MAFIA & NUMERI – I diecimila giorni di Matteo Messina Denaro. E non c’è virus che tenga…
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MAFIA & NUMERI – I diecimila giorni di Matteo Messina Denaro. E non c’è virus che tenga…

– di Corrado Speziale –

 La latitanza del superboss ha raggiunto diecimila giorni. Lo apprendiamo da un’iniziativa del giornale on line messinese Il CarrettinoNews, attento da anni a scandire le giornate di clandestinità del capomafia, erede di Riina e Provenzano, iniziata nell’estate del 1993.      

Oggi, la coincidenza con l’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre, avvenuta il 30 aprile del 1982.

 

La latitanza di Matteo Messina Denaro ha raggiunto la cifra di diecimila giorni. Un numero che fa sensazione. L’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, che diede il via a questo lungo periodo, fu emessa nel 1993, circa sei mesi dopo l’arresto di Totò Riina. Il primo latitante d’Italia, tra i criminali più ricercati al mondo, è in fuga da oltre ventisette anni.

A suo carico pendono crimini come associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro.

Nel 1994 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per l’arresto ai fini dell’estradizione.

L’erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano, originario di Castelvetrano, proprio quattro giorni fa a compiuto 58 anni. In tempi e condizioni normali sarebbe stato in carcere da quando ne aveva 31. Praticamente un carattere dalla potenza di fuoco che nessuno ha mai fermato. In fondo, a 58 anni, si è ancora troppo in auge affinché si finisca in mani nemiche… Ai suoi più importanti predecessori, ciò accadde in età molto avanzata: Totò Riina fu catturato a 62 anni, il 15 gennaio del 1993, mentre Bernardo Provenzano, scovato nell’aprile del 2006, di anni ne aveva addirittura 73. Altrettanto importanti e significativi i periodi di latitanza: 24 per Totò Riina, quasi 43 anni per Provenzano. Così, Messina Denaro ha abbondantemente superato il “capo dei capi” e corre verso il record dell’altro boss corleonese. Ma questa non può passare alla storia come la più triste e squallida corsa a chi resiste di più in latitanza rispetto all’altro. Sembriamo in un film dove va in scena l’assurdo.

Intanto, oggi, mentre riflettiamo sulle diecimila albe trascorse all’aria aperta dal superboss, tocca innanzitutto ricordare che siamo nel giorno dell’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre, avvenuta il 30 aprile 1982. La Torre, esponente e deputato del Pci, combatté la mafia pagando il suo impegno al prezzo della propria vita. Egli verrà ricordato soprattutto per essere stato il promotore della legge che attraverso l’art. 416 bis c.p. ha introdotto il reato di associazione mafiosa e della norma che prevede la confisca dei beni ai mafiosi. Con lui, quella mattina di 38 anni fa perse la vita anche il suo autista e compagno di partito, Rosario Di Salvo.

Da chi la mafia l’ha combattuta a chi la gestisce: Matteo Messina Denaro adesso è il simbolo di un’Italia sommersa, nascosta, dove lo Stato appare solo in superficie, preferendo a volte la retorica all’impegno.

Nell’area trapanese, siciliana, nazionale e internazionale, a vario titolo, Matteo Messina Denaro sembra dominare qualcosa di apparentemente indefinito.

Nel 2002 il boss pentito Antonino Giuffrè, ex fidatissimo di Provenzano, aveva dichiarato: “Allo stato attuale Trapani, e in particolare il paese di Castellammare del Golfo, rappresentano una delle zone più forti della mafia, non solo perché la meno colpita dalle forze dell’ordine, ma soprattutto perché punto di riferimento non solo di traffici normali, come droga e armi, ma anche luogo dove si incontrano alcune componenti che girano attorno alla mafia. È un punto di incontro della massoneria, ma anche per i servizi segreti deviati”.

E sul paese d’origine del boss, una dettagliata relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, inviata all’aula di Montecitorio il 21 dicembre 2017, intitolava un capitolo proprio alle vicende di Castelvetrano.

“L’attuale capo della mafia della provincia di Trapani, il latitante Matteo Messina Denaro, da almeno un ventennio gestisce l’associazione mafiosa e il suo rapportarsi con il territorio secondo regole solidaristiche volte all’acquisizione del consenso degli associati e della società civile. L’imprenditoria, ad esempio, non è vessata dall’imposizione del pizzo ma riceve l’aiuto economico e il sostegno mafioso offrendo in cambio, sinallagmaticamente, la titolarità di quote delle imprese. (…)  In tale contesto – prosegue la relazione  – la cittadina di Castelvetrano è al centro delle dinamiche mafiose della provincia di Trapani non solo quale luogo natale dei Messina Denaro, ma soprattutto perché Matteo Messina Denaro da sempre amministra Cosa nostra trapanese attraverso una cerchia di stretti parenti e di fidati amici lì residenti che gli consentono, a tutela della sua latitanza, di evitare una continua permanenza in quel territorio e di mantenere comunicazioni diradate con gli associati”.

Dunque, di tutto e di più. Come dire, un profilo perfetto di movimenti, dentro il quale si inquadra una latitanza dorata. Una vita sospesa, sottotraccia, nel sottobosco infimo della società, dove operano volti e profili puliti intenti ad azionare la leva della perenne sfida ad uno Stato dalle mille partite irrisolte, dentro una irrefrenabile altalena tra valori, inefficienze e connivenze.

Siamo in tempi di Coronavirus, fenomeno in cui un microorganismo invade un macrocosmo. E il ricercato appare come un essere invisibile, da sequenziare: sopravvive, si camuffa, si inserisce tra le pieghe molli degli organismi di una società assuefatta e insensibile. E proprio in questa fase, col mondo in buona parte in isolamento forzato, quando si cercano spasmodicamente rimedi con antidoti e vaccini, sembra che la “malattia” legata al superlatitante di Cosa nostra non sia più contagiosa come una volta: lo Stato sembra aver fatto gli anticorpi…

Individuazione, tracciamento, isolamento. Notare come e quanto alla caccia al virus si possano associare azioni di polizia e intelligence. Mescolando le tre fasi, adattandole alla realtà, ecco come ad un soggetto microscopico che sta cambiando le sorti del mondo, sia associabile alla vicenda del superlatitante di Cosa nostra.

Sarà che le agende si spostano, si differiscono, sarà che conviene sempre lavorare nel silenzio…Qualcosa sarà. Ma sembra registrarsi una sorta di assuefazione al male, di una convivenza con esso.

Ci si chiede come, dove e grazie a chi Matteo Messina Denaro faccia valere la sua potenza in clandestinità. È incontrastato, non ha un sostituto.

A Castelvetrano il tempo sembra essersi fermato, mentre la vita dell’Assoluto continua lì e altrove.

E sembra impossibile come, con i mezzi attualmente in uso agli inquirenti, in grado di sfruttare la tecnologia più sofisticata, non si trovi modo di dare il colpo di grazia al boss.

Sull’argomento, in passato abbiamo assistito alla scoperta di inquinamenti e commistioni di imprenditori e politici del malaffare, catture di sodali al boss, sequestri, confische, trame e incroci tra confidenti e pentiti, accerchiamenti che sembrano non concludersi mai. Ciò non è mai bastato a recidere una volta per tutte il filone di questi fatidici diecimila giorni.

Quasi sei lustri che danno il senso di un fiume carsico che attraversa sottotraccia i ricordi, i dolori e le ferite dei familiari delle vittime di mafia, di commercianti taglieggiati, di una moltitudine di soggetti oppressi, assieme a ciò che resta di una società civile che resiste e crede ancora nella giustizia e in un futuro dignitoso.

Intanto, ci resta solo una storia che sembra non avere fine.

30 Aprile 2020

Autore:

redazione


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