OGGI E DOMANI A MESSINA – “Patres”
Eventi

OGGI E DOMANI A MESSINA – “Patres”

Patres_1

Dopo un’anteprima a Messina lo scorso febbraio, al teatro dei Naviganti, il debutto a “Primavera dei Teatri”  festival promosso dalla Compagnia Scena Verticale, dedicato ai nuovi linguaggi contemporanei e numerosi riconoscimenti nazionali – Vincitore del Premio contro le mafie del MEI 2014.

Vincitore del Festival Inventaria 2014 Roma. Secondo premio al Festival Teatrale di resistenza – Museo Cervi (RE) – ritorna a Messina lo spettacolo “Patres”, regia e drammaturgia di Saverio Tavano, in scena Dario Natale e Gianluca Vetromilo, Produzione Residenza Teatrale Ligeia Lamezia Terme/Scenari Visibili, col supporto della Regione Calabria.

Due repliche alla sala Laudamo, venerdì 19 e sabato 20 dicembre alle ore 21, nell’ambito degli  “Eventi Speciali” del progetto “Laudamo in Città”, promosso da Daf-Teatro dell’Esatta Fantasia in collaborazione col Teatro di Messina.

LA SCHEDA DI PATRES

con Dario Natale e Gianluca Vetromilo

regia Saverio Tavano

drammaturgia Saverio Tavano

tecnica Pasquale Truzzolillo

Foto di scena Angelo Maggio/Pasquale Cimino

Con il supporto della Regione Calabria

produzione Residenza Teatrale Ligeia Lamezia Terme/Scenari Visibili.

 

Festival Primavera dei Teatri 2014

Miglior spettacolo festival Inventaria 2014 Teatro dell’Orologio Roma

Premio contro le mafie del MEI 2014

Secondo premio al Festival Teatrale di Resistenza Museo Cervi – (RE)

 

Un giovane Telemaco di Calabria attende da anni il ritorno di suo padre, paralizzato nell’attesa, davanti all’orizzonte che può solo immaginare dal buio della sua cecità, attende su una spiaggia bagnata dal Mar Tirreno, mette le mani in avanti per vedere l’orizzonte, si rivolge verso il mare e aspetta che questo padre ritorni.

È il mare che scandisce e accompagna la vita di questo figlio, incapace di vedere come di andare, in attesa di un padre che invece non è in grado di restare/tornare a casa, in una terra a volte ostile. Un “Pater” che lega il figlio ad una corda perché altrimenti potrebbe perdersi, incapace di stargli accanto, non ritrova il coraggio della testimonianza e la forza della trasmissione.

Telemaco dalla lunga attesa, non aspetta un Godot, aspetta realmente qualcuno e l’attesa è dinamica, come un’erranza, un rischio.

Goethe dice che l’eredità sta in un movimento di riconquista, vero erede è un orfano a cui nessuno garantirà nulla. Ereditiamo il niente, ma non proveniamo dal niente, occorre quindi recuperare il nostro scarto col passato.

 

 

Patres-Salto-Picc.-ph.-Pasquale-CiminoRASSEGNA STAMPA 

Estratti stampa:

 

Dare via al dondolio della sedia, quasi un cullare antico, consolatorio, lasciare al figlio, tra le mani, quel gioco/simbolo, una nave colorata – e allontanarsi quindi piano, infilarsi la giacca, andarsene.

Così quel padre che aveva cercato, mescolando gioia e affanno, fastidio e sensi di colpa, di fondere, con una sorta di allegria rabbia venata di tristezza, di sintetizzare il suo ruolo, raccontando le sue esperienze sul mare, ballando, scherzando, facendo anche un po’ di veloce educazione sessuale con una bambola gonfiabile… una presenza chiassosa, infine malinconica, mentre il figlio – cieco, con una sua speciale consapevole rassegnazione, dolce, ilare, caparbia – riconosce il suo compito. Aspettare. Moto bello sul piano drammaturgico, frammenti esistenziali che sono sempre verità e metafora, sintesi di una vita in atmosfere surreali, “Patres” testo di Saverio Tavano con Dario Natale protagonista in scena con Gianluca Vetromilo – visto all’aperto, al Museo Cervi, nell’ambito del Festival di resistenza, con la compagnia Scenari Visibili dalla Calabria, lo stesso dialogo attraversato da elementi dialettali, forte l’accento, in una lavoro comunque di coinvolgente immediatezza. Bravi gli interpreti a mantenere questi piani complessi, d’incontro ugualmente assurdo e reale, tra sogno, mito e quotidianità padri che se ne vanno. E che vorrebbero forse anche essere modello, ancora giovani del fare flessioni, spiegando velocemente il mondo che muta, scherzando cameratescamente, incapaci di ascoltare, di stare quietamente, di costruire con pazienza profondi legami affettivi. Tanti applausi al termine e molti “ Bravo!” per Dario Natale e Gianluca Vetromilo.

Valeria Ottolenghi – Gazzetta di Parma

 

La Calabria, la sua terra, ma sopratutto il suo mare, sono stati infatti le metafore da cui sono partiti i due belli e significanti spettacoli “ Patres” della residenza teatrale Ligeia/Scenari visibili di Lamezia Terme e “Bollari, memorie dallo Jonio” del teatro della Maruca di Crotone. In“Patres” di Saverio Tavano con Dario Natale e Gianluca Vetromilo su regia di Saverio Tavano, un ragazzo cieco, indelebilmente legato da una corda alla sua sedia, guarda l’orizzonte, prefigurando terre lontane che può solo immaginare dal buio della sua cecità. L’orizzonte purtroppo per lui non ha colore, non esiste nessun orizzonte, l’orizzonte è solo una dura realtà con cui deve convivere ogni giorno della sua vita. Solo il fratello di suo padre se ne è andato, a cercare un altro orizzonte a Santo Domingo, vacuo ed effimero .

Ma un giorno il padre arriva, quel padre che gli prometteva un avvenire migliore ma che era solo anche lì, un’illusione, quel padre che sì è andato via non in cerca di orizzonti lontani ma solo per nascondere una grave colpa, una nave carica di rifiuti tossici che ha fatto affondare di proposito nel bel mare blu che il ragazzo immaginava profondo e meraviglioso. Padre come altri padri colpevole. Perchè noi padri, non solo quelli calabresi, avevamo prospettato per loro, per i nostri figli, un mondo migliore ma quello che essi stanno vivendo è ben peggiore di quello che noi volevamo cambiare.

Come arrivato, poi, il padre scompare, lasciando il figlio ancor più cieco e disorientato, ma sempre per fortuna in cerca del colore dell’orizzonte. In un dialogo serrato, tra lingua e dialetto, quello tra padre e figlio, in “Patres” ben rappresenta lo scollamento tra generazioni che non solo il Sud sta vivendo e che Pasolini aveva già preconizzato quarant’anni fa. Ma qui in questo bel testo di Tavano, recitato con commossa partecipazione da Dario Natale e Gianluca Vetromilo, è la terra matrigna con cui i due personaggi devono fare i conti, tutti e due in tempi diversi, ma specularmente nello stesso modo, perchè la loro terra non concede certezze, solo quella di condizionare pesantemente le loro vite.

Mario Bianchi – eolo-ragazzi.it

 

Figure della notte (ovvero ciò che non appare o non esiste), diventano abitanti di un giorno fasullo, illuminato non dal sole ma dai fari. Sono finti, i personaggi; sono finti e non esistono eppure esistono davvero: sudano, sono in grado di afferrare gli oggetti, hanno un respiro, i loro piedi, quando battono, fanno rumore. I personaggi di teatro sembrano appartenere alla vita degli uomini, ma in realtà stazionano all’orlo, al confine, sulla soglia del mondo che abitiamo normalmente: ci osservano, prima di essere osservati; prendono spunto dalle nostre vicende per dire le loro vicende; indossano abiti simili ai nostri, parlano il nostro dialetto, conoscono le nostre storie poiché saranno le storie con cui occuperanno il loro tempo, la loro presenza. Da osservatori i personaggi diventano poi osservati: invitano gli uomini a sostare – per un’ora – sulla soglia, sul confine, sull’orlo che chiamiamo “teatro” per mostrare a noi – che da osservati diventiamo invece osservatori – ciò che abbiamo vissuto senza accorgerci di averlo vissuto davvero.
I personaggi di Patres parlano il nostro dialetto, indossano abiti simili ai nostri e, quando battono i piedi, fanno rumore. Sudano, sono in grado di afferrare gli oggetti, hanno un respiro, sembrano veri pur non essendolo. La riflessione di questa ovvietà mi serve per far comprendere che il merito principale di Patres è quello di raccontarci la nostra vita attraverso una finzione che, pur somigliando tantissimo alla nostra vita, rimane con evidenza una finzione. 

Alessandro Toppi – ilpickwick.it

 

Uno spettacolo di estrema asciuttezza, misura e liricità. Lontano da stilemi retorici consunti, i due attori costruiscono in modo efficace un quadro di solitudine, di vuoto e mancanza, che da individuale si tramuta in sociale, diventando specchio della crisi di valori e della rottura del patto fra generazioni di una società intera. Una messa in scena attenta e di grande sapienza teatrale, fatta di gesti e parole sempre “necessarie”’.

Festival Teatrale di resistenza- Museo Cervi (RE) – Motivazione secondo premio

 

In Patres la metafora si fa chiave di volta per mediare denuncia e concetto, codice registico e struttura portante del cuore nevralgico dello spettacolo: un rapporto padre-figlio condizionato dalla disabilità. Una soggettiva colma si humanitas, contraddizioni, attegiamenti dettati da substrati culturali, pretesto per dire di navi affondate, malavita, sud ed emorragie interne. Un’ora di spettacolo dipanata per una partitura scenico-drammaturgica artigianale, incarnata nella plasticità degli attori, dall’effetto di presa aubitanea, epidermica. Un gioco di similitudini e naturalità, veracità e poesia. L’interpretazione fa da piatto forte a un corpus essenziale diretto con precisione lasciando margine di libertà espressiva, non redatto in limiti circostanziali.

Emilio Nigro – Hystrio

 

Lo spettacolo, è emotivamente coinvolgente, notevole anche nell’intreccio dei linguaggi espressivi: la parola dà spazio alla danza, e lo spettatore in età – ma non quello soltanto – riascolta con emozione una delle prime, ruffiane, ma intramontabili canzoni di Celentano, Storia d’amore. L’interesse del lavoro sta anche nel fatto che il tema del rapporto generazionale è affrontato, questa volta, esclusivamente dal punto di vista del figlio. Difatti, tutta l’azione condotta dai bravi Dario Natale (responsabile anche della regia, assieme a Saverio Tavano, autore della drammaturgia) e Gianluca Vetromilo, si rivelerà una sorta di sogno: l’evocazione di un desiderio, di un bisogno profondo quanto insopprimibile.

 

Claudio Facchinelli – corrierespettacolo.it

 

 

 

Due le chiavi di lettura visibili in questo “Patres” tutto calabrese. Un figlio handicappato, menomato, non vedente, un Tiresia del Mito, una sorta di Nemo, pesciolino con deficit, legato ad una corda-catena, come Melampo, un Telemaco che aspetta la venuta o il ritorno dell’amato genitore, e un padre sbrigativo che tende all’abbandono in un mix tra educazione spartana e protezione da campana di vetro.

Padre e figlio, ricerca e allontanamento, vicinanza di sangue e critica anagrafica. Guardando più in profondità il ragazzo ipovedente potrebbe rappresentare il popolo del Sud, la nazione calabrese o l’intera cittadinanza italiana che non vuole vedere quello che da anni gli fanno sotto il naso. Il padre (Dario Natale nel ruolo di ruvido e insinuante) è il classico emancipato furbetto del quartierino, losco individuo borderline, squallido e viscido con foie sordide…Un padre-padrone (la classe politica) che, come da migliore tradizione, fugge con bambola gonfiabile di plastica al seguito a Santo Domingo, “l’isola che non c’è”, eterno Peter Pan. Il figlio (Gianluca Vetromilo) riesce a connotare con commozione e leggerezza i tratti ingenui di questo segno-pennellata.

Tommaso Chimenti – rumor(s)cena

 

Nominativo maschile plurale. Questo il titolo. Personaggio maschile singolare: un padre. Uno solo, ma simbolo di mille. Uno dei protagonisti di questa storia è il padre. Ed anche il figlio, che senza di lui il padre non sarebbe tale. Ma non dimentichiamo anche gli altri: il mare, una corda, la nave, il vento.

Impossibile descrivere il testo poetico, divertente, irriverente, tradizionalista, mitologico e commovente, di questo spettacolo, senza ricordare e citare anche gli altri “personaggi”. Alcuni visibili, altri percepibili. La storia di un ragazzo cieco calabrese, che vive in un paesino, vicino al mare. Il padre, pescatore, dalla pelle bruciata dal sole, dagli occhi azzurri come quel mare e quell’orizzonte che si incontrano senza confine. In mezzo, una profonda solitudine annegata nel mare, come quella nave da inchiesta, come quella madre ammalata, come quella voragine dolorosa che è il simbolo dell’affondamento. Anche i colori sono importanti protagonisti di questo spettacolo, che forse si preferirebbe ascoltare, chiudendo gli occhi, attraverso immagini da “sentire”, con la pelle e con i suoni, proprio come fa il ragazzo non vedente…

…Bisognerebbe davvero chiudere gli occhi, quegli occhi coperti da una striscia di scotch che il padre appiccica sulle palpebre del figlio. Quegli occhi ciechi che invece vedono più di altri, infantili ma veritieri. Meglio incollarli per non conoscere la realtà. Recitazione intensa, viscerale, corporea, eccessiva a tratti, fino alle lacrime, pesanti, che sgorgano realmente dal viso del giovane attore. Piccoli testi di grande poesia. Nuova drammaturgia del Sud. 

Emanuela Ferrauto – dramma.it

 

Nel teatro i personaggi vengono da un fondo buio, da un retropalco sconosciuto, da un’attesa oscura. Creature di un mondo che avrà i confini del palcoscenico, avanzano portandosi al centro dell’assito, prendendo progressivamente carne e colore, luce, attenzione.

…Anche in questo caso la metafora chiave di violino della grammatica di palcoscenico, si fa strumento per mediare denuncia e concetto. Un rapporto padre-figlio condizionato dalla disabilità, di intensa presa subitanea, pretesto per dire di navi affondate, malavita, sud ed emorragie interne. E’ una partitura artigianale, sul lavoro di attore e di parola. Grande prova di Vetromilo.

Emilio Nigro – Il quotidiano della Calabria

 

 

 

 

La scelta della giuria va a Patres, di cui viene lodata la gestione puntuale e variegata della tensione drammatica interna all’intero spettacolo, il quale unisce alle intense suggestioni registiche un’interpretazione vivida e plastica da parte dei due attori. Pur con le basi fortemente poggiate sull’attualità della terra calabrese, sempre presente grazie all’uso di un dialetto viscerale e terrigno, lo spettacolo innalza lo sguardo sull’universale umano. La relazione tra il figlio cieco e il padre marinaio diventa anche, per allegoria, quella tra l’umanità e il proprio Dio o quella tra lo stanziale e il viaggiatore.

 

Festival Inventaria 2014 Roma – Motivazione premio miglior Spettacolo

 

ll mare come libertà possibile, approdo, partenza.
Ora calmo, ora in tempesta, segna il ritmo della vita della gente che lo abita. Perché chi nasce vicino a questo luogo magico e al contempo effimero, dove si manifesta la linea dell’orizzonte tra acqua e cielo, non può non esserne segnato.
Partire o restare, liberarsi o continuare nel susseguirsi dei giorni uguali dell’attesa. È il mare che scandisce e accompagna la vita di un giovane Telemaco di Calabria, incapace di vedere e condannato a vivere nell’attesa di un padre che scappa da una terra a volte ostile, e non riesce più a tornarci. Ha perso il coraggio e la forza di condurre ed esser d’esempio, propria dei padri: un “Patres” contemporaneo, e un figlio legato ad una corda dal genitore, affinché non si perda a causa di occhi ciechi ma immaginifici.

La scelta di recuperare la lingua dei padri pare un ulteriore tentativo di ristabilire un rapporto con le origini che troppo spesso finisce per affondare nel mare della memoria perduta. Il dialetto lametino, dolce e musicale quello del giovane Telemaco, a volte aspro ed urlato, difficile alla comprensione, quello del Patres, diventa così parola drammaturgica che comunica ben oltre il semplice significato dei termini.

Elisabetta Realeklpteatro.it

 

…Uno spettacolo bellissimo e straziante dove l’artificio della narrazione si insinua tra le piaghe di una realtà che non può e non deve essere epurata e rimarginata. Il sangue che è stato “squagliato” non può essere messo a tacere e, attraverso il teatro, irriga le coscienze come acqua salata su ferite insanabili. Agli attori il merito di aver dato, con una rappresentazione memorabile, corpo e voce ad un testo complesso ed emotivamente tormentato, restituendone il senso ed amplificandone l’impatto.

 

Grazia Laderchi – ilpickwick.it

Un cieco, per avere il senso dell’orizzonte, non può far altro che allargare le braccia e tendere le mani al nulla. Quello che non vede lo deve, infatti, mettere nel vuoto che va oltre le braccia, al di là della punta delle dita.In questo modo il suo infinito è appena oltre lo spazio di un abbraccio e il suo mondo si chiude nell’unica certezza che gli preme sulla pelle.Tutto intorno resta solo il vuoto buio dell’assenza di ogni forma.
Patres, che mette al centro della scena un ragazzo cieco affamato di orizzonte, ha un primo grandissimo pregio nella sua capacità di mettere questa condizione del non vedere a un passo dallo spettatore. Chi guarda lo spettacolo si accorge troppo tardi che il suo vedere è, in realtà, un inciampo nella comprensione giacché non aiuta in alcun modo a sentire. E non perché Patres sia uno di quegli spettacoli che sarebbe meglio vedere con gli occhi chiusi, ma perché quel che vediamo è in realtà, ad ogni passo, un indice puntato proprio verso ciò che non vediamo. Ed è lì la sua vera essenza e la ragione della sua poesia arcana.Scelta efficace visto che al centro del discorso di Patres non c’è tanto un discorso, quanto, piuttosto, un’assenza. Il testo, quasi cantato nel suo dialetto antico come una tragedia greca, racconta di una perdita il cui dolore si rinnova ogni giorno.
Il suo cordone ombelicale, metaforicamente rappresentato da una fune che gli lega la caviglia, non trova origine nello spazio della messa in scena, ma nel tempo nero dell’attesa. Vola verso il buio del graticcio, oltre i panni stesi del ricordo, nel non detto del racconto e nel non esperito delle motivazioni degli attori. 
È probabilmente questa la più brillante delle soluzioni di regia.
…Per tutti questi motivi Patres è uno spettacolo sfaccettato ed energico. Ma di un’energia compressa, sofferta, lacerata. Più che un’esplosione, mette in scena un’implosione che si congela in quella presa di fiato che sta prima del grido….È in questa dimensione, infatti, che meglio si apprezza la precisione millimetrica della regia e la grande bravura di tutti e due gli attori. E ci preme qui precisare che Gianluca Vetromilo, splendido Telemaco, è bravo non perché accetti la sfida di quasi un’ora di scena ad occhi chiusi, ma perché capace di far sentire la poca distanza dal ragazzo dell’inizio al bambino del ricordo.

Alessandro Izzi

“Patres”, maschio e genitore al tempo stesso, cinquanta minuti per raccontare un personaggio che se ne porta dietro un altro, un giovane uomo con gli occhi chiusi che attende senza una guida, un uomo più grande che gioca alla responsabilità di sostenere il peso delle difficoltà di entrambi.

C’è la normalità della vita, c’è un dolore che nessuno merita e di cui il mondo è stracolmo, questo ci dice il testo scritto dallo stesso regista di origini messinesi per metà, calabresi per l’altra. 

Nunzia Lo Presti – CENTONOVE

 

Nell’intimità della sala 14 del protoconvento francescano di Castrovillari si dispiega lo scenario salmastro di un rapporto padre-figlio;  il mare è temibile spettatore di un’attesa, carico di speranze e portatore di nostalgia. La cecità è il nastro su cui questo rapporto si costruisce, simbolo della fiducia portata e dovuta ad una figura di riferimento che tanto ci necessita quanto ci manca in quest’oggi precario. Un Telemaco che parla il dialetto lametino si fa portavoce dell’innocenza della gioventù, carica di speranze e curiosità, ma pronta al dubbio; davanti a lui la figura speculare di un padre disincantato, uomo di mare inerme davanti alla cupa realtà che lo circonda. … Il mare che è patria più che la terra, entità temibile che esige rispetto, è stato reso complice di un delitto, una nave carica di rifiuti tossici affondata di proposito nelle sue acque…le parole paterne diventano gli occhi del figlio non vedente. Finché, incapace di affrontare la realtà, incapace di rivelare la verità sul triste mondo in cui ha fatto nascere suo figlio, il padre scompare, lasciandolo appeso alla speranza di un ritorno. Spettri sonori completano le atmosfere evocate dal testo di Saverio Tavano e dall’intensa interpretazione di Dario Natale e Gianluca Vetromilo. I forti accenti dialettali caricano di concretezza questo dialogo su una genitorialità più sociale che paterna: siamo tutti Telemaco, ciechi e disorientati, consenzienti ci lasciamo legare per la caviglia alle corde dell’omertà e dell’indifferenza, muovendoci solo nel perimetro che ci è consentito; votiamo fiducia innata ad un Patres che non ci sa aiutare, che trama alle nostre spalle e che sparisce quando le cose si complicano.  

Sabrina Fasanella – radiophonica.com

…Con Patres brilla ancora Il rapporto padre –figlio scandagliato con poetica lucidità.  

Tiziana Bagnato – Onda Calabra.it

…Nel nome dei Patres. un padre irsuto in volto come da navigato pescatore, è quell’Ulisse dapprima premuroso ma poi in fuga da tutto, da sempre, per una smania di ricerca o per una fuga da troppe responsabilità. E così Patres c’invita forse a dare un futuro ad ogni Telemaco,a colmare l’assenza; si rivolge a noi che non sappiamo più essere padri, noi che siamo sì estranei alle arti della scena, ma siamo pur sempre spettatori e pertanto tenuti a chiudere il cerchio, perché “gira e rigira qua si torna” dice Telemaco, davanti al mare che non si riposa mai…” 

Pasquale Allegro – l’Ora della Calabria

 

 

“…Lo spettacolo Patres mette a nudo la difficoltà di comunicazione tra padre e figlio, per quasi un’ora Dario Natale e Gianluca Vetromilo hanno sviluppato un argomento di grande attualità attraverso scene commoventi e coinvolgenti che hanno impressionato il pubblico…”

Lina Latelli – Il Quotidiano della Calabria

 

 

19 Dicembre 2014

Autore:

admin


Ti preghiamo di disattivare AdBlock o aggiungere il sito in whitelist