MONELLACCIO – Antonio Mazzeo in castigo subito dietro la lavagna. Mah!
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MONELLACCIO – Antonio Mazzeo in castigo subito dietro la lavagna. Mah!

Ed anche il Cobas, Comitati di Base della Scuola esprime solidarietà al “Maestro” oggetto di un procedimento disciplinare per aver contestato la presenza della propaganda militare e dell’Esercito nella propria scuola. Meno male che la sua dirigente, la professoressa Cacciola, non è un generale, altrimenti sarebbe stato già passato per le armi.

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“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio” […].

24 maggio 1915, l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale.

E oggi inizia un’altra guerra, in una scuola, al “Cannizzaro” di Messina.

Quella che una solerte dirigente, elmetto ben calato sugli occhi, baionetta innestata, cipiglio guerriero, ha scatenato contro un suo docente,.

Lui è Antonio Mazzeo, docente dell’ICS “Cannizzaro – Galatti” di Messina, contro il quale la dirigente scolastica dell’Istituto, Giovanna Egle Candida Cacciola, ha promosso un procedimento disciplinare.

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La colpa di Mazzeo, da sempre in prima linea contro il Muos e contro la Guerra, è quella di aver contestato, civilmente, a colpi di articoli, senza arretrare di un passo, con si fa in guerra, la presenza della propaganda militare e dell’Esercito nella propria scuola.

I fatti risalgono allo scorso 17 aprile quando in quell’istituto venne ospitata una delegazione della Brigata Aosta con la sua banda, che si esibì a scuola.

Nei giorni precedenti, Antonio Mazzeo, da sempre impegnato in difesa della pace e nella promozione della soluzione non violenta di tutti i conflitti, aveva inviato una lettera alla D.S. nella quale sottolineava di aver appreso dell’esistenza dell’iniziativa dalla stampa.

Mazzeo evidenziava che la stessa era in contrasto con i valori didattico-educativi dell’istituzione scolastica e sottolineava che non era stata regolarmente deliberata dagli organi collegiali.

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Il docente concludeva esprimendo un totale dissenso “per questo pseudo-progetto “Militari-studenti […] realizzato proprio nei giorni in cui si consuma l’ennesima tragedia di guerra internazionale utilizzando ancora una volta come piattaforma di morte la Sicilia e le sue basi militari”.

Successivamente, con modi coerenti e pacati, il professore aveva espresso pubblicamente le medesime riflessioni, che venivano divulgate su alcuni blog on line, compreso sul nostro giornale.

Il 15 maggio del 2018 la D.S. contestava al docente di avere pubblicamente danneggiato l’immagine della scuola poiché aveva screditato la dirigente e denigrato l’istituzione scolastica.

Va notato che la D.S., nella contestazione mossa a Mazzeo, sostiene, fra l’altro, che non c’era nessun obbligo a partecipare all’iniziativa del 17 aprile.

Ciò in palese contrasto con la circolare 102/DS del 13 aprile 2018 nella quale, in riferimento alla contestata attività, si legge: “tutti gli studenti dei tre gradi di istruzione prenderanno parte all’evento”.

L’obiettivo svolgimento dei fatti dimostra la pretestuosità dell’accusa e, soprattutto, la mal dissimulata volontà di negare la libera espressione delle opinioni, anche quando queste ultime sono perfettamente coerenti con il dettato costituzionale.

In particolare, ma non solo, con l’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Mazzeo intanto, in attesa delle note disciplinari, come gli alunni discoli è in castigo dietro la lavagna… e non per solidarietà gli siano a fianco.

Piovano i messaggi di solidarietà sulla rete e sui media.

In questo contesto, anche i COBAS chiedono l’immediata archiviazione del procedimento disciplinare.

E Piero Bernocchi, portavoce nazionale COBAS, già preannuncia che “Se ciò, malauguratamente, non dovesse avvenire assisteranno in tutte le sedi deputate il docente, perché non è tollerabile nessuna limitazione alla libertà di espressione”.

Il caso Mazzeo\Cacciola ha buone credenziali che diventi nazionale… e forse, mentre la scuola affoga in una serie di problemi, a screditarla potrebbe essere altro che non la semplice protesta del docente\pacifista, che di suo non ha mai piegato la schiena nè di fronte la mafia, nè di fronte le ingerenze della politica o quelle di amministratori “tosti”, no ha temuto i confronti nelle aule giudiziarie, men che meno le minacce di quei poteri più o meno occulti che lui, con i suoi articoli, le sue denunce, il suo fare ha screditato.

E poi non parlateci di “Buona Scuola”.

Ovviamente, anche questa volta, “Scomunicando” sta con Mazzeo!

 

Splendida Riflessione di Pietro Saitta sul Caso Mazzeo… da leggere

Dalla scuola di De Amicis alla buona scuola di Renzi, sempre col libro Cuore in mano e appoggiato sul petto

Nel 1886 Edmondo De Amicis da alle stampe Cuore, un libro a suo modo epocale, non tanto per la trama e lo stile narrativo alquanto mediocri, quanto per la sua capacità di illuminare mentalità e valori di un’età storica. Per quanto rivolto ai bambini, e malgrado avesse una scuola torinese come principale teatro per l’azione –  anzi, proprio per questa ragione –, Cuore è un testo eminentemente politico che disegna una società ideale e contribuisce a sviluppare una narrazione nazionale. È uno di quelle opere narrative, insomma, che “immagina una comunità” e partecipa dell’“invenzione di una nazione”: quella italiana, sorta da una guerra meno patriottica che espansionista, la quale si ritrova dinanzi alla necessità di dovere produrre dei valori condivisi ancorché mancanti per la popolazione dello Stivale.

Come ricorderemo in tanti, la pedagogia di Cuore – la missione, cioè, di quella “scienza” volta alla formazione del bambino e, soprattutto, del cittadino ideale – è essenzialmente incentrata sui pilastri dell’autorità, dell’obbedienza, della memoria e del territorio: in alto troviamo il re, l’esercito, i caduti per la “Patria” e, naturalmente, l’Italia finalmente unita; in basso, i genitori, i maestri e il dirigente scolastico.

Il testo appare interessante anche da un punto di vista sociologico e organizzativo. Concentrandoci in particolare sulla scuola, possiamo vedere i rapporti sociali e professionali disegnati dalla Legge Casati, incentrati, come ci ricorda una ricca letteratura storico-sociologica, sulla preminenza del dirigente. E, in particolare, su un modello – peraltro comune agli altri settori della pubblica amministrazione in via di riordino in quegli anni – ricalcato sull’esempio prussiano: piramidale, gerarchico e, anzi, sproporzionalmente sbilanciato sulla dirigenza e sui vertici.

Saltando a piè pari gran parte dei problemi e delle evoluzioni dell’ordinamento didattico,  sappiamo tutti come questo modello pedagogico profondamente nazionalista, militarista e gerarchico, che riflette rapporti sociali e politici propri di uno Stato assoluto, verrà gradualmente messo in crisi negli anni successivi al Secondo conflitto mondale, allorché apparirà chiaro il nesso tra autoritarismo – non importa se di matrice liberale o fascista – e scuola. Quando, cioè, per un periodo relativamente breve, diverrà evidente l’innaturalezza di un sistema dell’istruzione che non miri a fornire soggetti liberi e critici, in grado di riconoscere le insidie dei discorsi restrittivi dei diritti e delle libertà che la società di tanto in tanto produce, ma “carne da cannone”. Individui, cioè, abituati in primo luogo a obbedire e, dunque, eterodiretti ed esposti al rischio di prediligere l’azione alla riflessione, la sottomissione ai poteri prima che l’esercizio della critica. Questa stagione relativamente breve, di riflesso, si caratterizzerà anche per l’introduzione di organi collegiali multilivello, talvolta muniti solo di funzione consultiva, utili comunque a contrastare il decisionismo dei vertici scolastici e praticare la democrazia nei luoghi di lavoro.

Ma la storia è una continua torsione tra forze e ideologie. Non stupisce dunque che la cosiddetta “Buona Scuola”, al pari di quanto accade in generale nel mondo del lavoro, riporti in auge il modello prussiano, del tutto fondato sulla preminenza della dirigenza e sugli interscambi tra la scuola e altri settori cruciali della società: in primis l’impresa, certo; ma anche l’Esercito. Quest’ultimo, peraltro, alle prese con la propria ristrutturazione, il problema degli organici e le nuove sfide poste dagli scenari politici internazionali. Un Esercito, insomma, impegnato in una straordinaria campagna comunicativa, volta tanto a definire una rappresentazione pubblica di sé quanto a garantirsi una propria dotazione organica per anni a venire che si immaginano di crisi e di impegno in situazioni di conflitto e post-conflitto. Da qui le centinaia di iniziative consistenti in incontri del personale militare con studenti di ogni ordine e grado, di visite guidate nelle caserme o su mezzi navali per rappresentazioni differenti e compatibili con l’età dei visitatori, oltre che di accordi con le università a fini di ricerca oppure di reperimento di personale qualificato per attività che vanno dall’intelligence alla traduzione.

Di tassello in tassello, e con sintesi brutale, potremmo dire che, con una perfetta chiusura del cerchio, l’eroismo, la dedizione alle armi e alla Patria tornano a essere valori da tramandare ai pargoli in procinto di diventare cittadini, al pari dell’obbedienza del maestro verso il dirigente.

Questa impressione matura allorché capita di sentire che un docente e giornalista, Antonio Mazzeo, da decenni impegnato a costruire un’informazione libera e rigorosa sui fenomeni militaristici, venga sottoposto a procedimento disciplinare dalla propria dirigente scolastica per “mancata osservanza del codice comportamentale dei dipendenti pubblici”. Lì ove la mancata osservanza del dipendente consisterebbe nell’avere messo in luce come fosse paradossale che la banda di un reggimento militare venisse a suonare nel cortile della propria scuola, suonando peraltro “contro ogni guerra”. Ma, soprattutto, per avere notato, abbastanza correttamente sul piano storico, come fosse dal 1942, ossia dagli anni del Fascismo e del raccordo più alto tra scuola e Stato, che una banda militare non entrasse nel cortile della scuola Cannizzaro-Galatti di Messina.

Ecco allora come un esercizio critico della parola possa venire considerato come un atto di denigrazione, teso a “screditare la figura dirigenziale e l’immagine e il decoro della scuola sui social network”. Tanto più che “i rapporti con il territorio, nello specifico con le Forze dell’Ordine, incluso l’Esercito Italiano, rientrano nel Progetto Legalità discusso ed approvato collegialmente”.

Se in generale non vi è da attendersi da un dirigente scolastico odierno – un burocrate in senso weberiano, e solo in subordine un formatore e un erudito – la conoscenza della ricca letteratura giuridica e politologica che da tempo ha messo in risalto i pericoli del raccordo tra polizia e esercito nella gestione dell’ordine pubblico e della “legalità”, tradottosi in una estensione della guerra nei confini interni (si pensi al fenomeno dei cosiddetti “morti per polizia”, ben più ragguardevole di quanto l’opinione pubblica non venga a sapere. Sicché i casi famosi dei vari Aldrovandi o D’Uva sono giusta una goccia nell’oceano) e nella trasformazione delle relazioni internazionali in un’attività di polizia (un paradosso giuridico e una violazione, dato che il potere di polizia ha come campo d’azione una nazione e non uno stato terzo), resta ugualmente interessante osservare come una categoria sociale e professionale – quella dei dirigenti scolastici – abbia finito con l’essere ri-cooptata da una ideologia intimamente ottocentesca, mancando presumibilmente degli strumenti culturali minimi atti ad accorgersene. Ciò che verosimilmente li indurrebbe a guardare con occhio piú attento alla natura dei progetti e a vagliare con minore irruenza il senso ultimo delle critiche.

È così dunque che, di retorica in retorica, viene proprio da chiedersi “in che mano sono i nostri figli”…

 

 

24 Maggio 2018

Autore:

redazione


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