LA SICILIA DEI LANZA – Sabato a Brolo si è svolto un convegno di studi storici
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LA SICILIA DEI LANZA – Sabato a Brolo si è svolto un convegno di studi storici

Ancora un altro passo verso la riscoperta dell’identità culturale.


Il convegno di studi storici su “La Sicilia dei Lanza – Origini e rapporti del casato con altre famiglie della nobiltà feudale nell’isola” è stato ancora un passo in direzione della riscoperta dell’identità culturale del comprensorio di Brolo.

Soddisfatta l’Assessore alla Cultura Maria Vittoria Cipriano che ha voluto e organizzato il seminario che ha portato nella sala Rita Atria di Brolo a dibattere studiosi di grande spessore culturale come Gioacchino Lanza Tomasi di Assaro, lontano cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa da cui viene adottato, o gli esperti del Centro Regionale Progettazione e Restauro Ciro D’Arpa e Luisa Chifari, il docente di Storia Medievale dell’Università di Messina Luciano Catalioto.

Un contributo importante in termini di conoscenza e ricerca storica è venuto anche da Salvatore La Monica della Società Nissena di Storia Patria, da Agostina Passantino della Biblioteca Francescana di Palermo, da Giovanni D’Urso, Maria Russo e da Basilio Segreto, Consigliere Regionale dell’Associazione SiciliAntica, che con la sua partecipazione all’interessante simposio ha “il merito di aver approfondito una pagina di storia locale” – dichiara il Presidente dell’Associazione Simona Modeo.

Un lavoro prezioso è stato svolto dal comitato scientifico, composto da rappresentanti del mondo accademico, storici, archivisti, architetti per il restauro, che ha ricostruito attraverso approfonditi studi e ricerche, materia di numerose pubblicazioni, l’importanza che la baronia dei Lanza ha avuto in Sicilia.

“Un convegno di grande livello che non è fine a se stesso – afferma l’Assessore Cipriano – ma che deve essere considerato un input per attivare laboratori di ricerca rivolti alla scoperta di usi, costumi, tradizioni, musiche del tempo. L’intenzione è quella di coinvolgere anche gli studenti che, a vari livelli e in coerenza con l’ordine di studi, possono dare un notevole contributo per migliorare la conoscenza della realtà storica locale non ancora adeguatamente approfondita.

Vogliamo riscoprire l’identità culturale del nostro territorio – dichiara ancora l’Assessore Cipriano – che non è solo retaggio popolare che si manifesta nel folklore, nelle leggende o “cunti” tramandati oralmente, ma si fonda su una precisa conoscenza storica testimoniata da fonti documentali di vario genere. Un evento di grande valenza che serve a riallacciare i fili della storia che uniscono Brolo a Ficarra e a Sant’Angelo di Brolo, un solo territorio dalle cui radici bisogna trarre linfa per progettare il futuro”.
Il convegno di studi rientra in un progetto di ampio respiro, già avviato da questa amministrazione comunale con le iniziative culturali di questa estate, e che punta alla riqualificazione e al rilancio del centro storico di Brolo.

Perchè come sintetizza l’assessore Cipriano “”Il borgo medievale deve infatti rappresentare il cuore pulsante della rinascita turistica e culturale della città”.

La sintesi dei lavori.

Comitato Scientifico: Luciano Catalioto – Luisa Chifari – Ciro D’Arpa – Silvia Keres Lo Porto -Salvatore La Monica – Agostina Passantino – Vita Russo – Basilio Segreto.

Comune di Brolo: Giuseppe Laccoto – Sindaco Maria Vittoria Cipriano – Assessore alla Cultura

Università di Messina: Luciano Catalioto

Società Nissena di Storia Patria: Salvatore La Monica

Centro Regionale Progettazione e Restauro: Luisa Chifari – Ciro D’Arpa

Biblioteca Francescana Palermo: Agostina Passantino

Associazione Luce d’Arte: Maria Russo

Associazione SiciliAntica – Sede di Sant’Angelo di Brolo: Basilio Segreto

Il Seminario di studi è stato organizzato sotto il patrocinio del Comune di Brolo

La famiglia Lancia e gli Aleramici del Monferrato – Giovanni D’Urso

La famiglia Lancia (o Lanza) è una delle più antiche famiglie nobili di Sicilia. Gli storici non sono certi della loro origine, ma la più probabile proposta sembra farli discendere dagli “Aleramici del Monferrato”, Signori di un ampio territorio che nel Basso Medioevo si estendeva dal nord dell’attuale Liguria sino alla parte centro-meridionale dell’attuale Piemonte. Un loro ramo, gli “Aleramici del Vasto”, grazie al matrimonio di Adelaide (Del Vasto) con il Conte Ruggero, furono protagonisti ed attori di una massiccia emigrazioni di “coloni lombardi” dal Nord Italia in Sicilia e, dove essi si insediarono, fondarono importanti colonie poi diventate spesso “città demaniali”.

Nella relazione, vengono tracciate le linee fondamentali della genealogia degli Aleramici del Monferrato e le ramificazioni che portano alla famiglia Lancia (e ad altre famiglie nobili che poi faranno parte della “fazione latina” della nobiltà siciliana), nonché le vicende storiche che riguardano gli “Aleramici del Vasto” nella Sicilia normanna e la nascita delle cosiddette “città lombarde di Sicilia” dove, anche ai nostri giorni, le peculiari parlate gallo-italiche rimandano a questo vissuto storico.

La Sicilia dei Lanza. La scalata nei secoli del lignaggio al vertice del potere feudale – Salvatore La Monica

Il casato dei Lancia o Lanza in Sicilia è uno dei più antichi di quelli arrivati nell’isola nel corso dei secoli del Medioevo. Appartenenti alla “nobiltà di spada” stanziatisi nelle terre del Piemonte nel X secolo –nel Monferrato e a Saluzzo- fin dal periodo dell’Imperatore Federico Barbarossa i Lancia, la cui discendenza risaliva al nobile Aleramo di origine germanica, aderivano con fedeltà alla causa del partito dei ghibellini, contrapposto a quello dei guelfi, portata avanti con determinazione dalla casa sveva degli Hohenstaufen.

Dopo il consolidamento del lignaggio nelle suddette aree territoriali piemontesi, allargatesi poi nelle zone della Liguria, i figli di Manfredi II Lancia, discendenti da un ramo cadetto dell’omonima famiglia dei marchesi di Saluzzo, avviavano le loro imprese in Sicilia nella prima metà del Duecento. Ciò avveniva con i fratelli Galvano, Federico conte di Squillace, Manfredi e forse un Bartolomeo. Prodi uomini d’arme e politici di spessore dopo essere stati al servizio dell’imperatore re Federico II. Seguivano con lealtà le imprese di suo figlio Manfredi re di Sicilia al quale erano legati per il rapporto di parentela che li legava al sovrano svevo. Essendo questi figlio di Bianca Lancia dei signori di Aviano. Avvenuta la dura sconfitta subita a Tagliacozzo nel 1268 ad opera esercito di Carlo d’Aglianò. Avvenuta la dura sconfitta subita a Tagliacozzo nel 1268 ad opera dell’esercito di Carlo D’Angiò, i fratelli Lancia ne subivano le dolorose conseguenze insieme al giovane Corradino di Svevia, nipote del re Manfredi, posto a capo delle schiere dei ghibellini. Infatti, Galvano Lancia saliva il patibolo nel settembre di quell’anno insieme ad altri nobili del suo seguito. I fratelli di Galvano riuscivano a sottrarsi con la fuga e a salvare le loro vite. I figli di Federico -che avevano assunto il titolo di conte di Squillace in Calabria dopo il 1268- e di Manfredi s’insediavano nell’isola, seppure avversati degli angioini, durante gli anni 1268-1282. La lealtà dei Lancia restava sempre immutata nei confronti della casa sveva e da chi poi ne continuava l’ereditarietà a vantaggio degli ideali dinastici e politici dei ghibellini. Da Federico derivano Corrado Lancia seniore e suo fratello Manfredi, conti di Caltanissetta, di Delia e di altri feudi, mentre dal Manfredi fratello di Galvano nell’ultimo decennio del Duecento discendevano un Blasco e un Corrado il giovane, individuato pure come Corrado di Castel Mainardo che era un fortilizio sito nella Calabria, i quali diventavano signori di alcuni feudi insistenti con prevalenza nell’aria del Val di Demone.

Il ramo dei conti di Caltanissetta s’estingueva nel corso del Trecento; l’altro ramo diventava signore fine del Duecento dei centri feudali di Ficarra. Longi, Mongiovino, Sinagra, Pettineo e di altri territori posti nelle altre valli dell’isola quella di Mazara e quella di Noto. Da un Blasco Lancia “cavaliere messinese”, che si trasferiva da Messina a Randazzo nel 1356, nascevano oltre un secolo mezzo dopo i due sottorami di Mojo-Malvagna e quello di Trabia. È condivisibile l’asserzione che il Blasco “cavaliere messinese” poteva essere un cadetto discendente da Manfredi fratello di Galvano. Il ramo di Mojo continuava la signoria sul centro, fondato come città nuova da Pietro Lanza nel 1602 fino alla seconda metà del Seicento.

Il ramo Trabia, veniva fondato nel tempo da Blasco Lanza III, figlio di Manfredi II Lanza e di Agata Vitellio o Vitellino. Manfredi II e suo fratello Antonio avevano ereditato la baronia del Mojo dal proprio padre Blasco II nipote del capostipite Blasco I.
Ritornando a Blasco III Lanza, con quest’ultimo avveniva la nascita del ramo che assumeva il cognome di Trabia. Ciò avveniva in conseguenza del matrimonio avvenuto a fine ‘400, tra Blasco e Aloisa Di Bartolomeo la quale, figlia unica, portava in dote la terra di “Trabia”.

Dovendo riassumere il vasto ed articolato scenario della plurisecolare presenza in Sicilia dei Lancia o Lanza, si può sostenere come i primi “inter pares”, facenti parte dell’ampio quadro delle figure che spiccavano per eccellenza nella prosapia, emergevano due straordinarie personalità del casato che in diverse epoche storiche ne rappresentavano l’apice dell’importanza politica-feudale. In particolare le due figure si possono riferire a Corrado Lancia il seniore è a Blasco Lanza il famoso giurista e abile uomo politico, capostipite dei Trabia. Il primo dava un notevole contributo nell’agevolare l’arrivo in Sicilia del re d’Aragona Pietro III nel 1282, il quale con quella storica impresa realizzava un ulteriore traguardo per la completa egemonia del suo regno nell’ambito del Mediterraneo. Con Blasco e poi con suo figlio Cesare, divenuto nel 1549 pure signore di Mussomeli. i discendenti Trabia secolo dopo secolo pervenivano nel 1805 al radioso successo di assumere il titolo di Principe di Butera. L’acquisto del suddetto importante principato avveniva con il matrimonio nel 1805 tra Giuseppe Lanza e Branciforti di Trabia e Stefania Branciforti e Branciforti principessa di Butera e di Pietraperzia. La storia plurisecolare dell’antico e assai prestigioso casato dei Lancia o Lanza, s’inserisce da coprotagonista nella vita plurimillenaria della Sicilia. Sicuramente quei secoli che hanno visto l’opera della grande famiglia, arrivata dal Piemonte in Sicilia durante il tredicesimo secolo, prendono la forma di un significativo tassello storico dell’isola seppure connotato per la sua complessità, che assume al contempo la configurazione di metafora e di memoria del passato sempre presenti.

L’amaro caso della baronessa Laura Lanza Gaetani di Trabia – Maria Russo

La tragedia della baronessa di Carini, Laura Lanza Gaetani di Trabia, sospesa tra realtà e mito, affascina i numerosi visitatori che provenienti da ogni parte del globo, arrivano al castello La Grua Talamanca di Carini. Il caso fonda le sue radici nella Sicilia del XVI secolo, quando il 4 dicembre del 1563 questa donna venne uccisa per mano paterna, per leso onore della famiglia, fra le mura del Castello di Carini. Una condanna etica che i diaristi di un tempo intimoriti dal potente casato, La Grua Talamanca, avevano volontariamente taciuto, ed i posteri confusero fatti e personaggi. Avvenimento tramandato solo oralmente nell’’800 dai cantastorie, ispirando la fantasia popolare con oltre 300 varianti, diffuse in cunti e canti , in leggende e filmati. Ma in realtà di delitto d’onore si tratta?. Esaminando le figure coinvolte nel “caso” gli studiosi oggi concordano che il movente fu altro.

I Barresi di Sicilia: un ponte tra corti feudali isolane e dinamiche europee – Silvia Keres Lo Porto

I Barresi, la cui presenza in Sicilia è attestata fin dall’XI secolo, giunsero dalla Francia Settentrionale al seguito del Gran Conte Ruggero. I componenti di questa famiglia si resero subito protagonisti di una rapida ascesa ai vertici della politica feudale dell’isola, distinguendosi nell’arte militare, operando sapienti scelte a sostegno della Corona, Aragonese prima e Asburgica in seguito, e tessendo intricate strategie matrimoniali che li legarono, fra le tante, alle famiglie dei Santapau, dei Moncada, dei Valguarnera, dei Bologna, dei Branciforti e dei Lanza. Divisi nei tre rami principali di Pietraperzia, Militello in Val di Catania e Alessandria della Pietra, odierna Alessandria della Rocca, i Barresi, destreggiandosi abilmente fra le prerogative della vecchia nobiltà feudale e gli assetti politici creati dal nuovo patriziato cittadino, riuscirono a ricoprire, nel corso dei secoli, le cariche politiche più prestigiose e influenti dell’isola e seppero inserirsi nei nuovi assetti dell’imprenditoria rurale siciliana.

L’interesse per la cultura, per l’arte ed il vivace mecenatismo dei Barresi, inoltre, sono noti ed evidenti ancor oggi grazie alle fonti giunte sino a noi, che rimandano ai nomi di Antonello Gagini, Salvatore Di Cataldo, Cristoforo Scobar etc., ed ai segni rintracciabili nelle numerose opere edilizie legate alle singole realtà feudali: il castello baronale di Pietraperzia, la Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore, il convento dei Domenicani con l’annessa chiesa della Madonna del Rosario, l’ampliamento del centro abitato di Barrafranca, il castello Barresi-Branciforte di Militello in Val di Catania, la Chiesa ed il convento di S. Domenico dei Frati Predicatori, etc.

Si ripercorrono, in tal modo, vicende e contesti che rivelano il ruolo attivo dei Barresi, a cavallo fra l’ammodernamento dell’entroterra siciliano e la crescente influenza presso la Corte spagnola, e la cui concretizzazione fu strettamente connessa alle iniziative ed al carisma dei singoli protagonisti di questa famiglia; si evidenzia, così, l’operosità di uomini ma, soprattutto, di donne, che seppero ritagliarsi posizioni di prestigio nelle intricate vicende politiche, siciliane ed europee, fra i secoli XV e XVII: da Matteo Barresi, signore di Pietraperzia, al principe Pietro Barresi, dalla contessa Elisabetta Barresi e Colonna Romano alla viceregina Dorotea Barresi e Santapau.

Carlo d’Angiò e la conquista del regnum Siciliae tra mito della «pietas» e denuncia di «mala signoria» – Luciano Catalioto

L’immagine controversa che di Carlo d’Angiò è stata fissata dalle testimonianze narrative e letterarie coeve, oltre che dalla produzione epistolare di ambiente papale, può sicuramente riflettersi in un giudizio che oscilla tra le posizioni di esaltazione e quelle di netta condanna, anche attraverso la lettura delle fonti cronistiche di entrambi gli schieramenti, guelfo e ghibellino. La vasta eco trasmessa in età moderna è prevalentemente negativa, ove avarizia, avidità e crudeltà sono le accuse replicate dagli storici sino a tutto l’Ottocento. Ma se analizziamo le testimonianze documentarie del XIII secolo, raccolte sistematicamente dalla metà del Novecento, emerge una diversa valutazione in merito all’operato del sovrano angioino, la cui presunta mala signoria si stempera nel momento in cui si pongono in risalto gli abusi e le inadempienze dei suoi ufficiali provinciali e dei numerosi pravi consiliarii che lo stesso Saba Malaspina individuava al suo seguito.

Lo studio degli atti di cancelleria, in definitiva, consente di condurre indagini più dirette ed obiettive della vicenda angioina in Sicilia e di valutare con maggiore spirito critico la figura e l’operato di Carlo d’Angiò, che obbiettivamente sembra riduttivo e fuorviante risolvere drasticamente nelle due categorie contrapposte di pietas e mala signoria.

I Branciforte: personaggi, intrecci, misteri e altre vicende – Agostina Passantino

Le origini della famiglia Branciforte (o Branciforti) si fanno risalire ad una leggenda che li vuole discendenti da un ceppo francese e piacentino. Tale tradizione leggendaria fa iniziare la genealogia del casato da tale Obizzo, alfiere generale ai tempi di Carlo Magno, che, pur assalito dai nemici e rimasto con entrambe le braccia mozzate, continua a tenere alta l’insegna. Per tale gesto si avvale dell’appellativo di Branciforte, da cui ne deriverà il cognome della famiglia. I personaggi di spicco di questa nobile famiglia siciliana sono numerosi ed il loro operato occupa uno spazio temporale molto vasto. Menzioniamo Guglielmo Branciforti, primo a giungere in Sicilia, sotto il re Federico II, ed ancora Nicolò Branciforti, barone di Mazzarino, nel Trecento. Il casato acquisisce nel corso secoli numerosi titoli nobiliari, ottenuti grazie anche alle strategiche unioni matrimoniali, che vedono i Branciforte unirsi con le famiglie dei Barresi, dei Lanza, dei Santapau. Dopo essere divenuti principi, duchi, marchesi, conti e baroni di diverse terre, si fanno artefici della fondazione di più di trenta grandi abitati nell’Isola, da Leonforte a Bagheria. Ma i Branciforte sono anche ricercati amanti della cultura e della bellezza, tant’è che si fanno promotori della fondazione di biblioteche, gallerie d’arte e circoli filantropici, frequentati dalla nobiltà di spicco dell’Isola, di cui si premurano di divenire subito amici e con cui tessono fitti affari privati.

A partire da Fabrizio, molti esponenti della famiglia ricoprono cariche di spicco in Sicilia, a cominciare da Giuseppe Branciforti e Maniaci Colonna che nel 1671 è vicario Generale dei Regno per l’annona frumentaria, supremo prefetto della Cavalleria di Sicilia e decorato al Toson d’Oro. L’interesse per l’arte si manifesta anche nell’acquisto e mantenimento di Palazzo Branciforte da parte di Giuseppe e nella trasmissione del Castello Barresi-Branciforti per legami matrimoniali, ampliato con una biblioteca, con una ricca armeria, con la creazione di due compagnie teatrali che operano in loco e con l’installazione della Fontana di Ninfa Zizza, decorata dal celeberrimo Giandomenico Gagini junior.

Si tenta in questo modo di dare un quadro d’insieme non solo della genealogia della famiglia, ma anche del contesto storico in cui i protagonisti si trovano ad operare in maniera attiva ed in diversi ambiti, che spaziano dalla politica alla cultura, dall’arte alle tradizioni esoteriche, puntando il fuoco soprattutto sulle intricate unioni familiari con altri nobili casati isolani, unioni atte a realizzare più strette connessione tra terre, uomini e donne illustri siciliani ed europei. La nobildonna Agata Lanza Branciforti, una “signora et patrona molto fattiva” del Seicento Ciro D’arpa e Luisa Chifari Vivere e abitare da nobili a Palermo tra Seicento e Ottocento. Gli inventari ereditari dei Branciforti principi di Scordia. Così si intitola il volume che illustra il risultato della ricerca che Ciro D’Arpa e Luisa Chifari, del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro, hanno condotto sugli inediti inventari testamentari e patrimoniali che a Palermo i Branciforti, Principi di Scordia, stilarono negli anni per lasciare in eredità i preziosi beni di casa loro, oggi palazzo Mazzarino – Trabia, una delle residenze nobiliari urbane meglio conservate della nostra città. Si tratta di elenchi di beni vari comprendenti parati, argenti, arredi, quadri, mobili, ecc., riportati in un database pubblicato in OADI. Questo libro è stato prodotto anche grazie alla Convenzione tra il Centro del Restauro e il Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo, ed alla collaborazione con l’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia “Maria Accascina”. Tale studio ha anche ricostruito la genealogia di una delle famiglie più potenti della storia della nostra isola, appunto i Branciforti. Tra le figure più significative è emersa Agata Lanza, moglie in seconde nozze di Ercole Branciforti duca di San Giovanni, madre di Antonio primo principe di Scordia. Agata (1573 – 1616), figlia di Ottavio Lanza, colta e raffinata, ci affascina per le sue notevoli capacità amministrative: non disdegnava un certo commercio di argenti e gioielli, comprando a suo gusto e piacimento, anche all’insaputa del marito, e poi rivendendoli o cambiandoli con altri beni mobili, meritando così dalle fonti la definizione di “donna molto fattiva”, contrariamente alla figura femminile del suo tempo, assoggettata al volere del padre e poi del marito. A lei dobbiamo l’ampliamento del nucleo originale di palazzo Mazzarino, il “tenimento di case alla Bandera”, ed anche la villa a Mezzomonreale, l’attuale villa Tasca, una delle più belle tenute con giardino, fontane e giochi d’acqua.

I Lancia a Sant’Angelo di Brolo – Basilio Segreto

La documentazione archivistica ed anche precedenti lavori di insigni accademici ed appassionati studiosi locali, attestano, nella terra di S.Angelo in Valdemone (o sopra Brolo) come anticamente individuata, la presenza o, comunque, l’influenza di personaggi di rilievo appartenenti alla nobile e rinomata famiglia dei Lancia. La prima indicazione, sin oggi rinvenuta, risale al 1356 e si riferisce ad alcune lettere vergate in Messina dal re Federico IV, su istanza di frate Nictari, abbate del Monastero di S.Angelo di Brolo (o Blolo) ed indirizzate a Corrado Lancia, (altre a Giovanni, Capitano di Patti e del distretto) con le quali viene ordinato di costringere gli illeciti detentori dei beni del monastero a restituirli. Ancora più specifico è il dispaccio del medesimo sovrano datato 19.07.1361, questa volta proveniente da Catania, con il quale viene ricordato al nobile Corrado Lancia, che costui aveva promesso di assicurare la restituzione dei beni all’abate del Monastero di S. Angelo, il quale, viceversa, lamenta ancora che il predetto Lancia continuava a percepire rendite spettanti al Cenobio di rito greco. Il medesimo Corrado Lancia, in dispacci reali dei successivi anni 1365 e 1366 viene indicato con la carica di Capitano di Sant’Angelo de Bloro e degli altri Casali (Anzà e Lisicò) del Monastero di Sant’Angelo.

Una successiva comunicazione del re Federico IV, proveniente da Messina e datata 18.11.1373, menziona, invece, Rainaldo Lancia attribuendogli la carica di Giustiziere di Castrogiovanni e Demina e confermandolo, in pari tempo, riguardo a numerosi casali, tra i quali si cita “S.Angelo in Val Demina”. Per i secoli successivi, nei primi riveli riguardanti il censimento di beni e anime della Terra di Sant’Angelo si rinviene la presenza (per l’anno 1560) del Mag.co Cesare Lanza, mentre in uno dei successivi cataloghi (anno 1614) troviamo il rivelo, con indicazioni più dettagliate, di Don Vincenzo Lanza, Capitano di detta terra, capo di casa di anni 30, maritato con Donna Flavia Lanza et Caldareri.

Altre significative tracce della presenza dei Lancia a S.Angelo sono emerse dalle carte del locale Monastero delle Clarisse, fondato nella seconda metà del ‘500 per disposizione testamentaria del nobile Blasco Natoli e rimasto in vita, con alterne vicende, ma anche con periodi di grande fulgore, sino al 1866. Dalla lettura degli indici dei volumi appartenuti al Convento di Clausura ed in particolare dalla ricerca e studio degli atti di monacato delle giovani fanciulle appartenenti alle famiglie più importanti di Sant’Angelo e dei centri limitrofi, si rinvengono menzionate numerose presenze di figure femminili della famiglia Lancia, diverse delle quali assumeranno la carica di Abbadessa del Cenobio.

Così rinveniamo Caterina Lanza, figlia del già citato Don Vincenzo e di Donna Flavia Caldarera (monacata nel 1624 e Abbadessa negli anni 1647- 1648), Fabrizia Lanza e Amato (1688 sarà successivamente Abbadessa del Convento) Maria Vittoria (in secula Anna) Lanza et Amato (1689, poi Abbadessa) e Caterina (in secula Francesca) Lanza et Amato (1691) entrambe figlie di Don Vincenzo Lanza e di Costanza Amato, Giuseppa Caterina Angotta e Lanza (monacata nel 1715 e successivamente reggente del Convento). La ripetuta presenza di giovinette della casata dei Lancia (o Lanza) nel Convento di Clausura di Sant’Angelo è spiegata sia dai matrimoni che esponenti (maschi e femmine) dei Lancia stipularono con appartenenti alle locali prestigiose e facoltose famiglie di origine spagnola degli Amato e degli Angotta, sia dalla circostanza riguardante alcuni esponenti di tali dominanti clan familiari, i quali rivestirono, nel periodo tra i secoli XVII e XVIII, l’Ufficio di Procuratore del Monastero, con conseguenti oneri, ma soprattutto onori e remunerazioni, nonché piena disponibilità a far entrare in Convento le donne di famiglia non destinate al talamo nuziale.

Tra i combinati ed interessati sponsali segnaliamo, tra gli altri, quello tra il già menzionato Vincenzo Lanza (junior) e Costanza Amato, dal quale discenderà la figlia Maria Lanza et Amato (sorella delle monache) che andrà in sposa s Giambattista Spucches, fratello di Biagio Spucches, Presidente del Real Patrimonio; altro tra Luca Angotta e Donna Flavia Lanza; altro ancora tra Flavia Angotta (Marchesa della Ficarra e Duchessa di Brolo) con Fabrizio
Lanza; infine, da ultimo, ma in verità per primo in ordine cronologico, ricordiamo il vincolo coniugale che legò Don Ferdinando Lanza, Barone della Ficarra e Donna Lucrezia Angotta.

Una distinta sezione dell’elaborato è dedicata alle tracce materiali individuate in quel di Sant’Angelo relativamente ai Lancia. Trattasi di una lapide funeraria e di un sontuoso sarcofago marmoreo ubicati, entrambi, nella Chiesa di San Francesco d’Assisi annessa al locale Convento dei Minori Osservanti e di una lastra marmorea, risalente al 1739, attualmente posizionata nell’ingresso del cd. “Palazzo della Cultura”, un tempo locali del Convento di S. Chiara.

7 Ottobre 2019

Autore:

redazione


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