di Italo Zeus
La finale di quest’anno è stata un vero e proprio martirio. Si sarebbero potuti mandare benissimo gli highlights. Abbiamo aspettato esclusivamente e lungamente solo la classifica finale.
Mi sono preso un giorno di disintossicazione prima di scrivere l’articolo perché, credetemi, accendere la TV e vedere ovunque interviste, spezzoni, esibizioni—sempre le stesse, sempre gli stessi argomenti e le stesse riflessioni—è stato estenuante. Forse, per la prima volta, ho capito quanto deve essere dura per chi Sanremo, almeno sulla carta, non lo sopporta.
Neanche i festival di Pippo Baudo, quelli con le due versioni delle canzoni, interminabili, che ti facevano ammirare albe bellissime, sono stati così faticosi.
Non avevo grandi aspettative, se non rivedere le esibizioni di Giorgia, che rende sempre nuovo un suo brano a ogni ascolto.
La classifica finale:
- Olly – Balorda nostalgia
- Lucio Corsi – Volevo essere un duro
- Brunori Sas – L’albero delle noci
- Fedez – Battito
- Simone Cristicchi – Quando sarai piccola
- Giorgia – La cura per me
- Achille Lauro – Incoscienti giovani
- Francesco Gabbani – Viva la vita
- Irama – Lentamente
- Coma_Cose – Cuoricini
- Bresh – La tana del granchio
- Elodie – Dimenticarsi alle 7
- Noemi – Se t’innamori muori
- The Kolors – Tu con chi fai l’amore
- Rocco Hunt – Mille volte ancora
- Willie Peyote – Grazie ma no grazie
- Sarah Toscano – Amarcord
- Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento – La mia parola
- Rose Villain – Fuorilegge
- Joan Thiele – Eco
- Francesca Michielin – Fango in paradiso
- Modà – Non ti dimentico
- Massimo Ranieri – Tra le mani un cuore
- Serena Brancale – Anema e core
- Tony Effe – Damme ‘na mano
- Gaia – Chiamo io chiami tu
- Clara – Febbre
- Rkomi – Il ritmo delle cose
- Marcella Bella – Pelle diamante
Nel complesso, sono d’accordo, esclusa la sesta posizione di Giorgia—intollerabile—e il terzultimo posto di Rkomi. Irama e Gabbani mi sembrano eccessivamente alti in classifica. Michielin è stata quasi ignorata per l’intero festival, come Noemi, che però si salva con un 13º posto. Il resto è stato determinato dal televoto, che però si è dovuto scontrare con l’accumulo dei punti della sala stampa, delle radio e del web, quindi è stato più difficile ribaltare completamente il podio.
Sono contento per Olly e per l’ottima posizione di Bresh. Quest’anno Genova e la Liguria la fanno da padrona. E lo stesso vale per i cantautori come Brunori Sas e Lucio Corsi: un segnale chiaro che il pubblico si sta stufando dei pacchetti ben confezionati e tutti uguali. Anche Achille Lauro, se avesse portato Amore disperato come cambio di direzione, avrebbe avuto senso, ma portare una canzone uguale alle precedenti no.
I premi:
Premio Sergio Bardotti
Per il miglior testo va a L’albero delle noci di Brunori Sas. L’artista ha ringraziato dedicando un pensiero a sua madre, alla compagna e alla figlia, a cui è dedicato il brano in gara.
Premio Giancarlo Bigazzi
Assegnato dall’orchestra per la miglior composizione musicale, va a Quando sarai piccola di Simone Cristicchi.
Premio della Critica Mia Martini
Assegnato dalla sala stampa Roof, è andato a Lucio Corsi con Volevo essere un duro.
Premio della Sala Stampa Lucio Dalla
Assegnato a Simone Cristicchi.
Premio TIM
Vinto da Giorgia con La cura per me.
Credo che Giorgia meritasse almeno il premio Sergio Bardotti, mentre il miglior arrangiamento, per me, resta quello di Serena Brancale. Forse, però, è stato giudicato troppo complesso e ci si è rifugiati in un arrangiamento classico—bellissimo, certo, ma un po’ prevedibile—come quello di Simone Cristicchi.
L’orchestra, tra l’altro, ha avuto poco spazio quest’anno, diventando addirittura invasiva e superflua in alcuni brani. Le composizioni sono rimaste granitiche rispetto al master che si ascolta in radio, e non è un caso.
La vera vincitrice?
Ancora una volta Marta Donà e la sua LaTarma Management, vincitrice di 4 festival su 5: Olly, Angelina Mango, Mengoni e i Måneskin. La nipote di Adriano Celentano è letteralmente inarrestabile.
Il festival di Conti è stato noioso. Gli ascolti, per quanto alti, sono “drogati” dallo strascico di Amadeus, che ha riportato il festival nel vero senso della parola, anche nelle vendite reali, negli streaming su Spotify e nel pubblico giovane. In più, lo share di quest’anno è stato calcolato includendo telefonini, tablet, RaiPlay e web, mentre quello di Amadeus no. Non c’è confronto: Amadeus ha portato a casa brani che resteranno e che hanno fatto il botto (Måneskin, Mengoni, Annalisa, Lazza, The Kolors, Mahmood). Chi resterà di questa edizione? Sicuramente Cuoricini dei Coma_Cose, forse Olly, ma il resto ha già un pubblico consolidato. Anche Fedez, con il brano più bello del festival, La cura per me, avrebbe avuto lunga vita se avesse vinto. Ora resterà nel repertorio di Giorgia, ma sarà ricordata di più la sua magnifica interpretazione di Skyfall con Annalisa, che ha vinto il Premio Cover.
Un piccolo spoiler (forse neanche tanto)
Tutto il miele sparso in questo festival della “normalizzazione” si dissolve in un attimo se si guarda alla realtà.
Ricordate il duetto Noa (La vita è bella) con Mira Awad? Non era davvero il duetto della pace. Mira Awad non è palestinese come si è voluto far credere. È nata nel giugno 1975 in Galilea, quindi in Israele, con doppia cittadinanza, essendo araba di genitori cristiani. Inoltre, le due hanno partecipato insieme all’Eurovision 2009 rappresentando Israele. All’epoca si disse che Mira Awad fosse la prima palestinese a rappresentare il suo paese, ma erano bugie allora, come lo sono oggi.
Tra l’altro, il testo di Imagine è stato modificato: le frasi originali sono state sostituite con “immagina che non ci siano minacce alla mia esistenza… vivere in sicurezza…”. Sapete chi ha pronunciato frasi simili? Proprio lui, Netanyahu. La Palestina, quest’anno a Sanremo, non si è vista neanche con i satelliti di Musk.
Citerei 50 sfumature di rosso massacro perché, mentre le due cantavano commosse, continua l’esodo forzato dei palestinesi dalla propria terra. Il genocidio non è solo morte del corpo, ma anche dell’anima.
Concludendo
Questo viaggio sanremese si chiude con un titolo da film:
Il diavolo veste Prada.
All’anno prossimo! Ora si parte per gli Oscar… e sta succedendo di tutto.
Italo Zeus
da leggere
TERZA SERATA – Il Festival: altro giro altra corsa, o meglio, stessa spiaggia stesso mare