“Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia” cantava De Gregori nella Leva calcistica della classe ’68.
Auguri Roberto Baggio! I 50 anni del Divin Codino. Il Campione che ha fatto sognare l’Italia compie 50 anni ieri, 18 febbraio
“Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia” cantava De Gregori nella Leva calcistica della classe ’68.
Era il 1982 e Roberto Baggio, appena quindicenne, si allenava con la prima squadra del Vicenza, serie C1.
Due anni dopo è già uno dei calciatori più amati dai tifosi con 12 reti in 29 incontri e la strada spianata verso la serie B.
Riceve il Guerin d’Oro come miglior giocatore di serie B.
Non poco per un ragazzo di Caldogno, provincia di Vicenza, sesto di otto figli, che aveva promesso al padre di alternare “calcio e fabbrica” e che molto prima di quanto potesse mai immaginare, dovette tirare fuori il coraggio. Le sue “ginocchia fragili” lo tradiscono la prima volta il 5 maggio del 1985 durante Vicenza-Rimini quando già si vocifera di un suo futuro in maglia viola. Due giorni dopo la Fiorentina paga 3 miliardi per un giocatore “rotto”, che resterà fermo per quasi un anno fino all’esordio in serie A.
È il 21 settembre 1986, tempo una settimana e Baggio subisce un nuovo infortunio, cui seguono una nuova operazione e mesi di riabilitazione. Inizia qui il cammino verso la fede buddista. Serve tanto coraggio per ritornare in campo alla fine del campionato a quasi due anni dall’arrivo in squadra.
È il 10 maggio 1987: Fiorentina e Napoli si sfidano al San Paolo. Serve un punto a testa: i viola si giocano la salvezza, gli azzurri di Maradona vogliono il primo storico scudetto e sono in vantaggio.
Baggio segna un gol straordinario su punizione beffando Garella. È l’idolo viola Giancarlo Antognoni, specialista nei tiri da fermo, a lasciare a lui l’onore e in qualche modo a consegnarlo ai tifosi della Fiorentina.
Scoppia l’amore tra la città e il suo “nuovo” numero 10: sono gli anni della “fantasia” e dell’altruismo in campo. Con Stefano Borgonovo, Baggio forma la B2, una delle coppie d’attacco più forti del nostro campionato, il pallone incollato ai piedi che vola in porta con precisione millimetrica.
“Sai qual era la mia gioia più grande? Mandarti in gol con un assist e vedere nei tuoi occhi un’infinita felicità”, scrive Baggio nella struggente lettera d’addio a Borgonovo, scomparso a 49 anni nel 2013 malato di SLA.
Gli anni di Firenze
“Resterò a Firenze. Sono pronto a scriverlo sui muri”. Dice Baggio quando si vocifera di una sua cessione alla Juventus, acerrima rivale della Fiorentina. I tifosi gli credono e poi c’è da pensare alla finale di ritorno della Coppa Uefa che vede affrontarsi proprio le due squadre il 16 maggio 1990. Firenze perde la sfida e due giorni dopo perde anche Baggio che passa proprio alla Juve per una cifra record all’epoca, 18 miliardi di lire. La protesta monta, a nulla è servita la campagna di sottoscrizione abbonamenti lanciata dai tifosi. La città si ribella ai Pontello, proprietari della squadra. Piazza Savonarola, sede della società, blindata da 200 agenti, diventa teatro di guerriglia urbana con scontri e feriti. Poi la protesta si sposta a Coverciano, dove si sta radunando la Nazionale in vista di Italia 90 al grido di “Firenze è la mia capitale, la Fiorentina è la mia nazionale”.
C’è chi dice che se Firenze ha potuto sopportare, qualche anno dopo, l’addio di Batistuta, lo si deve a Baggio, che seppe farsi perdonare, senza parole, come era suo solito, ma con gesti importanti. Come la sciarpa della Juve non indossata nella sua prima conferenza stampa in bianconero. Come la sciarpa viola raccolta e stretta tra le mani nella partita della “riappacificazione”. 6 aprile 1991: Baggio scende in campo al Franchi con addosso i nuovi colori. Alla coreografia viola che raffigura i monumenti della città si sovrappongono i fischi di uno stadio arrabbiato. L’arbitro assegna un rigore alla Juve e Baggio cede il posto sul dischetto a De Agostini che non va a segno. “Mareggini mi conosce troppo bene”, dirà poi del portiere della Fiorentina. Al 68° viene sostituito e cammina a testa bassa sotto la tribuna avversaria, poi raccoglie una sciarpa viola e la porta via con sé mentre i fischi diventano applausi.
Il rigore sbagliato
È curioso che il rigorista Roberto Baggio ( 68 tiri in rete in serie A, record mantenuto fino all’anno scorso, superato solo da Totti) sia ricordato per un rigore non battuto e per uno sbagliato. Usa ’94, stadio di Pasadena, l’Italia gioca la finale con il Brasile che si decide dagli undici metri. Sbagliano Baresi e Massaro, ma molti lo hanno dimenticato, poi tocca a Baggio che tira la palla alta sulla traversa. Un rischio non calcolato, non era mai successo, la “mano di Senna” dal cielo, dirà il Divin Codino. “Quel rigore l’ho tirato ancora, tante volte in sogno. Ho sempre segnato. Terminato il sogno mi sorprendo ogni volta sorridente come se avessi segnato sul serio”, scrive nella biografia Una porta nel cielo.
I record
Un sondaggio di Ixe’ per Agora’ (Raitre) ha incoronato Roberto Baggio come il più grande giocatore italiano: è stato scelto dal 33% degli intervistati, davanti a Totti e Rivera (20% per entrambi) e Riva (14%). Non poco, considerato che sono passati 13 anni dalla standing ovation che lo ha salutato a cinque minuti dalla fine dell’incontro tra Milan e Brescia, la sua ultima partita, il suo addio al calcio, dopo 20 anni sui campi, dopo una lunga fila di record e successi. Pallone d’Oro nel 1993, unico a vestire la maglia azzurra e ad aver segnato in tre mondiali diversi (’90, ’94, ’98), miglior marcatore (9 gol) ai mondiali con Rossi e Vieri, una Uefa, uno scudetto e una Coppa Italia con la Juventus, poi lo scudetto con il Milan, i 22 gol (record personale) col Bologna, poi l’Inter e il Brescia: fanno 643 gare e 291 gol.
Articolo integralmente tratto da rainews.it
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