
L’Intervista – Ivana Risitano: “la Zona Falcata bene comune”…niente male.
La “Comunità di Base” che promuove il “bene comune”
Tra gli obiettivi c’è quello di “liberare la zona falcata” – Ne abbiamo parlato con Ivana Risitano
Talune circostanze, spesso, lasciano il segno. E quando capita di ascoltare una “voce fuori dal coro”, come in questo caso, non si può far altro che inseguirla alla ricerca di quegli elementi che fanno la differenza rispetto a ciò che circonda la nostra vita quotidiana.
Lo scorso 10 Maggio, quando l’interessante convegno organizzato da Italia Nostra dentro un gremito Salone delle Bandiere del Municipio, dedicato alla zona falcata di Messina, volgeva ormai al termine, platea e relatori sono rimasti piacevolmente colpiti dall’intervento di Ivana Risitano, giovane esponente della “Comunità di Base”, gruppo, attivo in città, che opera seguendo la “Teologia della Liberazione”.
Lei è simpatica e spigliata, ma anche rigorosa: non dice, né fa notare, ad esempio, di essere candidata in Consiglio Comunale nella lista “Renato Accorinti Sindaco – Cambiamo Messina dal basso”. Ma questo lo si sa, anche perché la Risitano, grazie al suo spirito combattivo e le sue qualità dialettiche, non passa inosservata. Non per niente, in questa importantissima fase elettorale di Messina, sta, insieme agli altri che sostengono Accorinti, facendo innalzare il “peso” della lista di cui il candidato sindaco eco-pacifista, che sta sovvertendo ogni pronostico, non può che andar fiero.
L’argomento trattato, allora, era imperniato su storia, presente e futuro della Falce, e tra storici e urbanisti presenti, Ivana Risitano ha portato una “ventata d’ossigeno” e spiritualità ad un argomento che, seppur molto interessante, per vocazione ed ovvi tecnicismi, soggiace dentro piani, previsioni urbanistiche, strategie di vario tipo e quant’altro.
“La nostra discussione si colloca dentro un orizzonte di senso particolare che è quello della Teologia della Liberazione – aveva detto l’esponente di Comunità di Base – che nasce in America Latina ma che è nostro desiderio declinare anche a livello locale. Quindi abbiamo pensato alla prospettiva della liberazione della zona falcata dalla dimensione privatistica, fondata sul profitto, verso una logica dei beni comuni”.
Ecco, dunque, riaffiorare un concetto che in riva allo Stretto, da un po’ di tempo a questa parte, non è più una novità, anche se, come spesso capita, di alcuni termini se ne fa uso e consumo a piacere, sottovalutandone le autentiche accezioni. Ma sono queste ultime quelle che contano, ed in tal senso il “Teatro Pinelli”, “forzatamente” trasferitosi dall’ex Teatro in Fiera alla Casa del Portuale, divenendo “itinerante” e passando per l’Osservatorio di Geofisica, ne è una testimonianza che sta facendo storia.
L’argomento “bene comune”, dunque, sull’esempio della proposta di Ivana Risitano, ha fatto breccia attraverso quelle quattro mura del convegno per “candidarsi”, anch’esso, a fondamento di un possibile progetto politico.
Abbiamo, dunque, trovato modo di approfondirlo ed ampliarlo con l’esponente di “Comunità di base”, autrice di quella proposta, affinché non fosse interpretata solo come una “provocazione” fine a se stessa.
L’intervista a Ivana Risitano.
Come nasce Comunità di Base a Messina?
Nasce, innanzitutto, nei sogni ad occhi aperti di alcuni giovani francescani e di un giovane frate cappuccino, Antonio. Il desiderio è stato in incubazione per alcuni anni. Poi, più di un anno fa, la nostra esigenza di vivere un’esperienza “altra” di Chiesa, il bisogno di riscoprire il Vangelo nella sua nudità, il fascino verso la teologia della liberazione, ci hanno portato a riunirci, a scambiarci le nostre inquietudini e i nostri desideri, e a mettere insieme l’eterogeneità delle nostre provenienze e delle nostre storie. Sin dal primo istante Padre Felice Scalia ci ha accompagnato con la sua presenza calda di Pastore e di fratello, di compagno di viaggio. All’inizio eravamo un piccolo gruppetto, ma a poco a poco la comunità cresce, e cresce anche il bisogno di assumerci impegni e responsabilità.
Che rapporto c’è tra la Teologia della Liberazione ed il bene comune?
Sin dalle prime volte in cui abbiamo parlato di Teologia della Liberazione ci siamo detti che avremmo voluto tentare di declinare in chiave “occidentale” ciò che è nato in America Latina, pensare la teologia della liberazione applicata alla nostra terra, alle nostre esperienze.
Ecco: c’è un sistema che, in modo sempre più pericoloso, trasforma in merci i beni necessari alla vita delle persone; l’impero delle finanze è il faraone a cui si offre in sacrificio la dignità umana e la sopravvivenza della Madre Terra. Ciò che è stato creato per essere di tutti è in mano a pochi, a troppo pochi.
Quindi si tratta della legittima “restituzione” dei beni…
Sì. “liberazione” significa, giustappunto, restituzione dei beni all’Uomo (con lettera maiuscola, n.d.r.), ad ogni uomo; significa diritto degli ultimi al riscatto; significa lottare contro ogni forma di oppressione. C’è un equivoco sul concetto di “evangelizzazione”: spesso è stato usato il Vangelo per indottrinare, accrescere l’anagrafe della Chiesa cattolica come istituzione; ma portare il Vangelo significa portare una buona notizia, e la buona notizia è che questa liberazione è possibile. Per tutti. E ci impegna in prima persona.
Negli ultimi tempi il termine “bene comune” è utilizzato da chiunque anche strumentalmente su temi che assumono svariati significati. Non pensi che ormai si sia, per così dire, “inflazionato”?
Bisognerebbe approfondire l’orizzonte di senso entro cui si colloca l’uso dell’espressione “bene comune”. Bisogna stare attenti: può essere un inganno, se è moda passeggera in bocca ai soliti padroni. Che però il tema del bene comune, e, soprattutto, dei beni comuni, venga alla ribalta, non è un male. Non è credibile, certo, dentro certi percorsi politici. La demagogia mi dà sempre l’orticaria, ma su questioni così delicate ancora di più.
Come si fa a convertire in “bene comune” una zona della città, come la Falce, che fino ad oggi ha avuto vocazioni che stanno dalla parte opposta, come presidi miliari superprotetti e indisponibili alla collettività, interessi industriali fondati sul profitto e tanto degrado?
La nostra riflessione sulla zona falcata, così come su altre aree della città “ferite” dal cemento e dalle logiche di mercato, è proprio inserita nell’orizzonte della Teologia della Liberazione: liberazione dagli interessi privatistici cui contrapporre la logica dei beni comuni; liberazione dalla cementificazione selvaggia e dal degrado, cui contrapporre una visione di eco-sostenibilità e di bellezza; liberazione da una logica di profitto – per cui un bene vale solo nella misura in cui è produttivo economicamente – in favore di una visione in cui la bellezza va goduta e fruita gratuitamente; liberazione dalla vocazione militaristica cui contrapporre un messaggio di pace e di non violenza attiva.
Che risultati vorreste ottenere?
A noi non basta la “riqualificazione” né la “riappropriazione” del gioiello che è la zona falcata: a fare la differenza è la vocazione che si intende dare a quell’area. Noi la vogliamo aperta, mentre in questo momento la maggior parte delle aree sono inaccessibili; libera dai privati, quali hotel, abitazioni per “ricchi”, etc. e dagli edifici militari, destinata alla cultura e al contatto con la natura.
Che progetto avete nello specifico? Con che finalità? In quale parte della zona falcata? E in quali strutture?
Il progetto è ancora una bozza. L’idea sarebbe quella di valorizzare lo Stretto e questo pezzo di Mediterraneo in senso diacronico – e quindi verso la storia di questa città, la storia in genere di questo pezzo di terra come simbolo di scambi, di incontri tra culture e civiltà, di convivialità delle differenze – e in senso sincronico, ossia nel patrimonio, quali il paesaggio, la flora e la fauna di quello Stretto che Galileo definiva “paradiso dei naturalisti”. Pensavamo ad una lunga passeggiata che desse il senso della continuità, piuttosto che di elementi giustapposti. Il tutto nella cornice dell’eco-sostenibilità.
A Messina, il tema del “bene comune” ultimamente è stato introdotto ed affrontato grazie all’occupazione dell’ex Teatro in Fiera. In che rapporti siete con gli ormai famosi “ragazzi del Pinelli”?
Verso i “ragazzi del Pinelli” c’è profonda gratitudine e stima. È molto grave ciò che sta accadendo a livello giudiziario.Fine modulo
Ci indigna l’ipocrisia farisaica che si raccoglie attorno al concetto di legalità: si fa passare per criminale un atto di liberazione, mentre nella piena “legalità” i poteri forti si permettono di abbandonare all’incuria e al degrado gli spazi che sono nostri, della nostra città. Come diceva don Milani, obbedire non è l’unico modo di amare la legge: quando la legge legittima il sopruso del forte sul debole, l’obbedienza non è più una virtù. L’esperienza del Pinelli è stata ed è una primavera di coraggio e di creatività: sono state regalate alla città quell’arte e quella bellezza di cui ha così tanto bisogno.
Tu, personalmente, come hai vissuto dall’esterno il momento dello sgombero?
Mentre osservavo, quella mattina, i ragazzi passare in mezzo a due file di poliziotti in tenuta antisommossa, mi accorgevo che è un mondo alla rovescia quello in cui sono considerati pericolosi libri e strumenti musicali, e criminali gli animi appassionati e generosi. È vergognoso come ogni giorno, nell’indifferenza di molti di noi, ci sia strappato di mano ciò che è nostro. Il potere schiaccia nella misura in cui noi teniamo la schiena piegata. Ma forse, a poco a poco, qualcosa sta cambiando…
Corrado Speziale