RIFLESSIONE – Una generazione che entra con facilità in crisi è facilmente condizionabile al suicidio!
Che ne pensi di, Fotonotizie, Il Muro, In evidenza

RIFLESSIONE – Una generazione che entra con facilità in crisi è facilmente condizionabile al suicidio!

L’analisi di Salvatore Bucolo (pedagogista-cognitivista / teologo-catecheta / bioeticista-sessuologo).

Ormai in Italia l’opinione pubblica si sveglia solo quando ci si trova davanti a un morto, come nel caso dell’adolescente di Lavagna che l’anno scorso si è suicidato lanciandosi dalla finestra della sua cameretta durante una perquisizione da parte della Guardia di Finanza, avvisata dalla madre. Ma purtroppo anche di recete e di preciso nei giorni scorsi a Ponte Lugano, nella Capitale, alla fermata della metro, Alice originaria di Capo Verde, che non molto tempo fa aveva persona la figura importate del padre, ha deciso di lanciarsi sotto un treno.

Era una ragazzina di appena 15 anni.

È un dibattito che non andrebbe mai interrotto perché gli adolescenti che tentano di uccidersi o che riescono nel loro intento, sono veramente tanti e in netta crescita. Il suicidio, è la seconda causa di morte in adolescenza, ma non si vuole vedere. Si ha paura di parlarne, si ha timore di guardare in faccia la realtà perché un suicidio è sempre un fallimento educativo, un fallimento della scuola, un fallimento della società che non è in grado di aiutare le famiglie e i ragazzi. Si ha paura di affrontare la condizione in cui vivono questi ragazzi alla deriva emotiva, nelle scuole non si fa nessun tipo di prevenzione in merito, i media non dedicano spazio, in famiglia non se ne parla perché il sol pensiero terrorizza qualsiasi genitore o insegnante. Non si riesce a pensare o potenzialmente a immaginare che il figlio possa avere un problema e pensare di togliersi quella vita che loro gli hanno dato.

Eppure non è così, ci sono centinaia di adolescenti che tentano di farla di finita, che vivono in una condizione di profonda solitudine, di depressione, che sono completamente svuotati. Troppo fragili, troppo labili e particolarmente a rischio. Essere a rischio significa che qualora arrivi l’evento che diventa la goccia che fa traboccare il vaso, che destabilizza quello pseudo equilibrio che ci si è faticosamente creati, si decide di mollare tutto e di farla finita.

Non si parla di suicidio o di autolesionismo perché si crede ancora che si possa condizionare i ragazzi e indurli a mettere in atto comportamenti che conoscono perfettamente. Se si calcola che 2 adolescenti su 10 si fanno intenzionalmente del male (Dati Osservatorio Nazionale Adolescenza), nel web ci sono migliaia di siti, video e profili dedicati all’autolesionismo, adolescenti che tentano il suicidio in diretta sui social network, insomma sono circondati dai disagi e dai problemi esistenziali e si continua a pensare che fare informazione e prevenzione significhi indurli a farsi del male. Se non si aiutano i genitori a capire la portata della depressione in adolescenza, dell’abuso di sostanze, di essere sempre più dipendenti da tutto, se non si aiutano a individuare e a riconoscere i segnali allora non dobbiamo veramente lamentarci di ciò che accade.

Rimaniamo a bocca aperta quando il problema lo abbiamo ben chiaro e manifesto sotto gli occhi ogni giorno. Sono troppi i suicidi degli adolescenti i cui si impiccano, si buttano dalla finestra con una facilità disarmante e ciò che lascia senza parole è l’età sempre più bassa e le apparenti futili motivazioni, come se la vita fosse attaccata a un filo. Spesso sono problemi legati alla scuola, alle litigate e alle incomprensioni con i genitori o alle delusioni d’amore. Più raramente ci sono suicidi messi in atto per vendetta o ripicca, per colpire le persone individuate come responsabili del proprio malessere che possono essere genitori, fidanzati, amici o ex fidanzati. Sono ragazzi che vivono un malessere troppo radicato, che si portano un peso enorme dentro, che non hanno più la forza di combattere e di aggrapparsi alla vita anche quando fa schifo. Il suicidio non arriva mai dal nulla, in qualche modo, per via diretta o per via indiretta, viene comunicato.

Non è mai solo un fattore quello che induce un adolescente a togliersi la vita, anche quando sembra evidente. Non è un brutto voto, una bocciatura, una delusione amorosa o un cuore infranto, la disperazione per la perdita di una schedina, la “causa” di un suicidio in questa tenera età. C’è comunque una vulnerabilità consolidata e una fragilità emotiva importante. Sono ragazzi che non hanno risorse interne più sane, più adattive per affrontare il problema e non si vede altra via d’uscita. Sono figli della tecnologia e di famiglie troppo disgregate, della pressione sociale, della fretta, della crisi dei valori. È anche vero che fare il genitore oggi è ancora più difficile e complesso, ma si è persa troppo l’autorevolezza, i genitori hanno perso un ruolo, non sono più efficaci, troppo lascivi o permissivi, troppo amici o troppo rigidi e severi e distaccati. Siamo nell’era in cui sono annientate le vie di mezzo, della vetrina pubblica e dell’odio libero. Bisogna ridare contenimento a questi ragazzi, hanno bisogno di un contenitore stabile in cui muoversi, di regole e di limiti perché altrimenti continueranno ad avere i confini psichici troppo labili e un rischio elevato di passare da un tutto al nulla.

Nella Giornata mondiale per la prevenzione dei suicidi Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù, ospedale pediatrico della Santa Sede, ha invitato i genitori a monitorare i segnali di disagio, cogliere i cambiamenti repentini del comportamento dei figli: attivato un servizio ospedaliero, ambulatori e call center. Mi è doveroso evidenziare anche l’impegno del professore Pompilli in merito al rischio di suicidio: «Il problema è noto dagli Anni Sessanta quando si osservò l’aumento esponenziale di suicidi tra i giovani maschi negli Stati Uniti, il dato è simile nel resto del mondo, si riscontra molto meno negli anziani. L’Oms individua la fascia a rischio tra i 15 e i 29 anni». Per il professore Pompilli il suicidio è “l’epilogo di un percorso di sofferenza insopportabile che ha attraversato la vita dell’individuo”. E per porvi rimedio “occorre sensibilizzare tutte le persone deputate alla tutela della salute del minore: genitori, educatori e via dicendo. Devono essere consapevoli che il suicidio è un fenomeno che si può prevenire”.

I genitori devono cogliere i segnali di allarme, riconoscere i soggetti in crisi! I segnali premonitori sono: “Insonnia, distacco dalle cose care, discorsi sulla morte, calo di rendimento scolastico, abuso di sostanze, comportamenti scorretti alla guida, sesso non protetto, sport estremi, noncuranza della propria incolumità. Le modalità di tentato suicidio più diffuse sono il salto nel vuoto, l’autolesionismo e l’impiccagione, meno spesso si riscontra l’avvelenamento da farmaci”. I genitori devono chiedere ai figli, che manifestano i segnali di cui prima, “hai mai pensato di voler morire?”. È un quesito fondamentale perché apre un varco alla possibilità di essere aiutati, ma deve venire da genitori maturi o da persone ricche di umanità! L’aumento esponenziale dei suicidi tra i giovanissimi, è stato denunciato anche da Papa Francesco. In un’epoca in cui “il desiderio sembra avere la meglio su tutto”, il ruolo di genitori rischia di ridursi a quello di “facilitatori dei desideri”. Bisogna educare, invece, i propri figli al “senso del limite” e insegnare loro che la vita può essere felice e piena, anche se vissuta in posizioni sociali considerati “marginali” e non “di successo”! Giovanni, a Lavagna, che si butta dal balcone per 10 grammi di hashish; Michele, a Udine, che si toglie la vita perché non sa più “sopravvivere”. Sono solo due dei suicidi di adolescenti che hanno riempito le pagine di cronaca dell’anno precedente.

Secondo l’Istat, sono stati 594 in un anno i casi di suicidio tra i ragazzi dai 15 ai 34 anni, ma le cifre diffuse sembra siano inferiori a quelle reali, come ha fatto notare anche Papa Francesco rivolgendosi agli studenti dell’Università Roma Tre, in cui ha legato questo dramma alla “liquidità” della nostra società, che toglie lavoro e speranza ai giovani. Un giovane che tenta e ritenta di trovare occupazione allo scopo di edificarsi un futuro e dopo anni spesi in vane ricerche comprende che per lui non vi sarà lavoro, ergo futuro, cade nel baratro della nullità. Inizia a sentirsi inutile, vuoto, di peso per la sua famiglia e per la società e da lì in avanti la caduta nel vortice della profonda depressione sarà immediato! Non molto tempo addietro si è sentito parlare di “Blue Whale”, un gioco macabro che ha già falciato quasi 200 vite tra preadolescenti e adolescenti. Il gioco si è originato in Russia, opera di un giovane, poi arrestato, vittima di pestaggio in prigione, “suicidatosi” (Philip Budeikin). “Blue Whale”, la balena che uccide.

Il gioco inizia con un contatto tra i curatori del gioco e le vittime che generalmente avviene attraverso il web. Le regole del gioco sono crudeli e terminano con l’istigazione al suicidio che dovrebbero emulare la morte delle balene spiaggiate e di cui “l’ordine” sopraggiunge dopo l’osservanza della cinquantesima spregevole prova, tutte o quasi, autolesioniste. Ciò che si ottiene è un condizionamento progressivo sulle menti dei giovani contattati attraverso il web. Si tratta senza dubbio di personalità deboli, ma è altrettanto vero che i giovani vengono pressati e ricattati persino minacciati e subiscono un condizionamento a opera di musiche, video e altro. L’epilogo finale, per molti di loro, è stato il suicidio. Davanti a tale fenomeno è doveroso allertare i genitori e prevenire tali condizionamenti stimolando i medesimi a dialogare con i propri figli che, spesso pur non manifestando crisi depressive o di infelicità, possono ricevere gravi influenze mentali dai “curatori” del perverso gioco di cui prima. Il dialogo con la propria prole farà sì che, i parecchi segnali evidenti (frutto delle 50 prove previste dall’infausto gioco), possano con facilità venire scoperti e cosi interrompere tale stupida e pericolosa pratica.

Per esempio se il proprio figlio si chiude in camere tutto il giorno ad ascoltare musica psichedelica, o ancor peggio si taglia e si ferisce in più parti del corpo ripetutamente, controllandolo potete benissimo intervenire, e porre rimedio a tale condizionamento psicologico, rivolgendovi a uno specialista (psicologo, psicoterapeuta o a uno psichiatra infantile) e così porre rimedio a tale spiacente inconveniente che spesso porta al suicidio! In fine non sarebbe neppure una cattiva idea controllare le pagine di fb dei propri figli e dei loro amici, osservare cosa condividono e senza fare troppe domande amateli e portateli con voi a praticare sport e attività che possano favorire la loro sana socializzazione e autostima.

25 Gennaio 2020

Autore:

redazione


Ti preghiamo di disattivare AdBlock o aggiungere il sito in whitelist