certo mancare, ha concesso una indulgenza plenaria da porta santa “Sono tutte vittime, anche i ragazzi. E poi, io credo che certe volte il silenzio sia la risposta più eloquente» al quale si accoda il suo collega parroco Benvenuto Malara, che va davanti alle telecamere e afferma “Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese”.
Chi doveva salvare la ragazzina, forse la signora che si unisce al coro dicendo a La Stampa “Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare”.
Non manca nessuno all’appello, tutti concordi nel decretare che la ragazza è una puttana e che avrebbe dovuto starsi zitta visto che le era piaciuto e che avrebbe dovuto anche continuare a subire tali violenze per non rovinare l’onore dei suoi aguzzini, delle loro famiglie, del paese e il tutto con la benedizione dei rappresentanti della chiesa.
Persino il sindaco Giuseppe Meduri invece di condannare quanto successo si preoccupa del decoro del suo paesello e salendosul palco attacca la giornalista Giusy Utano del TgR Calabria “Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi”, perchè il problema per lui è la bambina che denuncia, tra gli altri, il figlio di un ‘ndranghetista e non il fatto che nel suo comune la ‘ndrangheta ci sia e che un fatto abominevole come questo sia rimasto coperto per tre anni sotto una cappa di vile e connivente omertà.
Una trappola mortale quella della società in cui viviamo in cui se ti ritrovi ad essere usata come un oggetto, violentata, annichilita, umiliata, annullata, calpestata, la colpa è tua e se denunci devi anche essere sottoposta ad una mattanza da parte di chi avrebbe dovuto tutelarti.
E tutto questo mentre sono tutti impegnati a decidere se Miss Italia debba essere grassa o magra, in un continuo alimentare la cultura della donna oggetto.
L’Associazione Antimafie Rita Atria sta dalla parte della ragazza, perché nessuna se la può cercare una violenza del genere, fisica e psicologica, e nessuno dovrebbe accettare che dei mostri del genere possano essere assolti oltre che dalla legge anche da una società che si definisce civile.
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