Era don Carmelo Pizzino, grande invalido della seconda guerra mondiale.
Lui aveva perso la gamba mentre difendeva la città di Alcamo, sotto i bombardamento americani del ’45.
Per questo gli avevano dato un posto “privilegiato” al Comune… faceva il telefonista.
Di fatto lavorava da quando era arrivato il telefono.
Prima aveva solo quattro “linea” per poi arrivare ad oltre cento.
Lavorava in una piccola stanzetta, nel “ghetto” dell’ex Macello, in piazza Macello, proprio a ridosso della piazzetta Mirenda.
Un luogo dove poi ci tornò, ma dall’altro lato della piazza, ma già eravamo negli atti sessanta, e si apprestava ad andare in pensione insieme all’avvento della teleselezione.
Ma don Carmelo aveva lavorato anche negli scantinati delle case popolari di via Libertà, vicino al salone di Vito – qui si poteva anche fare la doccia – proprio sotto al Municipio, che occupava due appartamenti dello stabile che “l’Istituto” aveva appena ultimato, nel bel mezzo della via che conduceva alla stazione, tra i limoneti di Garofalo, e le saie intorno alle stalle di “Giovanni”.
Un posto di lavoro, per far crescere i figli, che lui rese professionale, unico, indispensabile, inserendo cavi e spinotti, in una sorta di grande armadio forato, che connetteva Brolo con il “mondo”, e da dove passavano le voci degli emigrati, la voglia di notizie, le chiamate per il medico o il sindaco.
Il 15 era il dottor Giacinto, il 14 la maestra Letizia, al 56 rispondeva Saro Scaffidi, il 59 era la linea dei Ziino, e poi c’erano i numeri dei Cusmà, dei Puglisi, di Mimmo Caranna, di Gembillo e dei Germanà, De Lorenzo e Maniaci.
Ma nessuno componeva o richiedeva il numero. “Don Carmelo mi passa il dottore” e lui ricordava e trasferiva la chiamata.
“Don Carmelo è urgente la levatrice” e lui chiamava donna Basilia.
E poi a Natale il giro degli auguri, ma anche le notizie tristi, le disgrazie, le morti, il Vajont con i carabinieri che comunicavano a donna Cona la morte del figlio o la caserma del maresciallo Trovato che comunicava all’ambasciata la morte di due piloti francesi, a largo della scoglio, il giorno di San Pietro.
Don Carmelo, avere reso il suo lavoro, che non era assimilabile né al lavoro degli operai di fabbrica, infatti pur avendo a che fare con delle macchine non produceva beni materiali né a quello svolto negli uffici dalle dattilografe o stenografe, rispettabile, unico, indispensabile per la vita sociale del paese.
E a differenza degli altri lavoratori – che avevano turni ed orari – lui no.
C’era sempre, per tutti, ad ogni ora, per ogni festa anche se poi il suo orario si concludeva alle ore 22, quando, di fatto, cessavano i collegamenti, e l’Italia restava muta e la comunicazione ritornava ad essere in mano alle telescriventi ( a Brolo oltre a quella della posta c’era quella dei Ziino e del Capob, i grandi magazzini dei limoni).
E da via Ferrara, seguendo la strada sterrata dei giardini (l’unica) don Carmelo arriva al posto di lavoro, perche l’avvocato Gembillo doveva parlare con l’Enel, era saltata la luce; l’onorevole Germanà dove comunicare con la Prefettura, mancava l’acqua o l’argine del torrente era crollato, oppure Giacinto Garofalo, il dottore, doveva annunciare che stava arrivando in ospedale perché il parto si preannunciava difficile.
Lui era un operatore, muto, discreto, manteneva i segreti delle conversazioni, commutava le linee, manualmente, urbane ed interurbane; metteva fisicamente in collegamento gli utenti, le emozioni, gli affari
Carmelo Pizzino, morto nel ’92, così, suo malgrado, diventa un simbolo per tanti.
Negli anni novanta una grande raccolta di firme, per intitolargli una strada, per onorare, diceva il figlio Nunzio, instancabile promotore dell’iniziativa, il suo impegno verso la collettività di un paese che allora iniziava la sua crescita economica e sociale, ed ora, lo scorso anno, questo “sogno” si è avverato.
Nel quartiere dove viveva ci sarà una strada con il suo nome.
L’iter amministrativo, dopo le procedure nell’ambito comunale, è passato alla Prefettura ed il disco verde per questa intitolazione è ormai pronto a scattare.